C’è una leva climatica poco raccontata e già disponibile nel mondo dell’energia, quella del biometano. Con questa risorsa è possibile trasformare gli scarti organici in energia, fertilizzanti e CO₂ biogenica. La World Biogas Association stima che ogni anno l’attività umana generi 105 miliardi di tonnellate di rifiuti organici, responsabili di forti emissioni di metano, un gas 85 volte più climalterante della CO₂ su vent’anni.

Oggi solo il 2% di questi flussi è gestito correttamente. Una gestione appropriata permetterebbe di tagliare le emissioni globali fino al 13% entro il 2030, combinando la prevenzione degli sprechi per circa il 3% e il trattamento/riciclo degli scarti inevitabili tramite digestione anaerobica per un ulteriore 10%. La proposta è pragmatica: integrare la digestione anaerobica nei piani clima nazionali, creare mercati per i benefici ambientali e valorizzare il digestato come fertilizzante. È una leva immediata, con ricadute su suolo, aria, salute pubblica e resilienza energetica dei settori difficili da elettrificare.

L’Europa tra obiettivi e cantieri

Nel dibattito europeo biometano significa sicurezza, competitività e transizione ordinata. La European Biogas Association chiede un obiettivo vincolante di 100 miliardi di metri cubi al 2040 e una European Biogases Charter per allineare i piani nazionali, accelerare i permessi, riformare il mercato e riconoscere il valore circolare di digestato e CO₂ biogenica.

Oggi il contributo è di circa 22 bcm, pari a circa il 7% dei consumi di gas dell’UE nel 2023, con investimenti privati in crescita e un potenziale di cattura della CO₂ biogenica che può arrivare a 89 milioni di tonnellate l’anno entro il 2040. Alla European Biomethane Week, il commissario Dan Jørgensen ha ricordato che “il biometano fornisce energia pulita per sostenere la competitività dell’industria europea e rafforza sicurezza e indipendenza grazie a un’alternativa domestica”. Il punto però è industriale.

Daniel Mes, della Task Force competitività della Commissione, ha avvertito che “dire che l’Europa è aperta al biometano è la parte facile, la vera sfida è costruire il business case”. Lo stesso palco ha messo in chiaro gli ostacoli: crescita in rallentamento per iter autorizzativi lunghi, barriere all’iniezione in rete, scambi transfrontalieri limitati e scarsa comprensione pubblica. La traduzione operativa passa da certezze regolatorie di lungo periodo, reti più integrate e piena valorizzazione di digestato e bio-CO₂ nelle metriche di finanza climatica.

Danimarca, il laboratorio europeo

Il caso della Danimarca è emblematico, perché unisce scala industriale, rete pronta e ambizione politica, oltre a ricoprire la presidenza di turno dell’UE. “La Danimarca ha costruito uno dei sistemi biogas più avanzati al mondo, in cui agricoltura, energia e gestione dei rifiuti sono integrate in un’unica economia circolare. Quasi metà del gas in rete è già biometano e con le giuste condizioni possiamo arrivare al 100% di gas verde entro il 2030”, spiega a Materia Rinnovabile Lars Kaspersen, CEO di Biogas Denmark. I numeri raccontano la traiettoria: nel 2025 il biometano copre circa il 45% dei consumi di rete, gli impianti operativi sono 173 e gli investimenti superano i 12 miliardi di corone dal 2014. La riduzione di CO₂ è stimata in 2,9 milioni di tonnellate nel 2025, con potenziale di 5,1 milioni nel 2030. La funzione di sistema è la chiave.

“Il biometano è la spina dorsale flessibile della transizione: garantisce sicurezza quando vento e sole calano, riduce il metano agricolo e restituisce nutrienti ai campi. In altre parole, tiene accese le luci, taglia le emissioni e chiude il ciclo delle risorse”, sintetizza Kaspersen. Sul piano istituzionale, il ministro dell’Energia Lars Aagaard ha fissato l’asticella ricordando che nel 2024 il biogas valeva circa il 40% del sistema, lungo un percorso verso una rete del gas completamente decarbonizzata.

Dalla CO₂ biogenica ai Power-to-X

La traiettoria danese guarda oltre l’uso diretto in rete. “Con le giuste condizioni di mercato la Danimarca può mostrare all’Europa come sostituire il gas fossile con biometano sostenibile, come rendere l’agricoltura davvero sostenibile e come usare la CO₂ biogenica del biogas come pilastro per i futuri Power-to-X, dall’e-metano all’e-metanolo”, sottolinea Kaspersen. Qui subentrano due approcci complementari.

CCS (Carbon Capture and Storage) significa catturare la CO₂ biogenica generata nell’upgrading e stoccarla in modo geologico per rimozioni nette dall’atmosfera. CCU (Carbon Capture and Utilization) indica invece il riutilizzo della stessa CO₂ come materia prima in e-fuels, chimica e processi industriali. Non sempre produce rimozioni permanenti, ma riduce il ricorso a CO₂ fossile e integra rinnovabili elettriche e vettori molecolari. L’esperienza danese mostra come biogas e biometano siano ormai un’infrastruttura di resilienza energetica e industriale, capace di collegare la scala locale con quella europea della transizione.

 

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