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Il 5 Agosto riprenderà a Ginevra, in Svizzera, la quinta sessione prorogata del Comitato intergovernativo di negoziazione (INC-5.2) per un Trattato globale sulla plastica, sospesa senza accordo nel Dicembre 2024 a Busan, in Corea del Sud. I crediti di plastica, certificati che rappresentano un peso specifico di plastica raccolta e riciclata da un'organizzazione, sono stati promossi come un meccanismo di finanziamento chiave da includere nel trattato.

Secondo la banca mondiale, potrebbero aiutare a colmare un “funding gap” di 240 miliardi all’anno da qui al 2040 per la gestione dei rifiuti di plastica. Un rapporto del Gruppo di esperti 1 di INC sui meccanismi finanziari li descrive come “strumenti innovativi […] adottati dalle istituzioni finanziarie [per] incentivare le aziende a passare a pratiche sostenibili” e afferma che sono “strumenti finanziari basati sui risultati”.

Ma lo studio Unpacking plastic credits: Challenges to effective and just global plastics governance pubblicato sulla rivista scientifica One Earth da un consorzio internazionale di scienziati indipendenti mostra che i sistemi di compensazione (offseting schemes) come i crediti di plastica rischiano di replicare i fallimenti strutturali nella governance climatica, ostacolare interventi efficaci quali un limite alla produzione primaria e in ultima analisi potrebbero persino aggravare la crisi da inquinamento tossico e il cambiamento climatico.

"Il nostro articolo […] evidenzia che i crediti per la plastica non sono un approccio appropriato per ridurre l'inquinamento da plastica o per finanziare gli sforzi di riduzione", ha detto Melanie Bergmann, ricercatrice presso l'Alfred Wegener Institute, Helmholtz Centre for Polar and Marine Research (AWI) e coautrice dell’articolo. Secondo gli autori, membri della Scientists’ Coalition for an Effective Plastics Treaty, i crediti di plastica potrebbero creare scappatoie e minare gli sforzi per ridurre l’inquinamento da plastica facilitando la crescita della produzione di polimeri plastici, che è attualmente sulla strada per triplicare entro il 2060. A oggi, le emissioni di gas serra derivanti dalla produzione di plastica corrispondono al 5,3% delle emissioni di CO₂ e potrebbero arrivare a consumare fino al 30% del budget rimanente entro il 2030 andando quindi a esacerbare la crisi climatica.

Difficile dimostrare l’addizionalità

I crediti di plastica vengono emessi per tipologie di attività downstream (rimozione e riciclo), ma non per attività upstream (come ad esempio la promozione del riuso). Vengono acquistati dalle imprese che, invece di ridurre direttamente la produzione di rifiuti, pagano qualcuno che li raccolga o li ricicli in un altro luogo e nel futuro. Questo schema di compensazione, spiegano gli autori dello studio su One Earth, ha gli stessi problemi già evidenziati con i crediti di carbonio, tra cui la mancanza di “addizionalità”.

L’addizionalità è il requisito secondo il quale i crediti devono essere destinati a finanziare attività che non sarebbero state realizzate senza il supporto finanziario fornito dai crediti. Provare l’addizionalità è complicato: raccolta e riciclo, infatti, di solito avvengono prima dell’emissione dei crediti, mancano standard e trasparenza nelle rendicontazioni e ci sono “incertezze significative nella proiezione di linee di base controfattuali [che portano al] risultato finale di massimizzare artificialmente le riduzioni credibili”.

Verra è l’organizzazione che gestisce il più grande programma di accreditamento di carbonio al mondo. Nell’ambito delle negoziazioni per un trattato globale sulla plastica, sta facendo pressioni per l’inclusione dei crediti di plastica come meccanismo finanziario. Materia Rinnovabile ha chiesto a Verra se i loro crediti rispecchiano il principio dell’addizionalità e in quale modo. Komal Sinha, Senior Director, Policy and Government Engagement di Verra ha risposto via email che “l’addizionalità è una caratteristica importante dei crediti di plastica emessi dal Verra’s Plastic Program. La Sezione 7 della Plastic Waste Collection Methodology e la Plastic Waste Recycling Methodology definiscono tre diversi test che un progetto può utilizzare per dimostrare che l'impatto della propria attività probabilmente non si sarebbe verificato in assenza del progetto. Ad esempio, se un progetto può dimostrare che il tasso di raccolta nell'area in cui opera è inferiore al 20%, la sua attività di raccolta sarà considerata aggiuntiva”.

Rischi reputazionali e di rivendicazioni di greenwashing per le aziende

Il problema della mancanza di addizionalità è evidenziato anche nel rapporto Exploring Plastic Credit Schemes: Scope, risks and uncertainties prodotto per Fauna & Flora dalla società di consulenza Eunomia. Avendo passato in rassegna i principali sistemi di crediti di plastica esistenti, tra cui quelli emessi da Verra e quelli emessi da Plastic Credit Exchange (PCX) basato nelle Filippine, il rapporto evidenzia che “è molto difficile avere fiducia che l'acquisto di crediti porti a una reale addizionalità”. A questo proposito, il rapporto evidenzia anche “i rischi per le aziende in termini di potenziali rischi reputazionali e di rivendicazioni di greenwashing nei loro confronti qualora si impegnino nei mercati dei crediti di plastica”.

“La sfida posta dai sistemi di crediti è che cercano di dimostrare l'addizionalità rispetto a un controfattuale. Questo sarà sempre difficile e controverso. Al contrario, i sistemi di responsabilità estesa del produttore (EPR) non sono tenuti a farlo. Devono invece fornire un certo standard di copertura della raccolta e dimostrare di raggiungere gli obiettivi prefissati. I dati sulle prestazioni sono ancora molto importanti per capire come funzionano [i vari EPR], ma si tratta di dimostrare le prestazioni assolute piuttosto che cercare di dimostrare l'addizionalità rispetto a un controfattuale”, spiega a Materia Rinnovabile Chris Sherrington, Head of Environmental Policy & Economics a Eunomia e autore principale del rapporto per Fauna & Flora.

"Penso che i crediti per la plastica siano una pericolosa distrazione”, ha dichiarato a Materia Rinnovabile Kelvin Law, professore associato di contabilità alla Nanyang Business School di Singapore che non ha partecipato né allo studio su One Earth né al rapporto per Fauna & Flora. “Danno a chi inquina una carta 'esci di prigione gratis'. Un'azienda può continuare a sfornare plastica monouso inutile, poi acquistare dei crediti per un progetto di bonifica e dichiarare che sono 'plastic neutral'. È la ricetta perfetta per il greenwashing."

Il Dott. Law è specializzato in sostenibilità aziendale, con particolare attenzione all'individuazione del greenwashing e ai crediti ambientali. "Il vero problema è la sovrapproduzione di plastica stessa. L'unica vera soluzione è chiudere il rubinetto alla fonte. Abbiamo bisogno di un limite vincolante alla produzione di plastica. Qualsiasi altra cosa è solo una discussione su come pulire al meglio una fuoriuscita che aumenta di secondo in secondo."

Un parametro universale per le emissioni di plastica non è scientificamente accettabile

Un altro problema evidenziato dallo studio su One Earth è la logica "tonnellata per tonnellata" che semplifica eccessivamente la complessità materiale, tossicologica e contestuale dell'inquinamento da plastica. “Non esiste alcuna equivalenza possibile tra le materie plastiche”, spiega a Materia Rinnovabile Andrea Bonisoli-Alquati, professore associato di tossicologia ambientale presso la California State Polytechnic University di Pomona e co-autore dello studio. “Come gruppo, comprendono non solo una varietà di tipi di polimeri, ma anche un'incredibile varietà di sostanze chimiche, stimate in oltre 16.000. Queste vengono utilizzate come punti di partenza nella produzione, per semplificarla, o aggiunte alle materie plastiche per conferire loro proprietà di resistenza, durata o per motivi estetici. Oltre 4.200 di queste sostanze chimiche sono preoccupanti per la salute umana e degli ecosistemi. Molte altre non sono ancora state caratterizzate per la loro tossicità. Quindi, in sostanza, qualsiasi parametro universale non riesce a catturare la complessità chimica delle materie plastiche, lasciando incomprensibili gli effetti tossici per l'uomo e gli ecosistemi.”

“Il danno più grave risiede forse nel modo in cui i crediti per la plastica rischiano di legittimare la continua produzione di plastica, consentendo affermazioni di neutralità della plastica che potrebbero fuorviare o alterare l'immagine di aziende e settori produttivi”, aggiunge Bonisoli-Alquati. “Potrebbero anche distogliere l'attenzione e gli sforzi da cambiamenti sistemici cruciali, come l’istituzione di programmi EPR che responsabilizzano le aziende di produzione per i danni causati alle persone e all'ambiente […]. I crediti per la plastica potrebbero non riuscire a prevenire il proseguimento e il peggioramento della crisi dell'inquinamento da plastica. In virtù di questo fallimento, si verificheranno gravi danni alle persone e agli ecosistemi in cui vivono, poiché sempre più prove collegano l'esposizione alla plastica a effetti negativi sulla salute. Molte sostanze chimiche plastiche sono state collegate a malattie metaboliche (come il diabete), problemi di fertilità, malattie cardiovascolari e disturbi dello sviluppo neurologico.”

Legittimazione del colonialismo dei rifiuti

"Molti crediti di plastica sono venduti nel Sud-Est asiatico, nelle Filippine, in Indonesia e nell'Africa orientale", dice a Materia Rinnovabile Neil Tangri, Science and Policy Director della Global Alliance for Incinerator Alternatives e co-autore dello studio su One Earth. “Questi luoghi sono focolai di inquinamento da plastica, ma sono anche luoghi in cui [i paesi occidentali] esportano rifiuti di plastica. La maggior parte dei rifiuti raccolti tramite i programmi di crediti finisce nei cementifici o è bruciata all’aria aperta, e tali attività sono conteggiate come riciclo, anche se non lo sono. L’inclusione dei crediti di plastica nel Trattato globale sulla plastica incoraggerebbe i paesi ricchi a inviare più rifiuti. Se i crediti di plastica diventassero parte delle normative ambientali di un paese, qualsiasi attività finanziata da questi crediti verrebbe legittimata."

Neil Tangri spiega a Materia Rinnovabile che l'esportazione di rifiuti plastici verso paesi che non dispongono di infrastrutture adeguate per una gestione ecologicamente corretta è qualcosa che ora si sta verificando in una “zona grigia”, sebbene gran parte di queste spedizioni non dovrebbe avvenire secondo la Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti oltre frontiera di rifiuti pericolosi. “L’applicazione della Convenzione di Basilea è molto debole e [nelle esportazioni illegali di rifiuti di plastica] c’è il coinvolgimento della criminalità organizzata. I crediti di plastica renderebbero tutto questo completamente legale e lo incoraggerebbero, rendendolo più redditizio di quanto non sia già adesso", aggiunge Tangri.

L’istituzione di sistemi EPR dovrebbe essere un obiettivo fondamentale del Trattato globale sulla plastica

“È importante riconoscere che la raccolta e la gestione dei rifiuti devono funzionare come un sistema”, spiega a Materia Rinnovabile Chris Sherrington. “I crediti per la plastica sono generati da singoli progetti o impianti: non sono progettati o non sono adatti a portare un cambiamento nell'intero sistema. I sistemi EPR, al contrario, possono fornire finanziamenti e contribuire a coordinare gli investimenti in un sistema di questo tipo.”

Il rapporto di Eunomia per Flora & Fauna mostra che esistono differenze fondamentali tra sistemi EPR ben progettati e crediti. “L'EPR è un sistema gestito centralmente basato sul principio guida del recupero dei costi. Se progettato e implementato correttamente, può svolgere un ruolo di coordinamento man mano che la raccolta e la gestione dei rifiuti vengono ampliate. I crediti, tuttavia, non possono fare lo stesso perché incanalano i finanziamenti verso progetti di raccolta e recupero su base individuale, anziché erogare finanziamenti in modo sistematico per l'intera gestione dei rifiuti”. Il rapporto raccomanda infatti che “l'istituzione del recupero dei costi tramite la responsabilità estesa del produttore sia un obiettivo fondamentale del Trattato delle Nazioni Unite sulla plastica, non l'espansione dei meccanismi di credito”.

 

In copertina: foto di Bamban Heru Zgd, Unsplash