Quando Meitamei Olol Dapash, direttore dell’Institute for Maasai Education, Research and Conservation, ha appreso che il Ritz-Carlton avrebbe aperto il suo primo safari resort nella riserva naturale di Masai Mara, in Kenya, non ha esitato un istante. Determinato a fermare il progetto, ha intentato una causa contro la catena di hotel di lusso, lo sviluppatore locale e le autorità keniane, accusandoli di danneggiare uno degli ecosistemi più fragili e preziosi del pianeta: il corridoio migratorio che collega le riserve naturali del Serengeti, in Tanzania, e del Masai Mara, in Kenya.
Tra aprile e settembre, infatti, quasi due milioni di gnu, gazzelle e zebre attraversano un immenso e insidioso territorio lungo circa mille chilometri. Spinti dall’istinto di sopravvivenza e dal ritmo delle piogge, percorrono un itinerario circolare senza sosta, alla continua ricerca di pascoli da cui nutrirsi.
Dapash sostiene che “l’eco-resort” di proprietà della catena statunitense Marriott, dotato di venti suite, piscine e servizio con maggiordomo personalizzato da 3.000 euro a notte, ostruisce il corridoio migratorio, denunciando inoltre la mancata valutazione di impatto ambientale da parte delle autorità keniane. La catena alberghiera Marriott ha dichiarato in una nota di impegnarsi a rispettare l'ambiente e che l’azienda sviluppatrice del progetto, Lazizi, ha ottenuto tutte le autorizzazioni necessarie.
Non è la prima volta che in Kenya le comunità locali protestano contro questo modello di sviluppo, che definiscono un “accaparramento di terre" da parte di ricchi investitori, prevalentemente bianchi. In Tanzania, nel 2022 le proteste contro lo sfratto di decine di migliaia di Masai per far posto a lodge di caccia furono soffocate violentemente dalla polizia.
Secondo l’Institute for Maasai Education, Research and Conservation, lo sviluppo del Ritz-Carlton è stato l'ultimo di una lunga lista di progetti turistici che i funzionari di stato hanno approvato a spese della fauna selvatica e della popolazione locale. "Senza che il governo della contea regolasse queste attività turistiche, abbiamo visto l'habitat e l'ambiente degradarsi gravemente", ha dichiarato Dapasha a Reuters.
I safari, tra turismo e conservazione della fauna
Secondo dati relativi al 2023, il settore dei safari fotografici – che a differenza di quello venatorio è incentrato esclusivamente sull’osservazione e la documentazione della fauna selvatica – genera in Africa ricavi per quasi 12 miliardi di euro e un indotto di oltre 30 miliardi. In Kenya e Tanzania questo genere di turismo, non solo di lusso, vale cifre vicine al 10% del prodotto interno lordo nazionale.
Delle 8.400 aree protette presenti nel continente, la maggior parte si concentra nei paesi dell’Africa orientale e meridionale, dove il settore è particolarmente sviluppato. Oltre ai già citati Kenya e Tanzania, tra le destinazioni più popolari figurano Botswana, Malawi, Mozambico, Namibia, Ruanda, Sudafrica, Uganda, Zambia e Zimbabwe.
“Stati come il Kenya non hanno effettivamente politiche di sviluppo turistico sostenibili, ma non farei di tutta l’erba un fascio”, commenta a Materia Rinnovabile Davide Bomben, tra le altre cose guida safari, ranger anti bracconaggio e imprenditore turistico. “L’Africa è un continente immenso e sebbene in Kenya e Tanzania il flusso di turisti sia ormai di difficile gestione, esistono comunque molti esempi positivi.”
Bomben cita la Grumeti Game Reserve, all’interno del Parco nazionale del Serengeti, in Tanzania, come esempio di struttura che offre occupazione alle comunità locali e riduce al minimo l’impatto ambientale grazie all’impiego di veicoli elettrici per i safari. “Nei pressi del lago Ndutu, situato nelle pianure meridionali del Serengeti, c’è un altro progetto straordinario, interamente gestito dai Masai, il popolo nilotico che abita gli altopiani tra Kenya e Tanzania”, prosegue Bomben, sottolineando come il turismo di alta qualità possa diventare uno strumento fondamentale per finanziare la conservazione delle riserve naturali.
In Sudafrica, il Mdluli Safari Lodge offre alloggi a oltre 300 euro a notte all’interno del Parco nazionale Kruger. “Qui, tra costruzione e gestione del resort, hanno trovato impiego circa 420 persone della comunità Mduli”, dice Bomben, che fa parte del progetto. Gli introiti vengono anche investiti per attività di lotta al bracconaggio, ovvero la pratica illegale di cacciare, catturare o uccidere animali selvatici in violazione delle leggi nazionali o internazionali. A farlo spesso sono locali esperti del territorio, che vedono nella vendita di un corno di rinoceronte l’unica possibile attività di sostentamento.
Progetti come il Mdluli Safari Lodge hanno l’obiettivo di creare opportunità lavorative e allo stesso tempo combattere il bracconaggio, anche con le maniere forti. La militarizzazione della conservazione, ovvero il dispiegamento di plotoni di ranger armati e addestrati per proteggere la fauna selvatica, è un approccio che però non mette d’accordo tutti. Secondo un gruppo internazionale di ricercatori, l’urgenza di salvare delle specie non dovrebbe automaticamente giustificare l’uso della violenza. “I conservazionisti non devono semplicemente accettarla come unica alternativa per contrastare il bracconaggio. L’uso della violenza può portare a escalation controproducenti che rischiano di compromettere altre priorità”, si legge in un paper pubblicato nel 2019.
Il turismo di lusso porta valore alle comunità locali?
Per decenni, diversi governi africani hanno puntato sul turismo d’élite con l’idea che attrarre visitatori facoltosi avrebbe sviluppato un settore “ad alto valore aggiunto ma a basso impatto", promettendo benefici per l'ambiente e le comunità locali. Ma secondo i risultati di una ricerca dell’università di Manchester, i resort all-inclusive sono spesso isolati dalla vita locale, assumono pochi lavoratori locali e impediscono ai turisti di spendere nelle comunità vicine, offrendo tutto in loco. Oltre al fatto che gli eco-alloggi più redditizi sono spesso gestiti da proprietà straniere, come l’organizzazione dei safari stessi.
Sebbene in misure diverse rispetto all’iperturismo delle città europee, il terzo settore di diversi stati africani è cresciuto esponenzialmente: il Sudafrica nel 2024 ha registrato 8,92 milioni di visite internazionali, il Kenya, famoso per il Masai Mara e le attrazioni costiere, ha accolto 2,4 milioni turisti, mentre oltre due milioni di persone sono approdate in Tanzania per godersi le viste mozzafiato del Kilimangiaro e le spiagge dell’arcipelago di Zanzibar.
La ricerca – di cui Materia Rinnovabile ha cercato e chiesto senza successo il testo integrale − non specifica tuttavia quanti e quali siano i paesi africani presi in esame. Il sommario cita però come esempi virtuosi Botswana e Mauritius, che grazie a politiche più flessibili sono riusciti a adattarsi a questo tipo di afflusso, coinvolgendo maggiormente le economie locali. Al contrario, governi autoritari come quello del Ruanda, caratterizzati da un forte controllo centralizzato, tendono a imporre il proprio modello, anche dove emergono criticità.
In copertina: immagine Envato