Per contrastare il cambiamento climatico dobbiamo ripensare il modo in cui progettiamo e viviamo le nostre città: salute pubblica, ambiente, urbanistica e innovazione devono convergere in un unico approccio “One Health”, come quello definito dall'Organizzazione mondiale della sanità, che coinvolga enti pubblici, mondo accademico e imprese.
In questa visione una delle sfide cruciali è l’emergenza acqua: eventi estremi, che un tempo si verificavano molto raramente, oggi si ripetono quasi ogni anno, alluvioni improvvise si alternano a lunghi periodi di siccità, le falde sono minacciate da inquinanti emergenti e il sistema idrico è messo sotto pressione come mai prima.
“Nella costruzione di città resilienti e intelligenti non dobbiamo più limitarci a subire l’acqua, ma dobbiamo imparare a gestirla, riutilizzarla e restituirla come bene prezioso alla comunità”, spiega Michele Falcone, direttore generale di Gruppo CAP, società che gestisce il servizio idrico integrato della Città metropolitana di Milano, attiva anche nel settore del trattamento dei rifiuti, della bioenergia, dell’energia green e dell’economia circolare, grazie a un sistema di partecipazioni, reti di impresa e joint venture.
Dall’acqua che scorre via all’acqua che resta
Fino a pochi decenni fa il servizio idrico era in capo alle amministrazioni comunali, che tendevano ad allontanare l’acqua piovana dai propri territori, convogliandola attraverso tubazioni di dimensioni sempre maggiori nei comuni vicini o nei corsi d’acqua. “Una soluzione apparentemente semplice, ma miope: ogni comune pensava a risolvere la questione nella propria area, senza curarsi del problema a monte o delle conseguenze a valle”, fa notare Falcone. Oggi la prospettiva è cambiata. “C’è una visione coordinata, che considera i bacini idrici come sistemi interconnessi. Milano e la sua area metropolitana, quindi, ragionano come un sistema unico, in cui ciò che accade a nord ha effetti a sud, e viceversa.”
Nell'area metropolitana di Milano, su una superficie complessiva di circa 1.500 km², coesistono quasi 7.000 km di fognature e quasi il doppio di reticoli minori, come canalizzazioni e fossi agricoli, che però spesso non vengono curati: “Vanno riattivati e integrati all’interno di un sistema che sia capace di trattenere l’acqua, assorbirla e rilasciarla gradualmente: attualmente solo l’11% dell’acqua piovana viene recuperata. Inoltre, Milano ‘galleggia’ su una falda idrica tra le più grandi d’Europa, quindi ha il dovere e l’opportunità di trasformare questa abbondanza d’acqua in un modello sostenibile. La strada da fare è ancora lunga, ma il cambiamento è già iniziato.”
Verso la progettazione di “città spugna”
Il concetto è quello di città spugna, ormai diffuso da una decina d’anni a livello internazionale. Una strategia di adattamento, non di contrasto, al climate change: “Il principio è semplice e rivoluzionario al tempo stesso: il territorio deve comportarsi come un corpo spugnoso, capace di caricarsi d’acqua durante un evento piovoso intenso e restituirla senza danni quando la pressione cala, rilasciandola in modo graduale”. Per questo si interviene con le nature based solution, a cui tutti sono chiamati a ispirarsi, che si tratti di costruire abitazioni, edifici commerciali, spazi aperti o strade: superfici permeabili al posto dell’asfalto, aiuole, parcheggi drenanti, tetti e pareti verdi, boschi urbani e sistemi alternativi di gestione delle piogge. Soluzioni che non solo prevengono i danni, ma riducono le isole di calore, ripristinano gli ecosistemi, migliorano la qualità della vita.
Un esempio in questa direzione è il progetto Città metropolitana spugna di Gruppo CAP e Città metropolitana di Milano, finanziato con 50 milioni di euro del PNRR: l’iniziativa prevede 90 interventi di drenaggio urbano in 32 comuni per ridurre allagamenti, contrastare l’erosione del suolo e aumentare la resilienza urbana.
A Varedo, invece, la chiusura di un vecchio depuratore ha lasciato spazio a un nuovo parco fluviale di 60.000 m², riqualificando un’area degradata e restituendola ai cittadini, mentre a Morimondo si trova un depuratore che è un perfetto connubio di tecnologie innovative e attenzione all’ambiente, progettato da CAP e ispirato al principio della fitodepurazione: un sistema di trattamento naturale delle acque, che riproduce quello dell’autopurificazione tipico degli ambienti acquatici, creando contemporaneamente un habitat per la biodiversità.
Il gruppo sta affrontando poi un altro problema molto diffuso, quello della dispersione idrica: in Italia in media oltre un terzo dell’acqua (42,24%) non arriva a destinazione, mentre in Lombardia il livello si attesta intorno al 30%, per scendere al 19% nell’area della Città metropolitana di Milano gestita da Gruppo CAP. “Una quota ben più bassa della media nazionale, ma ancora elevata”, prosegue Falcone. In questo caso, con uno specifico stanziamento di 42 milioni del PNRR, CAP sta rinnovando 18 km di tubature in 133 comuni e adottando tecnologie digitali all’avanguardia per il monitoraggio in tempo reale e per l’analisi predittiva dei guasti, in modo da ridurre le perdite e migliorare la qualità del servizio di acquedotto.
Quantità e qualità: la doppia sfida dell’acqua
Oltre alla sfida della gestione dell’acqua a livello quantitativo c’è anche il tema della qualità di questa preziosa risorsa: grazie alle tecnologie analitiche, oggi è possibile rilevare concentrazioni infinitesimali di microinquinanti, come residui farmaceutici, cosmetici, pesticidi. “Per garantire la sicurezza assoluta dell’acqua potabile le normative europee impongono standard molto stringenti, secondo il principio di precauzione: in pratica, per fare un esempio, se una sostanza risulta dannosa per la salute umana a una concentrazione di 1.000, la soglia di allerta viene fissata a 10”.
I gestori sono così focalizzati sul miglioramento continuo delle tecnologie di trattamento e filtraggio, con un impegno costante a livello di investimenti, che vengono coperti principalmente attraverso la tariffa pagata dai cittadini, con un aggravio quindi per la comunità. “È però importante che questi costi crescenti vengano sostenuti anche dai soggetti responsabili della maggior parte degli inquinanti emergenti, secondo il principio per cui chi inquina paga”, riflette Falcone, citando il caso delle “falde inquinate da LM6, un precipitato di pesticidi diffuso negli anni Ottanta, i cui costi di bonifica gravano solo sui gestori pubblici, mentre il contributo da parte di agricoltura e industria è nullo”.
A questo proposito in UE si sta discutendo della direttiva 2024/3019, che ha introdotto il sistema di responsabilità estesa del produttore (EPR) per i settori farmaceutico e cosmetico, chiamando le aziende ad assumersi la responsabilità economica di diversi aspetti del processo, tra cui il trattamento quaternario delle acque reflue e i sistemi di monitoraggio dei microinquinanti.
Il nodo dei costi è cruciale: in Italia la tariffa media dell’acqua si aggira intorno a 1,30 €/m³, contro i 5-6 €/m³ della Danimarca. Una differenza che può sembrare positiva, ma in realtà riflette la difficoltà di finanziare investimenti adeguati in infrastrutture idriche, caratterizzate da tempi di ammortamento molto lunghi, per sostenere il ritmo imposto dalla crisi climatica e dalle direttive europee.
Economia circolare e sostenibilità energetica
Un altro principio fondamentale da applicare anche al ciclo idrico è quello della circolarità: “I depuratori non devono essere visti solo come impianti di trattamento, ma come hub di economia circolare”, spiega Falcone. Gruppo CAP ne gestisce 40 sul territorio, con l’obiettivo di raggiungere entro il 2028 le 200.000 tonnellate di rifiuti liquidi e agroalimentari trattati per essere trasformati in risorsa. “I fanghi provenienti dalla depurazione delle acque, se di alta qualità, diventano fertilizzanti agricoli, senza passare dallo status di rifiuto. Se di qualità inferiore, vengono comunque valorizzati energeticamente".
Secondo un calcolo generale del 2022, sfruttando tutti gli impianti già attivi in Lombardia per il trattamento di rifiuti umidi (FORSU) e fanghi, si potrebbero ricavare 70 milioni di metri cubi di biometano, capaci di alimentare 200.000 auto per 11.000 km all’anno ciascuna.
Una prospettiva importante sulla strada del miglioramento del mix energetico dell’Italia, in vista dei traguardi della transizione energetica, ma anche degli ostacoli posti dall’attuale situazione internazionale. Tra i siti di eccellenza di Gruppo CAP, ci sono quello di Robecco sul Naviglio, che ha aumentato la capacità di ricezione dei rifiuti liquidi e agroalimentari di quasi sei volte, passando da 4.800 a 27.000 tonnellate, grazie a un investimento di 150.000 euro per l'installazione di nuove turbine, e quello di Rozzano, che tratterà oltre 100.000 tonnellate annue di rifiuti liquidi non pericolosi, trasformando i fanghi in energia grazie ai biodigestori anaerobici.
Questi processi di trattamento dell’acqua sono altamente energivori: Gruppo CAP, come tutti i gestori europei, ha come obiettivo la neutralità energetica entro il 2045. “Oggi copriamo parte del nostro fabbisogno grazie a impianti fotovoltaici e agrivoltaici collocati vicini ai depuratori esistenti, in modo da avere energia green a km zero, con l’obiettivo di arrivare al 35% entro il 2030”, spiega Falcone.
La strategia europea per la resilienza idrica
A livello normativo, infine, il punto di riferimento per questa evoluzione è la Strategia europea sulla resilienza idrica, adottata dalla Commissione europea nel giugno 2025, volta a ripristinare e proteggere il ciclo idrico, garantendo a tutti acqua pulita a prezzi accessibili e creando un'economia idrica sostenibile, resiliente, intelligente e competitiva.
Due gli aspetti fondamentali, secondo Falcone: “Innanzitutto, le città spugna vengono individuate come uno degli strumenti principali per affrontare le sfide legate alla gestione sostenibile dell’acqua, soprattutto in un contesto di cambiamenti climatici, urbanizzazione crescente e aumento degli eventi meteorologici estremi. In secondo luogo, si sottolinea l’importanza di costruire una vera economia circolare dell’acqua. Bisogna introdurre regole che obblighino a utilizzare una quota di materiali riciclati e a riconoscere un valore economico alle risorse recuperate, come l’acqua depurata e le sostanze che si ricavano dai processi di trattamento idrico. Solo così l’economia circolare smetterà di essere uno slogan e diventerà realtà, in caso contrario questi prodotti non riusciranno ad avere un mercato di sbocco”.
In copertina: Milano, foto Envato
