Se le emissioni climalteranti resteranno elevate, l’Atlantic Meridional Overturning Circulation (AMOC), la corrente atlantica che mitiga il clima del continente europeo, potrebbe arrestarsi anche prima del 2100, varcando il punto di non ritorno già nei prossimi vent’anni.
È nella temporalità la notizia contenuta nel recente studio pubblicato sulla rivista scientifica Environmental Research Letters che vede il raggiungimento del punto di non ritorno (tipping point) climatico una possibilità molto più concreta nel Ventunesimo secolo. E persino negli scenari a basse emissioni il rischio di collasso dell’AMOC non scompare del tutto.
Paragonabile a un grande nastro trasportatore che muove le correnti oceaniche in base alle differenze di densità dell’acqua, la circolazione della corrente atlantica svolge il ruolo fondamentale di equilibratore climatico. Se si dovesse arrestare, in Europa calerebbero drasticamente le temperature, nella foresta amazzonica si invertirebbero le stagioni umide con quelle secche e nelle città costiere il mare si innalzerebbe ancora più rapidamente di decine di centimetri.
I risultati preoccupanti sull’AMOC
Rispetto alle ricerche precedenti, le simulazioni condotte dall’Istituto meteorologico dei Paesi Bassi, dal National Oceanography Centre di Southampton e dal Potsdam Institute for Climate Impact Research estendono l’orizzonte temporale climatico al 2500. Questi nuovi modelli hanno così individuato che il punto di non ritorno potrebbe essere raggiunto già entro i prossimi vent’anni. Mentre l’arresto completo si manifesterebbe nell’arco di cinquanta o cento anni.
Se le emissioni di CO₂ continueranno a crescere ai ritmi attuali, il 70% delle simulazioni prevede un collasso della circolazione della corrente atlantica. Con un livello intermedio di emissioni, la probabilità scende al 37%, mentre c’è una possibilità su 4 che accada persino con politiche climatiche stringenti.
I ricercatori fanno inoltre notare che questi modelli standard non includono l'acqua dolce extra derivante dalla fusione dei ghiacci in Groenlandia, che probabilmente renderebbe le proiezioni dell’AMOC ancora più vicine all’arresto.
Ridurre le emissioni per evitare il tipping point
Nonostante sia troppo tardi per eliminare completamente il rischio di collasso, i ricercatori del Potsdam Institute ritengono cruciale ridurre rapidamente le emissioni climalteranti. “I nuovi risultati sono piuttosto scioccanti, perché ero solito dire che la probabilità che l'AMOC si arrestasse a causa del riscaldamento globale era inferiore al 10%", ha dichiarato il professor Stefan Rahmstorf del Potsdam Institute for Climate Impact Research in Germania, parte del team di studio. "Ora, anche in uno scenario a basse emissioni le probabilità si aggirano attorno al 25%.”
Aixue Hu, del National Center for Atmospheric Research in Colorado − che non ha fatto parte del team di ricerca − ha dichiarato al Guardian che i risultati scientifici raggiunti sono importanti, ma rimane ancora molta incertezza sul momento in cui la corrente potrebbe arrestarsi e superare il punto di non ritorno. Questo perché mancano osservazioni dirette sufficienti sull’oceano e i modelli disponibili producono risultati variabili.
Nelle simulazioni condotte dal Potsdam Institute, il punto di non ritorno corrisponde all’arresto del movimento verticale dell’acqua che porta masse superficiali a sprofondare verso le profondità oceaniche in specifiche aree dell’Atlantico settentrionale. “Una volta oltrepassato il tipping point, il processo si auto-amplifica e non è più controllabile riducendo le emissioni”, spiega a Materia Rinnovabile Sandro Carniel, climatologo e oceanografo del Consiglio nazionale delle ricerche, che ha recentemente pubblicato, proprio sul tema del cambiamento climatico, il libro Rotte Mediterranee. Secondo Carniel, dunque, è necessario ridurre le emissioni adesso per evitare di superare il tipping point, perché “a quel punto il sistema non lo riprendi più nemmeno per le orecchie”.
Il nesso tra l’arresto dell’AMOC e la crisi climatica
Per spiegare come funziona il meccanismo di circolazione dell’AMOC serve fare una premessa: più l’acqua è fredda e salata, maggiore è la sua densità e più è facile che la sua massa sprofondi. Mentre se l’acqua è calda e dolce (cioè non salata) è più leggera e quindi rimane in superficie maggiormente.
L’aumento delle temperature, il surriscaldamento dei mari e la fusione dei ghiacci stanno rendendo sempre più le acque superficiali dell’oceano calde e leggere, quindi meno inclini a sprofondare e a mescolarsi con quelle più profonde. A questo rallentamento della corrente atlantica consegue un minor flusso di acqua calda e salata verso nord.
Per capire cosa potrebbe accadere in caso di interruzione dell’AMOC, bisogna guardare indietro di migliaia di anni. L’ultima volta che la circolazione atlantica si fermò risale a circa 12.900 anni fa, quando la fusione del gigantesco lago glaciale Agassiz in Nord America riversò enormi quantità di acqua dolce nell’oceano. Questo evento, probabilmente provocato dall’impatto con una cometa, fu seguito da un periodo di gelo durato circa 1.300 anni.
Da tempo si cerca di approfondire la conoscenza delle correnti atlantiche. A causa della crisi climatica, l'AMOC era già nota per essere al suo punto più debole da 1.600 anni a causa del clima. Secondo uno studio pubblicato su Nature nel 2018, negli ultimi settant’anni la spinta della corrente atlantica è diminuita del 15%. I modelli climatici parlano chiaro: non c’è più tempo da perdere, servono azioni di mitigazione climatica urgenti.
In copertina: immagine Envato