Il quarto ciclo di negoziati del Comitato intergovernativo di negoziazione (INC-4) per lo sviluppo di uno strumento internazionale giuridicamente vincolante (ILBI) sull’inquinamento da plastica si è tenuto a Ottawa, in Canada, dal 23 al 29 aprile. Per la prima volta le delegazioni hanno iniziato a condividere posizioni distinte sulle proprie aspettative per il futuro accordo, che dovrebbe essere approvato nel quinto e ultimo ciclo di negoziati (INC-5) a Busan, in Corea, dal 25 novembre al 1° dicembre 2024.

“Sebbene i colloqui sulla plastica siano iniziati con ambizioni elevate, è diventato chiaro che un forte trattato sulla plastica non è in alcun modo garantito”: così ha riassunto l’esito delle negoziazioni lEarth Negotiations Bulletin (ENB). La maggior parte di INC-4 è stata infatti incentrata sullo snellimento della Bozza Zero Rivista, un documento di quasi 70 pagine pubblicato dopo INC-3 contenente potenziali opzioni per l’ILBI, ma quello a cui si è arrivati è comunque ancora un testo “complesso e tentacolare”. Il testo era già pieno di parentesi – che indicano un testo non concordato – ma durante INC-4 ne sono state aggiunte altre 2.000, arrivando a un totale sconcertante di 3.686 parentesi da risolvere prima di trovare un accordo.

Poco prima della fine dell’ultima sessione plenaria, conclusasi alle 3:17 di martedì 30 aprile, la delegazione dell’Unione Europea si è detta "profondamente preoccupata" per il fatto che i giorni di negoziato rimanenti non saranno sufficienti per trovare un accordo e ha suggerito un tempo aggiuntivo per le negoziazioni prima di INC-5. La Federazione Russa, sostenuta dal Kuwait per il cosiddetto gruppo dei like-minded countries (Iran, Arabia Saudita, Pakistan, Bahrain, China, Cuba e “molti altri”) ha sottolineato di non essere "pronta in questo momento" a prendere tale decisione.

Su proposta del presidente dell’INC Luis Vayas Valdivieso (Ecuador), è stato deciso che ci saranno dei lavori intersessionali per fare chiarezza su argomenti importanti che devono essere inclusi nel testo finale, come la mobilitazione delle risorse finanziarie per l'attuazione del trattato e i criteri per identificare i prodotti di plastica problematici, le sostanze chimiche nocive e per promuovere la progettazione circolare. Non è stata però accolta la proposta di Ruanda e Perù di un lavoro intersessionale sulla riduzione della produzione di polimeri plastici primari (PPP), anche se sostenuta da circa 55 delegazioni.

“Ancora una volta possiamo constatare che l'ambizione di affrontare le questioni più urgenti per il successo di questo trattato (vale a dire affrontare di petto l'insostenibile sovrapproduzione di plastica) rimane fortemente carente, con il gruppo dei like-minded countries che di fatto blocca la discussione e l'ambizione significativa. Non possiamo semplicemente negoziare uno strumento che non è allineato con le ambizioni climatiche o che mina completamente gli sforzi verso un'economia circolare autentica e sicura”, ha detto a Materia Rinnovabile Chris Dixon, responsabile della campagna per un trattato globale sulla plastica alla Environmental Investigation Agency (EIA).

Incompatibilità sugli aspetti chiave del trattato

Le divergenze tra gli Stati riguardano aspetti chiave di ciò che dovrebbe essere incluso nell’ILBI. A partire dallo scopo, ovvero la definizione di cosa si intende per “intero ciclo di vita della plastica” (produzione, consumo, trattamento dei rifiuti o solo quest’ultimo aspetto, concentrandosi sul riciclo come unica soluzione?) e se debba includere o meno un obbligo globale di riduzione della produzione di polimeri plastici primari. Secondo la scienza non è possibile ridurre l’inquinamento da plastica senza una riduzione della produzione dei polimeri plastici primari, ma la loro produzione è al centro degli interessi economici dell’industria petrolchimica e dei combustibili fossili, che sono difesi dal gruppo dei like-minded countries  ma anche dagli Stati Uniti che sin dall’inizio dei negoziati hanno bloccato ogni discussione significativa e hanno lavorato per rivedere al ribasso le ambizioni del futuro accordo.

“A Busan dobbiamo vedere i Paesi ambiziosi superare la paura del disaccordo che abbiamo visto a Ottawa. Alcuni Paesi ambiziosi, come l'UE, hanno espresso il loro sostegno agli obblighi di riduzione della produzione di polimeri, ma questo sostegno non si è tradotto in posizioni concrete per far progredire l'argomento, ad esempio durante il periodo intersessionale”, ha spiegato a Materia Rinnovabile Daniela Durán González, Plastics Policy Specialist e senior attorney al Center for International Environmental Law (CIEL). “A Ottawa, questi Paesi sono scesi a compromessi troppo presto, ancor prima dell'inizio delle discussioni. Vorremmo vedere alcuni Paesi ambiziosi cambiare la loro strategia per puntare in alto, difendere l'ambizione e astenersi dallo scendere a compromessi per paura di un disaccordo con il gruppo dei like-minded countries che sono felici di diluire l'ambizione in questo trattato per sostenere la produzione di plastica.”

Oltre che sulla necessità o meno di includere obblighi globali alla produzione, le opinioni dei Paesi divergono fortemente anche su altri fronti. Per quanto riguarda le plastiche problematiche ed evitabili, non c’è accordo se esista una definizione uniforme di plastica problematica, se le misure proposte per affrontare questi prodotti saranno applicate a livello globale o solo a livello nazionale, se le misure proposte per affrontare questi prodotti saranno volontarie o obbligatorie. In pratica, se l’ILBI dovrà avere un approccio top-down come nella Convenzione di Minamata sul mercurio oppure bottom-up come nell’Accordo di Parigi.

Per quello che riguarda i finanziamenti per rendere operativo il futuro accordo, le preferenze dei vari Paesi variano dall’appoggiarsi alla Global Environment Facility (GEF) al costruire un nuovo fondo dedicato all'adottare un approccio ibrido. Molto più significativa, però, è stata la mancanza di sostegno alla proposta di una tassa globale sulla plastica, che avrebbe potuto essere “un enorme generatore di entrate” e avrebbe permesso di rendere operativo il principio del “chi inquina paga”.

Secondo l’Earth Negotiations Bullettin (ENB), ancora più interessante è chiedersi perché gli Stati membri esitino a imporre tasse ai produttori all'interno delle loro giurisdizioni: “Il crescente interesse per l'arbitrato internazionale da parte degli investitori stranieri per risolvere le controversie con i governi che impongono regolamenti ambientali può offrire qualche indizio, soprattutto perché il numero di lobbisti dell'industria che partecipano al processo INC continua a crescere”. Per questo motivo, come sottolineato da un osservatore esperto e riportato dall’ENB, “l'estensione della responsabilità estesa del produttore (EPR) per conformarsi a un eventuale trattato sulla plastica potrebbe essere controversa perché gli investitori non vorranno ulteriori restrizioni alle loro attività”.

Un’analisi condotta dal Center for International Environmental Law (CIEL) ha trovato che oltre 196 lobbisti dell'industria chimica e dei combustibili fossili hanno partecipato a INC-4, ovvero il 37% in più rispetto a quelli che erano presenti a INC-3. Per confronto, i rappresentanti delle delegazioni dell’Unione Europea erano 180, quelli dei piccoli Stati insulari in via di sviluppo del Pacifico (PSIDS) 73, mentre erano 60 gli scienziati indipendenti della Scientists’ Coalition for an Effective Plastics Treaty, su un totale di 2.500 partecipanti.

Disinformazione e intimidazioni agli scienziati

Durante le discussioni sono girate informazioni false sulla presunta assenza di impatto dell’inquinamento da plastica sulla salute umana. Come riportato da ENB, un delegato ha detto che “non esiste un legame diretto tra inquinamento da plastica e salute”, mentre alcune delegazioni hanno sostenuto che le prove degli aspetti sanitari dell'inquinamento da plastica “non sono ben sviluppate”. In realtà, studi scientifici indipendenti hanno accertato e quantificato il carico di malattia e i costi attribuiti alle sostanze chimiche presenti nella plastica. Anche i membri della Scientists’ Coalition che hanno partecipato a INC-4 hanno riferito di aver sentito durante le discussioni varie “affermazioni curiose” per quanto riguarda la presenza di sostanze chimiche nei prodotti in plastica (e la loro presunta innocuità sulla salute umana). Affermazioni contraddette dalle evidenze scientifiche, così come mostrato in uno dei fact checking prodotto dalla Scientists’ Coalition.

"Ho sentito dire che non ci sono dati sulle microplastiche, il che è palesemente falso: esistono 21.000 pubblicazioni su micro e nanoplastiche", ha dichiarato all'Associated Press Bethanie Carney Almroth, docente di ecotossicologia all'Università svedese di Göteborg e co-coordinatrice della Scientists’ Coalition. La ricercatrice ha spiegato come le tattiche dell'industria tra cui la disinformazione, la selezione dei dati e le molestie nei confronti degli scienziati mirino a ostacolare l'azione politica per affrontare l'inquinamento da plastica. Ha inoltre riferito alle Nazioni Unite che un lobbista le ha urlato in faccia durante una riunione.

“È estremamente preoccupante sentire parlare di intimidazioni e molestie nei confronti degli scienziati da parte dell'industria all'INC4", ha detto Marcos A Orellana, Relatore speciale delle Nazioni Unite su sostanze tossiche e diritti umani. "Il diritto alla scienza richiede la protezione degli scienziati. Dovrebbe esserci tolleranza zero per la cattiva condotta dell'industria.” 

Andare al di là del consenso

In preparazione di INC-5, 31 Paesi hanno sottoscritto la dichiarazione Bridge to Busan nella quale chiedono ai Paesi membri di INC di convenire su un obiettivo globale di produzione sostenibile dei polimeri plastici primari (l’Unione Europea non ha ancora firmato la dichiarazione, ma ha detto che lo farà). Perù e Ruanda hanno sostenuto la proposta "40x40", ovvero una riduzione del 40% della produzione globale di polimeri plastici primari entro il 2040 rispetto al livello del 2025.

“Dobbiamo negoziare un trattato globale che sia adatto a porre fine a questa crisi globale", ha detto a Materia Rinovabile Daniela Durán González. "Per farlo, dobbiamo superare il fatto che alcuni Paesi [il gruppo dei like-minded countries, ndr] faranno del loro meglio per fermare l'ambizione. Ecco perché l'adozione delle Regole procedurali con la possibilità di votare sarà fondamentale e finirà per essere il miglior incentivo per il consenso. Inoltre, un trattato adatto allo scopo è un trattato che questi Paesi non possono e non vogliono ratificare. Ecco perché abbiamo bisogno di misure per regolare il sistema commerciale globale, comprese misure per regolare il commercio tra Parti e non Parti dell'accordo, per garantire l'efficacia delle disposizioni e per creare un forte incentivo per tutti a firmare e ratificare una volta che sarà operativo.”

Il disaccordo su come prendere le decisioni, per consenso o per voto a maggioranza, accompagna il Comitato intergovernativo di negoziazione (INC) sin dall’inizio dei lavori nel 2022 e le Regole procedurali di INC non sono ancora state concordate. Sino a INC-4 si è infatti andati avanti per consenso, consentendo ai Paesi meno ambiziosi (il gruppo dei like-minded countries ma anche gli Stati Uniti) di utilizzare il veto per bloccare ogni proposta ambiziosa per limitare l’inquinamento da plastica che andasse contro gli interessi delle rispettive industrie petrolchimiche nazionali.

“Per quanto riguarda la natura dell'eventuale accordo, dobbiamo agire sulla base dell'ipotesi di una ratifica universale, ma anche garantire l'inserimento di disposizioni commerciali che regolino gli scambi commerciali con i Paesi che non ratificheranno l’accordo e di altre misure che incentivino la ratifica, così che assicurino che lo strumento possa essere efficace senza una ratifica globale”, ha detto a Materia Rinnovabile Chris Dixon.

Esempi di successo in tal senso sono la Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e il loro smaltimento e il Trattato sulla messa al bando delle mine antipersona.

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Immagine: Envato Elements