
“Anche se a livello europeo l’attenzione si è in parte spostata dal tema climatico verso la sicurezza energetica, l’obiettivo climatico resta centrale. In questo senso, anche la CO₂ biologica prodotta dai nostri impianti rappresenta una risorsa da valorizzare, nell’ambito del futuro decreto italiano sullo stoccaggio del carbonio.” È così che Piero Gattoni, presidente del Consorzio italiano biogas (CIB) e dal maggio scorso anche alla guida della European Biogas Association (EBA), riassume a Materia Rinnovabile la fase attuale del settore del biogas e del biometano.
Un’evoluzione che intreccia transizione energetica, autonomia strategica e sostenibilità agricola. Dalle origini, legate alla produzione di energia elettrica e termica rinnovabile, il settore si è progressivamente orientato verso le nuove frontiere del biometano, prodotto a partire dal biogas, un gas rinnovabile con le stesse caratteristiche del metano fossile, pronto per essere immesso nelle reti e utilizzato nei trasporti o nei distretti industriali. L’Italia ha così costruito un modello che oggi la colloca ai vertici europei. Ma la sfida, avverte Gattoni, è appena iniziata: servono continuità, nuovi strumenti e una visione più ampia per mettere l’agricoltura al centro della transizione.
Presidente Gattoni, partiamo con qualche dato sul biogas. Come si posiziona oggi l’Italia?
Siamo il quarto produttore mondiale e il secondo in Europa dopo la Germania. Lo sviluppo iniziale si è concentrato sulla produzione di biogas destinato a generare energia elettrica e termica rinnovabile attraverso la cogenerazione, con un modello fortemente legato al settore agricolo e agroindustriale. Attualmente, due terzi della produzione nazionale provengono dal comparto agricolo e un terzo dai rifiuti.
Negli ultimi anni, tuttavia, il focus degli incentivi è stato sul biometano.
Sì, nel 2013 è stata introdotta la prima normativa che ha definito gli indirizzi per lo sviluppo del biometano, successivamente tradotti in due decreti di sostegno: uno nel 2018 e il successivo nel 2022, nell’ambito del PNRR. Queste misure hanno portato alla produzione di circa 700 milioni di metri cubi all’anno di biometano, con una proiezione che punta a un miliardo. L’obiettivo era arrivare a decarbonizzare completamente la quota di gas naturale utilizzato nei trasporti, pari appunto a circa un miliardo di metri cubi.
Il Governo ha poi confermato nel Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNIEC) l’obiettivo di arrivare, entro il 2030, a una produzione di 5 miliardi di metri cubi. Il target è realistico?
L’Italia si colloca tra i paesi europei che hanno maggiormente sviluppato questa tecnologia, anche grazie alla presenza di filiere consolidate: quella della gestione circolare della frazione organica dei rifiuti e quella industriale legata alla tecnologia, alla componentistica, al trasporto e alla distribuzione del gas naturale. A questa si aggiunge anche la filiera agricola che rappresenta un pilastro fondamentale nella programmazione di sviluppo dei sistemi paesi e, per il nostro paese, un tassello strategico per raggiungere gli obiettivi del PNIEC, come dimostrano anche i risultati dei bandi biometano del PNRR dove il settore primario traina lo sviluppo del settore, contribuendo al percorso di transizione ecologica del paese. Nel 2022 si era registrato un ulteriore passo avanti con lo sviluppo della produzione di biometano destinato anche al settore industriale, grazie a uno schema di incentivi pensato per favorirne l’utilizzo nei distretti produttivi della carta, della ceramica, dell’acciaio e della chimica, cioè in quei comparti che non possono elettrificare completamente i propri processi. L’obiettivo fissato dal PNRR era di raggiungere i 2 miliardi di metri cubi di biometano, ma oggi si registra un ritardo nell’attuazione della misura per diversi motivi, legati soprattutto al mutato contesto geopolitico.
Qual è la priorità oggi?
Dobbiamo capire come il Governo e il Ministero riusciranno a rinegoziare il Recovery Plan, considerando che alcuni obiettivi fissati per la produzione di energia rinnovabile rientrano anche nella più ampia strategia di difesa europea. Sono traguardi che la Commissione UE non ha difficoltà a mantenere invariati. Abbiamo accolto con favore la conferma, arrivata dalla cabina di regia, che le comunità energetiche rinnovabili, il fotovoltaico e il biometano restano tra le misure su cui il Governo intende investire e destinare risorse significative. Si sta discutendo degli strumenti tecnici necessari a consentire uno spostamento di queste risorse verso misure finanziarie che permettano di disporre di più tempo oltre la scadenza del 30 giugno per realizzare gli investimenti PNRR.
E per il post PNRR?
Vi è l’esigenza di iniziare a lavorare già ora a una nuova misura che guardi al 2030-2032, con un orizzonte temporale di quattro o cinque anni: è ciò di cui il settore ha davvero bisogno per consolidare la crescita e rafforzare le infrastrutture del paese. Il potenziale di biomasse sostenibili è ampiamente disponibile, la tecnologia è ormai matura e abbiamo imparato che questi investimenti sono realizzabili.
E oltre agli investimenti? Cosa manca nella ricetta?
La digestione anaerobica e, più in generale, la bioeconomia devono trovare un equilibrio e uno sviluppo coerente con le esigenze dei territori: per questo è fondamentale che la componente agricola e quella industriale lavorino insieme. Come consorzio, abbiamo iniziato già dieci anni fa a parlare di “biogas fatto bene”: l’idea che la digestione anaerobica sia una tecnologia capace di produrre non solo energia rinnovabile, ma anche valore aggiunto. La chiave di questa visione è appunto il digestato. Poiché non si tratta di un processo di combustione, ma di digestione biologica, alla fine si ottiene un sottoprodotto che è a tutti gli effetti un fertilizzante organico. Questo consente di restituire sostanza organica e nutrienti al suolo, migliorando la fertilità e la produttività in modo sostenibile. In Italia si è lavorato molto in questa direzione ed è stata approvata una misura che lo equipara formalmente al fertilizzante organico. Tuttavia, tale provvedimento deve ancora ricevere l’approvazione definitiva della Commissione europea, poiché si inserisce nel quadro della direttiva nitrati, particolarmente stringente per gli stati membri.
A proposito di Europa. A maggio è stato nominato presidente della European Biogas Association. Quali sono le priorità di questo mandato?
Il confronto europeo è sempre più cruciale. La priorità del nuovo Comitato esecutivo è rafforzare l’associazione in modo che favorisca più investimenti e meno target: negli ultimi anni, a livello europeo, si è parlato molto di obiettivi, ma ora occorre intervenire concretamente per rimuovere gli ostacoli che ancora frenano lo sviluppo del biometano, dalla fase autorizzativa fino alla possibilità di utilizzare le biomasse. È necessario semplificare e restituire al settore agricolo la centralità che merita come motore della bioeconomia.
Aumentare la quota di carbonio organico stabile nel suolo resta però una delle sfide più complesse della transizione agricola. In che modo state affrontando questo obiettivo?
Il carbon farming, nelle strategie italiane ed europee, rappresenta un ambito in cui l’agricoltura può giocare un ruolo fondamentale, soprattutto per quanto riguarda lo stoccaggio della CO₂ e la riduzione complessiva delle emissioni. È importante che, nelle politiche europee e nella loro traduzione a livello nazionale, vengano riconosciute agli agricoltori le esternalità positive generate da queste pratiche. Si tratta di una frontiera avanzata della regolazione. Il percorso si è ormai aperto: la ricerca scientifica fornisce dati solidi a sostegno di queste pratiche, e nuove normative stanno nascendo, come il disegno di legge delega sulla CCS (Carbon Capture and Storage) italiano. Potrebbe diventare una componente importante di un’economia circolare del carbonio.
In copertina: Piero Gattoni, foto CIB