Il governo brasiliano, insieme a Germania e Regno Unito, ha annunciato alla COP30 il lancio della Bioeconomy Challenge, una piattaforma multistakeholder che mira a trasformare in pratiche operative i princìpi di alto livello del G20 sulla bioeconomia. L’iniziativa, strutturata su un arco triennale fino al 2028, si propone di colmare quattro lacune sistemiche: l’assenza di metriche internazionali condivise, la carenza di strumenti finanziari adeguati, la debolezza dei mercati bioeconomici e la necessità di riconoscere e valorizzare il ruolo delle comunità tradizionali nei territori.

La piattaforma intende fungere da cornice globale, allineando programmi già esistenti e promuovendo un modello di cooperazione internazionale che collochi la bioeconomia al centro delle strategie per l’Accordo di Parigi e le convenzioni su clima e biodiversità.

La bioeconomia sta assumendo un ruolo sempre più rilevante nei dibattiti internazionali, sia per il suo potenziale economico sia per la sua capacità di integrare mitigazione, adattamento e coesione sociale. Comprende attività che utilizzano risorse biologiche (piante, microbi, biomassa) per produrre alimenti, biocarburanti, farmaci, materiali innovativi.

Le proiezioni economiche sono consistenti: il sito ufficiale della Bioeconomy Challenge evidenzia come la piattaforma voglia creare un “ecosistema abilitante” per sbloccare il pieno potenziale della bioeconomia globale. In Brasile, l’obiettivo è coniugare innovazione e tutela degli ecosistemi, puntando su mercati basati sulla biodiversità e sulla conoscenza tradizionale.

Nel corso dell’evento, Marina Silva, ministra brasiliana dell’ambiente, ha ricordato che un nuovo modello economico credibile deve superare le logiche estrattiviste e restituire centralità alle comunità e ai territori. Qui entrano infatti in scena le specificità − e le contraddizioni − brasiliane. Da un lato, negli ultimi cinquant’anni il paese ha conosciuto una bioeconomia di tipo estrattivo, legata allo sfruttamento della foresta e a modelli produttivi che hanno sottratto terra e diritti alle comunità indigene e tradizionali. Dall’altro lato, però, esiste una bioeconomia molto più antica: quella indigena, che affonda le sue radici in pratiche sostenibili e in un rapporto equilibrato con la natura.

“Prima che si parlasse di bioeconomia”, ha detto Juan Carlos Jintiach, segretario esecutivo dell’Alleanza globale delle comunità territoriali, “le nostre comunità già gestivano la biodiversità attraverso sistemi di conoscenza integrati con gli ecosistemi”. È la “bioeconomia ancestrale”, per il cui riconoscimento oggi lottano i popoli originari.

La sfida è dunque costruire una bioeconomia in grado di integrare sviluppo economico, equità sociale e tutela ambientale. Questo implica processi decisionali partecipativi, consenso informato e modelli di governance capaci di riconoscere il ruolo delle comunità territoriali. La Bioeconomy Challenge dichiara di voler operare proprio in questa direzione, attraverso meccanismi di governance condivisa e obiettivi trasparenti.

Resta però il quadro complesso del Brasile: attivisti ambientali e leader indigeni continuano a essere esposti a violenze e intimidazioni. Mentre a Belém si svolge la prima COP della storia in Amazzonia, nello stato del Mato Grosso un attivista locale è stato assassinato e altri due gravemente feriti. Le politiche bioeconomiche dovranno confrontarsi anche con queste realtà, evitando che princìpi avanzati restino scollegati dalle condizioni sul terreno.

La questione ha ricadute dirette anche sul dibattito italiano. L’Italia è uno dei principali produttori di biocarburanti in Europa: nel 2024 ha raggiunto una produzione stimata di 1,2 milioni di tonnellate, posizionandosi al quarto posto nell’Unione Europea. La strategia nazionale punta ad aumentare ulteriormente la capacità produttiva entro il 2030, favorendo investimenti in filiere agricole dedicate e in tecnologie per l’espansione dei biofuel avanzati.

Allo stesso tempo, diversi osservatori segnalano l’esistenza di rischi legati ai progetti italiani di biocarburanti nei paesi africani. In Mozambico, per esempio, alcuni programmi agricoli destinati alla produzione di biofuel hanno comportato la conversione di terre comunitarie in coltivazioni intensive su larga scala. Questo solleva questioni cruciali: come prevenire nuove forme di pressione sui territori? E quali strumenti servono per garantire che i benefici economici siano distribuiti in modo equo?

La Bioeconomy Challenge rappresenta un tentativo di organizzare e orientare un settore in rapida espansione, creando standard, strumenti finanziari e mercati più coerenti con gli obiettivi climatici e sociali. Resta da capire se questa architettura riuscirà a incidere davvero sulle dinamiche concrete, dalla distribuzione dei finanziamenti alla partecipazione delle comunità, fino alla definizione di un nuovo equilibrio tra natura ed economia.Inizio modulo

 

In copertina: Marina Silva, ministra dell'ambiente e dei cambiamenti climatici del Brasile, Carsten Schneider, ministro dell'ambiente della Germania, e l’attivista Juan Carlos Jintiach al lancio dell'iniziativa La sfida della bioeconomia: tradurre i principi di alto livello del G20 in azioni sistemiche attraverso una roadmap per una bioeconomia globale a COP30). Foto di Aline Massuca/COP30