Le file e i tornelli per accedere a Seceda, i salvataggi record del soccorso alpino a luglio, le sneakers a 3.000 metri, i pronto soccorso intasati da turisti con caviglie e gambe rotte, le risse al rifugio, le corse in moto clandestine, gli autobus incastrati sul passo Sella. L’estate 2025 non smette di far discutere sugli impatti dell’overtourism sulle terre alte.
Il tema è una variazione di quanto avviene già in tante città da molti anni: un numero di visitatori ben superiore alla capacità tollerabile invade una determinata area. Solo che questa volta avviene in un ambiente più fragile e decisamente più pericoloso.
Alla base dell’overtourism in alcune specifiche località e valli alpine c’è l’over-marketing (eccessiva promozione di un territorio) e la viralità dei content creator, professionisti e non, insieme al cambiamento climatico con il fenomeno delle “coolcation” (crasi di cool e vacation, ovvero le ferie in luoghi freschi, dalle montagne al Nord Europa) e al boom delle vacanze-fitness.
Basta fare un salto su TikTok (o sui sentieri più famosi delle Alpi) per incontrare influencer statunitensi, inglesi, brasiliani o italiani che narrano le proprie gesta tra i rifugi del Trentino-Alto Adige, fanno ironia sulla fatica di salire in montagna, mostrano il lago del Sorapiss insieme al décolleté, o le Tre Cime di Lavaredo riprese con un drone (pratica vietata dalla legge) o, peggio ancora, che fanno ferrate assolutamente impreparati (ma si sa, la vertigine fa clic). Il 90% dei post risulta patetico a chi va davvero in montagna. Per il resto della popolazione sono un modello da seguire.
La spettacolarizzazione social della montagna ha raggiunto un livello tale che alcuni enti turistici hanno chiesto esplicitamente agli influencer (e anche ai giornalisti) che invitano per viaggi promozionali di non riprendere o fotografare determinate attrazioni per sgonfiare l’effetto virale (come accaduto al lago di Braies). Difficile però fermare l’onda: i content creator, che spesso sono solo copycat seriali di influencer famosi, riproducono senza fantasia gli stessi contenuti che fanno clic, cambiando solo l’angolatura o il vestito senza fornire informazioni utili sulla montagna e sui rischi, cammellando così le persone nei soliti 4-5 posti.
Tuttavia, non possiamo dare l’intera colpa ai content creator o ai responsabili marketing territoriali. Anzi, alla base dell’overtourism montano ci sono due ragioni più profonde: la prima è la difficoltà di gestire la capacità di carico turistica in tanti territori, la seconda è legata invece ai turisti, che spesso non hanno un’etica, non conoscono i luoghi che attraversano, non sanno viaggiare e quindi si accodano nelle attrazioni più famose e seguono la massa o il suggerimento social di @pincopallino39.
La "Tourism Carrying Capacity" è definita dall'Organizzazione mondiale del turismo come "il numero massimo di persone che possono visitare una destinazione turistica contemporaneamente, senza causare la distruzione dell'ambiente fisico, economico, socio-culturale e una diminuzione inaccettabile della qualità della soddisfazione dei visitatori". Oggi definire questo numero è fondamentale soprattutto per le aree alpine per evitare fenomeni come gli ammassi a Seceda, Tre Cime, Passo Giau, Roccaraso. Le modalità sono varie e tutte con pro e contro.
La prima leva purtroppo è quella classica del mercato: aumentare i prezzi per hotel e ristoranti. Un fenomeno però che porta a un turismo troppo elitario e al proliferare di iniziative low-cost ancora più dannose, come gite mordi e fuggi, parcheggi selvaggi, affitti in nero, campeggio abusivo. L’altra è il numero chiuso almeno per i mezzi di trasporto, favorendo i mezzi pubblici.
Da questo agosto sul colle del Nivolet (quota 2.641 metri), in Piemonte al confine con la Valle d'Aosta, nel Parco nazionale del Gran Paradiso, si è limitato l'accesso giornaliero a 350 veicoli motorizzati. Obbligatori la prenotazione con la NivoletCard (10 euro). Un varco di videosorveglianza verifica i passaggi abusivi. Un sistema che dovrebbe essere replicato sui passi dolomitici e non solo, anche per ridurre i passaggi di moto e auto da corsa, vera e propria piaga della montagna. L’Alto Adige, infine, ha posto uno stop ai nuovi posti letto, esempio da seguire soprattutto in Veneto dove non c’è argine alla crescita di B&B e hotel, specie nel Cadore, sostenuti anche dalla foga delle Olimpiadi invernali 2026. Limitando la possibilità di pernottamento e disincentivando il transito si riesce sicuramente a dissuadere chi si muove solo per qualche selfie e il sole preso a bordo strada.
L’altro grande tema è la cultura dei viaggi e delle vacanze. Innanzitutto, l’obbligo delle chiusure aziendali di agosto è uno dei motivi strutturali del sovraffollamento estivo. A chi è interessato dovrebbe essere data la possibilità di lavorare in smart anche nelle settimane di chiusura aziendale, potendo così andare in ferie lunghe in altri periodi dell’anno (sì, le montagne sono belle anche ad aprile). Sebbene sia normale che la produzione cali ad agosto, le settimane di bassa intensità lavorativa sono utili per mettere in ordine il proprio lavoro, fare formazione, organizzare attività sociali o ambientali per l’azienda.
Infine, dobbiamo imparare a viaggiare meglio: diventando più consapevoli di dove si va, evitando comportamenti cafoni e rispettando innanzitutto chi abita il territorio (il pago-pretendo è una filosofia da secolo scorso). Non solo: serve imparare a organizzare meglio i viaggi, dimenticando i consigli di influencer e marketing, esplorando luoghi meno battuti, andando oltre i toponimi famosi, godendosi le ferie nella natura, anche quella meno drammatica e spettacolare, lasciando il cellulare in tasca. La vera vacanza è quella che porterete sempre nel cuore, non quella che fa like con gli amici invisibili dei social. Andare nei luoghi in degli influencer pataccari non è mai stato così out.
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In copertina: immagine Envato