Quando i leader mondiali si riuniranno a Belém, nel cuore dell’Amazzonia, per la 30ª Conferenza delle Nazioni Unite sul clima (COP30), si troveranno di fronte a un bivio. A dieci anni dall’Accordo di Parigi, l’era delle promesse è finita. È giunto il momento di concretizzare cambiamenti reali e quantificabili.

Che la COP30 si svolga in Amazzonia, l’ecosistema più grande e vitale del mondo, è simbolicamente significativo: polmone del pianeta, la sua distruzione soffoca tutti noi. Ospitare qui la Conferenza è sia un segno di riconoscimento del ruolo della foresta nella stabilità climatica globale, sia un monito alla dura realtà che ci tocca affrontare: gli ecosistemi in salute non sono un lusso, ma la base della nostra sopravvivenza.

Al Comitato economico e sociale europeo (CESE, organismo consultivo dell’UE che rappresenta i lavoratori, i datori di lavoro e la società civile), osserviamo quotidianamente come le politiche in materia di clima e biodiversità influenzino la vita delle persone. All’interno della sezione NAT, ci concentriamo sui settori dell’agricoltura, dell’ambiente e dello sviluppo rurale, dove i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità non sono più rischi astratti, ma realtà vissute.

Tuttavia, l’azione per il clima non può riuscire se isolata dalla natura. In preparazione della COP30, anche il CESE ha contribuito alla Conferenza delle parti delle Nazioni Unite sulla biodiversità (COP16), invitando a porre la biodiversità in prima linea negli sforzi globali. Il concetto di biodiversità non si limita alla protezione della fauna selvatica, ma supporta gli ecosistemi che forniscono cibo, acqua, posti di lavoro e stabilità. Senza di essa, le nostre economie crollano. Per questo motivo il CESE sostiene un approccio integrato che colleghi clima, agricoltura, commercio ed energia, al fine di assicurare che gli obiettivi ambientali, sociali ed economici progrediscano insieme.

Il legame tra clima, natura e benessere umano è al centro di quello che chiamiamo approccio One Health: l’indissolubilità tra salute umana, animale e ambientale. Con il declino degli ecosistemi, si indebolisce la loro capacità di contrastare le malattie e mantenere i mezzi di sussistenza. Il ripristino della biodiversità e della salute degli ecosistemi non è quindi solo una priorità ambientale, ma è essenziale per la salute pubblica e la prosperità a lungo termine.

Nello stesso spirito, il CESE considera l’agricoltura rigenerativa come una pietra miliare di questa trasformazione. “L’agricoltura rigenerativa è un’opportunità per definire una nuova narrazione positiva per l’agricoltura europea, incentrata su ciò che siamo: terreni sani, comunità rurali forti e sistemi alimentari sostenibili,” ho dichiarato io stesso in un nostro recente intervento.

L’agricoltura rigenerativa punta ai risultati, non all’ideologia; miglioramenti misurabili nella salute del suolo, nello stoccaggio del carbonio e nel benessere rurale. Il CESE richiede una definizione comune basata sui fatti e sollecita l’UE a riconoscere il suolo come bene pubblico. Dobbiamo fornire agli agricoltori gli strumenti, gli incentivi e le conoscenze necessari per adottare pratiche rigenerative e garantire che siano equamente ricompensati per i servizi ambientali che forniscono.

La COP30 deve essere caratterizzata da un’attenzione particolare all’attuazione, alla trasformazione delle parole in progressi verificabili. I governi illustreranno i propri impegni aggiornati in materia di clima per il 2035 e la credibilità della diplomazia internazionale in proposito dipenderà dalla capacità di sostenere tali impegni con azioni concrete e finanziamenti adeguati. E nemmeno l’UE si presenterà alla COP30 a mani vuote: la versione aggiornata dei contributi determinati a livello nazionale (NDC), concordata il 5 novembre, ribadisce il nostro obiettivo di raggiungere una riduzione netta del 55% delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2030. Sulla base di ciò, l’NDC stabilisce una riduzione indicativa compresa tra il 66,25% e il 72,5% entro il 2035, con lo scopo di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050.

Il CESE, rappresentato nella delegazione dell’UE, continuerà a promuovere azioni fondate su dati scientifici e una transizione equa. Da anni sosteniamo che la giustizia sociale e la giustizia climatica siano inseparabili. Il passaggio a un mondo neutro in termini di emissioni di carbonio deve responsabilizzare le comunità, non emarginarle.

Il tempo, però, stringe. Fenomeni meteorologici estremi, insicurezza alimentare e sfollamenti sono già una realtà. Ogni ritardo ha un costo in termini di vite umane. La COP30 deve quindi essere più di un semplice vertice: è il momento in cui il mondo passa con decisione dalle promesse ai fatti. L’Accordo di Parigi ha illuminato la strada. Ora, in Amazzonia, ponendo al centro persone, suolo e natura, i tempi sono maturi per iniziare a percorrerla.

 

Stoyan Tchoukanov è presidente della sezione NAT del Comitato economico e sociale europeo (CESE), che si occupa di agricoltura, sviluppo rurale e questioni ambientali

 

In copertina: foto di Rafa Neddermeyer/COP30