Questo articolo fa parte del canale tematico The Social and Governance Observer, in collaborazione con Trentino Sviluppo. Iscriviti alla newsletter su LinkedIn
Ci vorranno 134 anni per raggiungere la parità di genere. Cinque generazioni. Non è una previsione catastrofista ma la stima del Global Gender Gap Report 2024, che fotografa un rallentamento nella corsa verso l’uguaglianza. In Italia la situazione è ancora più complessa: il tasso di occupazione femminile si ferma al 52,5%, contro il 70,4% degli uomini, il dato più basso tra i 27 paesi dell’Unione Europea. Le donne restano sottorappresentate nelle posizioni apicali, dove occupano appena l’11,5% delle cariche dirigenziali, e percepiscono stipendi inferiori di oltre venti punti percentuali rispetto ai colleghi maschi. Mentre in Italia solo circa il 36% delle posizioni manageriali è ricoperto da donne, paesi come Islanda, Finlandia e Norvegia vantano punteggi ben superiori, con una più ampia rappresentanza femminile a tutti i livelli del settore produttivo.
Tra l’altro occorre fare una distinzione: le donne rappresentano il 36% dei manager italiani, ma solo il 18% ha posizioni ricoperte da contratti dirigenziali. Sono numeri che pesano come macigni sul presente e sul futuro del Paese. Secondo l’Ufficio Studi di Confartigianato, se il tasso di occupazione femminile italiano si allineasse alla media europea, il PIL crescerebbe di 154,7 miliardi di euro, pari a 7,4 punti percentuali. Un potenziale enorme che resta bloccato tra discriminazioni salariali, part-time involontari, congedi parentali usufruiti quasi esclusivamente dalle madri e un sistema che continua a far pesare sulle donne la responsabilità del lavoro di cura. Cinque ore al giorno contro poco più di due per gli uomini, secondo i dati dell’Osservatorio Job Pricing: l’Italia è al quinto posto nella graduatoria mondiale dei paesi dove questo squilibrio è più marcato.
Parità di genere e transizione verde
Una lettura utile arriva dal lavoro della FEPS – Foundation for European Progressive Studies – che da anni sostiene un approccio trasformativo alla parità di genere. Secondo FEPS, la disuguaglianza non è un fenomeno circoscritto alle opportunità professionali, ma un elemento che attraversa tutte le politiche pubbliche, incluse quelle su ambiente, energia e innovazione. Non esistono, infatti, politiche “neutre”: ogni decisione economica o industriale ha un impatto differenziato su uomini e donne, soprattutto quando le condizioni di partenza non sono equilibrate. FEPS evidenzia in modo particolare due nodi strutturali: la segregazione occupazionale di genere, che colloca le donne in settori meno remunerati o con minori prospettive di crescita; il peso del lavoro di cura non retribuito, che determina una partecipazione al mercato del lavoro discontinua, ridotta o penalizzata. Senza affrontare questi due pilastri, anche le politiche più innovative rischiano di produrre nuovi divari invece di ridurli.
La transizione verde, poi, se gestita senza una consapevolezza di genere, può amplificare le disparità. Le analisi FEPS sulle politiche climatiche mostrano che le donne subiscono di più gli impatti economici e sociali delle trasformazioni industriali, soprattutto nei contesti dove i servizi di cura sono carenti e il mercato del lavoro resta profondamente segregato. Al contrario, un approccio “gender-mainstreamed” nelle politiche ambientali permetterebbe di: aumentare l’occupazione femminile in settori ad alta crescita (energia rinnovabile, economia circolare, green tech); rendere la transizione più equa e socialmente sostenibile; collegare investimenti ambientali e investimenti nella care economy, come suggerito dalla Care4Care Alliance sostenuta da FEPS. In altre parole, la giustizia climatica passa anche da una giustizia di genere. E le aziende che oggi investono in sostenibilità hanno una responsabilità diretta nel costruire modelli organizzativi realmente inclusivi.
Come le aziende affrontando il gap di genere
Eppure qualcosa sta cambiando. Alcune aziende hanno smesso di considerare la diversità e l’inclusione come un obbligo normativo o un capitolo di bilancio sociale da compilare a fine anno. Hanno capito che affrontare il gap di genere significa ripensare cultura aziendale, processi interni, linguaggio, politiche di welfare. E che i risultati si misurano nel medio-lungo periodo, non con interventi episodici o campagne sporadiche. È l’approccio che emerge da due esperienze concrete, sviluppate con il supporto di Invento Lab, impresa sociale B Corp specializzata in progetti di sostenibilità e innovazione sociale: quelle di Yves Rocher Italia e Sicim.
Nel 2022 Yves Rocher Italia, società benefit dal 2021, ha avviato con Invento Lab un percorso che inizialmente si chiamava Osservatorio Diversity & Inclusion. Oggi quel progetto è diventato un Gruppo di Lavoro D&I permanente, comunicato a tutta la popolazione aziendale: dall’head quarter alla rete commerciale dei negozi, fino alle sellers del canale di vendita diretta, che rappresentano una fetta significativa del modello di business dell’azienda. Il punto di partenza è stato fotografare lo status quo. Capire a che punto si trovava l’azienda, quali erano i punti di forza e dove invece emergevano criticità o margini di miglioramento.
Da lì, anno dopo anno, si è lavorato per implementare azioni concrete. Nel 2024 il gruppo ha iniziato ad agire verso l’esterno: una newsletter dedicata, interviste doppie pubblicate sul sito aziendale tra colleghi o tra persone che portano alla luce una diversità. Spesso piccole cose che si davano per scontate ma che, raccontate, hanno avuto un impatto sulle persone stesse e sulla comunità aziendale. Nel 2023, ad esempio, ci sono stati momenti in cui alcune persone volontarie hanno condiviso esperienze personali: un ragazzo ha raccontato il proprio coming out, mostrando come il tema della diversità e dell’inclusione sia profondamente trasversale e non si riduca alla sola questione di genere. Sono stati organizzati anche momenti di sensibilizzazione in occasione del 25 novembre, la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, con l’obiettivo di mantenere alta l’attenzione su un tema che troppo spesso viene affrontato solo in quel periodo dell’anno per poi sparire dai radar.
Quello che emerge dall’esperienza di Yves Rocher è un elemento cruciale: nelle aziende manca spesso una visione a lungo termine. Molte realtà attivano iniziative spot, magari in risposta a una normativa o per migliorare l’immagine esterna, ma poi il tema si esaurisce. Il modello del gruppo di lavoro permanente funziona proprio perché è un percorso, non un’operazione di facciata. Serve a far crescere l’azienda tutta come una comunità, creando un cambiamento culturale che non può essere imposto dall'alto ma va costruito insieme, con il contributo attivo delle persone.
Comunicazione inclusiva e linee guida condivise
L’esperienza di Sicim, azienda leader mondiale nella progettazione e costruzione di impianti per il settore energetico con sede a Busseto (Parma), ha seguito una strada diversa ma complementare. Qui Invento Lab ha sviluppato un progetto sulla comunicazione inclusiva, con un focus in presenza al quartier generale dell’azienda. Sono stati organizzati momenti divulgativi e di approfondimento, analizzando anche le linee di comunicazione aziendali esistenti per individuare dove si annidavano linguaggi o formulazioni escludenti, anche in modo inconsapevole. I partecipanti hanno elaborato insieme al team di Invento Lab delle linee guida comunicative inclusive, ma non si è trattato solo di documenti teorici. Sono stati sviluppati casi studio concreti e si è lavorato insieme alla restituzione, cioè a far sì che quanto emerso diventasse patrimonio condiviso dell’azienda. Perché le linee guida hanno senso solo se diventano prassi quotidiana, se cambiano il modo in cui si scrivono le email, si strutturano le presentazioni, si comunica con i colleghi. Il linguaggio è una questione apparentemente piccola ma con un impatto enorme. Espressioni sessiste, stereotipi di genere nascosti in battute che sembrano innocue, formule che danno per scontato che certi ruoli siano riservati a uomini o donne: tutto questo rafforza un sistema che discrimina. Affrontare il tema della comunicazione inclusiva significa mettere in discussione automatismi culturali radicati e richiede un lavoro costante, non un corso di formazione isolato.
Approccio strategico e visione a lungo termine
Quello che accomuna le esperienze di Yves Rocher e Sicim è la consapevolezza che affrontare il gap di genere e promuovere la diversità richiede un approccio strategico e di lungo termine. Non basta una campagna o un evento una tantum. Serve invece costruire percorsi strutturati, coinvolgere le persone, dare loro gli strumenti per riconoscere bias e stereotipi, creare spazi di confronto e ascolto. È un cambio di paradigma culturale che richiede tempo, risorse, pazienza. E soprattutto richiede la volontà di mettere in discussione prassi consolidate, anche quando funzionano bene dal punto di vista dei risultati economici. Perché il punto non è solo fare meglio business, anche se le evidenze dimostrano che i gruppi di lavoro diversificati e inclusivi sono più innovativi e performanti. Il punto è costruire organizzazioni più giuste, più eque, più vivibili per tutte le persone che vi lavorano. In un paese dove il 64% dell’inattività è femminile, dove le donne non lavorano per motivi di cura nel 34% dei casi contro il 2,8% degli uomini, dove le dirigenti sono appena il 21,1% e gli amministratori delegati donna nelle società quotate in borsa sono solo il 2,9%, ogni iniziativa concreta conta. Conta perché dimostra che è possibile fare diversamente, che il cambiamento non è un’utopia ma un processo che si può progettare, implementare, misurare.
Invento Lab, che ha seguito entrambi i progetti, rappresenta un esempio di come l’innovazione sociale possa supportare le aziende in questi percorsi. Non offrendo soluzioni preconfezionate ma co-progettando insieme alle organizzazioni, partendo dai loro contesti specifici, dalle loro sfide, dalle loro persone. Perché ogni azienda ha una storia, una cultura, delle dinamiche proprie: non esistono ricette universali, ma esistono principi e strumenti che possono essere adattati e tradotti in azioni concrete. Quando si lavora con una visione di lungo termine, i risultati arrivano. Non domani, forse nemmeno tra cinque anni. Ma prima di quei 134 anni stimati dal Global Gender Gap Report. Molto prima.
In copertina: foto Envato
