Come sarebbe andata l’aveva fatto capire subito, martedì mattina, il commissario europeo per il clima Wopke Hoekstra: “Ci vogliono 27 persone per ballare il tango”, ha detto riferendosi al fatto che i negoziati sarebbero stati in salita. E in salita lo sono stati davvero. Dopo oltre venti ore dall’inizio, all’alba di mercoledì 5 novembre, il Consiglio ambiente dell’Unione Europea ha finalmente raggiunto un accordo sulla revisione della legge sul clima, fissando l’obiettivo vincolante di riduzione delle emissioni del 90% entro il 2040 rispetto ai livelli del 1990.

L’agenda inviata ai ministri dell’ambiente europei riuniti fin dalla tarda mattinata di martedì 4 novembre a Bruxelles conteneva una riga che avvisava tutti di portarsi la cena con sé: “Approvazione della proposta della Commissione di ridurre del 90% le emissioni di CO₂ come tappa intermedia verso la neutralità climatica al 2050”. L’unico dato certo era che sull’obiettivo concordavano tutti, il problema era come arrivarci. E qui le ricette sono state divergenti, in alcuni casi agli antipodi.

Durante la maratona dei negoziati, martedì pomeriggio, è arrivato anche l’atteso rapporto ONU sulla febbre del pianeta, che anticipava di una settimana l’inizio della COP30 di Belém: il report annuale sul divario delle emissioni del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) ha certificato che entro la fine del secolo arriveremo a superare i 2,5°C di temperatura, che non potranno essere evitati gli eventi climatici devastanti, e tanti saluti agli Accordi di Parigi, che festeggiano i dieci anni nel peggiore dei modi. Alla luce del dato onusiano, altro che tango: i 27 ministri dell’ambiente chiusi a Bruxelles fino a notte fonda sembravano proprio i violinisti impegnati a suonare sul Titanic mentre affondava.

La minoranza di blocco guidata dall’Italia

Poco prima delle due di notte, la presidenza danese ha dovuto ammettere la sconfitta temporanea: lavori sospesi fino alle nove del mattino, ma i negoziati tecnici sono continuati per tutta la notte. Una corsa contro il tempo prima che la presidente della Commissione Ursula von der Leyen decollasse per il Brasile, dove si aprirà la COP30 con il vertice dei leader mondiali.

La spaccatura ormai consolidata sulle politiche verdi di Bruxelles ha trovato in queste ore di incontri bilaterali e condotti per piccoli gruppi la sua manifestazione più evidente. Sotto la guida del ministro dell’ambiente Gilberto Pichetto Fratin, l’Italia ha coordinato un fronte di almeno dieci paesi che hanno costituito di fatto una minoranza di blocco, rendendo impossibile raggiungere la maggioranza qualificata necessaria per l’approvazione (15 stati membri su 27 che rappresentano il 65% della popolazione).

“Nonostante significativi passi in avanti non siamo ancora al punto di equilibrio”, aveva avvertito Pichetto Fratin fin dalla mattinata di martedì, portando sul tavolo richieste specifiche: il riconoscimento dei biocarburanti sostenibili per il trasporto su strada e una maggiore flessibilità sul ricorso ai crediti internazionali di carbonio. Richieste che, alla fine, sono entrate nel testo finale.

Il nodo più complesso è stato quello dei crediti di carbonio. La Commissione europea proponeva di consentire l’uso di crediti internazionali “di alta qualità” – progetti di rimozione di CO₂ extra UE – per una quota del 3% a partire dal 2036. Ma per paesi come Italia e Francia la soglia era troppo bassa e la tempistica troppo lontana. Hanno quindi chiesto di alzare la quota al 5% e anticiparne l’avvio al 2031. Durante la notte, è emersa una proposta italiana più articolata, il cosiddetto “5+5”: un 5% di crediti di carbonio acquistati con finanziamento comune europeo e un ulteriore 5% come contributo nazionale volontario, da sviluppare a livello domestico.

Target climatici, l’accordo finale

All’alba, il compromesso è stato trovato. La quota di crediti internazionali è stata aumentata dal 3 al 5%, con una fase pilota dal 2031 al 2035 e piena operatività dal 2036. È stata inoltre accolta la possibilità di introdurre un ulteriore 5% di crediti domestici, da definire in sede di revisione, come auspicato dall’Italia.

Nel testo finale trovano spazio anche il riconoscimento esplicito dei biocarburanti tra le tecnologie utili alla decarbonizzazione dei trasporti e il rinvio di un anno, dal 2027 al 2028, dell’entrata in vigore dell’ETS 2, il nuovo sistema di scambio delle quote di emissione per trasporti e edifici. Su pressione di diversi stati membri, la presidenza danese ha inserito infine una clausola di revisione biennale e un “freno di emergenza” per adeguare il target nel caso in cui le rimozioni naturali di CO₂ si rivelassero inferiori alle attese.

Una vittoria significativa per il blocco italiano, che ha voluto un segnale chiaro della volontà di rendere la transizione climatica più graduale. “Per la prima volta vengono citati nella normativa i biofuel, i biocarburanti”, ha sottolineato Pichetto Fratin al termine dei negoziati. Il testo include anche riferimenti alla necessità di ridurre gli oneri amministrativi, salvaguardare la coesione sociale e la sicurezza alimentare, e tener conto degli effetti sull’occupazione e dei prezzi dell’energia.

Un cambio di paradigma evidente è l’eliminazione di ogni riferimento al principio dell’“efficienza energetica al primo posto” (energy efficiency first), cavallo di battaglia delle politiche climatiche europee fino a oggi. E tra le novità più sorprendenti, l’inserimento esplicito della dimensione della difesa: la valutazione d’impatto delle politiche post 2030 dovrà considerare anche la capacità dell’Unione di rafforzare la propria sicurezza militare.

“Roma ha scelto di concentrarsi sugli aspetti tecnici al tavolo del Consiglio, come l’uso delle flessibilità o dei crediti internazionali, anche accettando di perdere parte delle importanti risorse europee dell’ETS2 che, per l’Italia, sono stimate tra i 15 e i 21 miliardi di euro, da reinvestire per accompagnare cittadini e imprese nel percorso di transizione”, ha commentato in una nota il think tank italiano per il clima ECCO. “Maggiori risorse europee per finanziare la transizione sono essenziali per mobilitare gli investimenti privati e far sì che i vantaggi concreti della transizione siano raccolti da cittadini e imprese.”

Allo stesso tempo, però, secondo Luca Bergamaschi, cofondatore e direttore esecutivo di Ecco, si tratta di “un segnale positivo, che chiarisce la posizione europea in vista della COP30. Nessun grande blocco di paesi emettitori ha obiettivi così ambiziosi per i prossimi 15 anni, al netto delle flessibilità. Ma ora è fondamentale che questi impegni si traducano in politiche e investimenti a favore dell’elettrificazione dell’economia e dell’efficienza energetica, senza ritardi o deregolamentazioni”.

Verso il trilogo

L’accordo raggiunto dal Consiglio è però solo il primo passo. Si tratta infatti del mandato negoziale che permetterà all’UE di avviare i negoziati finali – i cosiddetti triloghi – con il Parlamento europeo, che dovrà prima adottare la propria posizione. Solo al termine di questo processo si avrà il testo definitivo della revisione della legge climatica. Un compromesso che riflette le tensioni sempre più evidenti in Europa tra ambizione climatica e preoccupazioni economiche e sociali, e che ora dovrà superare l’ultimo scoglio del confronto con il Parlamento, tradizionalmente più ambizioso sul fronte ambientale.

L’intesa strappata all’alba a Bruxelles, dopo una notte insonne per i ministri dell’ambiente, era necessaria per consentire all’Unione Europea di non presentarsi a mani vuote alla COP30. Il target sarà infatti la base per aggiornare anche il contributo determinato a livello nazionale (NDC) per il 2035, cioè l’impegno del continente nella riduzione globale delle emissioni che dovrebbe tradursi in un taglio compreso tra il 66,25% e il 72,5% rispetto ai livelli del 1990. “Abbiamo un mandato eccezionalmente forte che ci consente anche di chiedere di più agli altri”, ha commentato Hoekstra.

A ben guardare, l’accordo rappresenta per ora un equilibrio fragile: abbastanza ambizioso da mantenere l’UE sulla traiettoria verso la neutralità climatica al 2050, ma sufficientemente flessibile da rispondere alle preoccupazioni di competitività e impatto sociale che attraversano il continente, quindi soggetto ad azioni dei paesi membri che ne potranno accelerare o meno i risultati. Sarà ora compito del trilogo verificare se questo equilibrio reggerà poi al confronto con le istanze del Parlamento europeo, e se la musica europea riuscirà a essere qualcosa di più dei violini sul ponte del Titanic che sembravano suonare martedì notte a Bruxelles.

 

In copertina: Gilberto Pichetto Fratin © Consiglio UE