Dopo tre elezioni in cinque anni, i Paesi Bassi hanno scelto la via del centro. Ma dietro quella che è apparentemente una vittoria progressista si nasconde una realtà più complessa e tutt’altro che rassicurante.

Le recenti elezioni legislative, avvenute a fine ottobre ma i cui risultati sono stati ufficializzati oggi, venerdì 7 novembre, hanno segnato il ritorno sulla scena di una nazione più moderata e pro europea, guidata dal giovane leader Rob Jetten e dal suo partito social-liberale D66 (Democrats 66). Tuttavia, la crescita simultanea dell’estrema destra e la frammentazione del sistema politico rendono incerta la direzione che prenderà L’Aja e, con essa, una parte significativa del futuro politico dell’Unione Europea.

Il peso dell’estrema destra

Lo scorso giugno Geert Wilders, leader del partito di estrema destra, Partij voor de Vrijheid (PVV), ha abbandonato la coalizione quadripartitica a causa di una controversia sulle politiche in materia di asilo per le persone migranti, provocando di fatto la caduta del governo del primo ministro Dick Schoof. E così, dopo soli 11 mesi, i nederlandesi sono tornati alle urne in un clima di sfiducia diffusa.

Questa volta i Paesi Bassi hanno scelto il volto giovane e il messaggio ottimistico di Rob Jetten, “Het kan wél”, il “Yes we can” olandese, che si avvia a diventare, nei prossimi mesi dopo le consultazioni per la formazione del governo, il primo ministro più giovane della storia del paese, alla guida di un governo più centrista e favorevole all'UE rispetto al precedente.

Sebbene ci siano delle lezioni da imparare dai D66, partito progressista socioliberale, e dalla performance di Jetten, sarebbe sbagliato dare per scontato che l'estrema destra nederlandese sia stata sconfitta. Il risultato è stato un pareggio tecnico: D66 e PVV hanno conquistato entrambi 26 seggi su 150, diventando le forze più rappresentate in Parlamento.

Quindici partiti siederanno nella nuova Camera, riflesso di un elettorato volubile e stanco. Tutti e quattro i partiti della precedente coalizione sono stati puniti dagli elettori. Il PVV ha perso un terzo dei propri deputati, ma rimane la seconda forza del paese, con un consenso pari al secondo miglior risultato della sua storia. Parallelamente, partiti minori dell’estrema destra come JA21 e Forum voor Democratie (FvD) hanno guadagnato terreno, portando il blocco radicale a 42 seggi complessivi, più di un quarto del Parlamento (nel 2021 i seggi di estrema destra erano 28).

Questo significa che, nonostante la battuta d’arresto di Wilders, l’influenza della destra radicale resta forte e pervasiva. Negli ultimi anni, gran parte dei partiti centristi ha progressivamente adottato il linguaggio e parte dell’agenda dell’estrema destra, soprattutto su temi come l’immigrazione e i diritti di asilo per i migranti.

La sfida di Jetten e la formazione del governo

“Il D66, grande vincitore delle elezioni, ha cercato di attirare gli elettori più conservatori con la retorica e il posizionamento: il tratto distintivo della loro campagna è stato quello di esibire la bandiera nederlandese ogni volta che era possibile, uno strumento solitamente utilizzato dalla destra”, analizzano Armida van Rij e Sander Tordoir, senior research fellow e chief economist del Centre for European Reform (CER), think-tank indipendente londinese. “La cosa più sorprendente è che il partito ha cambiato rotta e ora sostiene l'esternalizzazione delle procedure di asilo al di fuori dell'UE, una politica condannata dalle organizzazioni per i diritti umani. In queste elezioni, il 35% dei voti è arrivato da coloro che in precedenza avevano votato per partiti di destra e di estrema destra, tra cui il VVD (Volkspartij voor Vrijheid en Democratie, Partito popolare per la libertà e la democrazia) con l’11% e il PVV (7%). Non è chiaro come riusciranno a soddisfare questi elettori con la loro politica, al di là dei simboli, e il D66 potrebbe trovarsi di fronte a scelte difficili su chi coinvolgere nel governo.”

Per Jetten la sfida ora è, infatti, tradurre questa vittoria simbolica in un governo stabile. L’unica coalizione numericamente solida sarebbe un’alleanza centrista con 86 seggi che include D66, il partito liberale-conservatore VVD, Sinistra verde-Partito del lavoro GL/PvdA (GroenLinks-Partij van de Arbeid) e i cristiano-democratici del CDA (Christen-Democratisch Appèl).

“Jetten deve ancora convincere il partito di centrodestra VVD a governare con un partito di centrosinistra piuttosto che perseguire un'opzione che includa il partito di estrema destra JA21”, scrivono van Rij e Tordoir, secondo cui il nuovo primo ministro “dovrà dimostrare rapidamente che un governo competente e centrista è in grado di ottenere risultati, sia a livello nazionale che europeo.” In effetti, VVD, che sotto la guida del suo precedente leader, l'ex primo ministro Mark Rutte, ha spesso governato con partiti più progressisti, ha recentemente dichiarato che non formerà una coalizione con il centro-sinistra GL/PvdA. Come spesso accade a L’Aja, si prospettano dunque negoziati lunghi e complessi: nel 2021 ci vollero 299 giorni per formare l’esecutivo.

Le politiche ambientali nel dibattito elettorale

Il voto nei Paesi Bassi del 2025 non riguarda soltanto immigrazione o politiche sociali, ma ha implicazioni dirette anche sulla transizione ecologica dello stato. Diverse forze politiche − da D66 fino a GroenLinks-PvdA, guidata da Frans Timmermans − hanno inserito nei propri programmi obiettivi climatici ambiziosi, con target stringenti per la riduzione delle emissioni, investimenti in energie rinnovabili, efficienza energetica e cambiamenti nel settore agricolo.

Tuttavia, proprio il partito di Timmermans, ex commissario europeo per il clima, ha perso molti voti in queste elezioni e 4 dei 24 seggi conquistati alle elezioni del 2023, in parte perché D66 ha intercettato l’elettorato verde con toni più ottimistici e meno ideologici. E così, all’uscita dei primi exit pool, a seguito dello scarso risultato ottenuto dal partito, Timmermans si è dimesso dalla carica di leader dell'alleanza GroenLinks-PvdA.

Altri partiti, in particolare quelli più vicini all’area rurale o populista, nei propri programmi politici hanno mostrato una forte resistenza alle misure che impongono limiti alle emissioni, come ad esempio quelle di azoto. In un contesto europeo sempre più sensibile alle politiche climatiche e al Green Deal, la composizione del nuovo governo, in particolare la scelta se includere o meno partiti scettici o moderati su misure “verdi”, potrà influenzare non soltanto la politica interna, ma anche il contributo nederlandese agli obiettivi UE su clima, energia e agricoltura.

Il ruolo strategico dei Paesi Bassi

Questa incertezza non è però solo una questione nazionale. Dopo due anni di assenza e paralisi politica, l’Europa attende il ritorno di un partner cruciale. Tradizionalmente, i Paesi Bassi sono stati una forza equilibratrice tra l’approccio interventista franco-tedesco e la visione più liberale e mercatista del Nord Europa. Ma negli ultimi tempi, L’Aja è diventata un player marginale, spesso più intenta a bloccare che a costruire.

Una leadership rinnovata e stabile potrebbe restituire ai Paesi Bassi il ruolo di ponte europeo che storicamente hanno ricoperto. Il paese, quinto per dimensioni economiche dell’Eurozona, ospita aziende strategiche come ASML e NXP, fulcri della catena globale dei semiconduttori, e potrebbe diventare un attore chiave nella definizione dell’autonomia strategica europea in chiave circolare e sostenibile. Tuttavia, per farlo, dovrà continuare a investire in ricerca, università e immigrazione qualificata, proprio i bersagli preferiti dei populisti nederlandesi.

Il nuovo governo dovrà quindi affrontare scelte difficili: bilanciare la difesa del welfare con le regole fiscali europee, conciliare la necessità di una politica industriale comune con il rigore tradizionale de L’Aia, e soprattutto ricostruire la fiducia dei cittadini in una democrazia rappresentativa che appare sempre più frammentata e polarizzata.

In un’Europa in cui la destra radicale avanza quasi ovunque, la fragile vittoria di Rob Jetten assume il valore simbolico di una tregua, un momento di respiro in cui il centro tenta di riaffermarsi con un linguaggio positivo, aperto e pragmatico. Resta da vedere se questo ottimismo sarà sufficiente a restituire ai Paesi Bassi, e all’Europa, un governo stabile e una bussola politica capace di guardare avanti.

 

In copertina: Rob Jetten, foto dalla sua pagina Facebook