Qualcuno ricorderà la “Sindrome dei Balcani”: era l’autunno del 2000 quando si fece spazio tra le prime pagine dei quotidiani nazionali. Decine di soldati italiani si stavano ammalando di leucemie, linfomi non Hodgkin, tumori aggressivi dopo poche settimane dal loro ritorno dalle missioni di pace in Bosnia e in Kosovo. Negli Stati Uniti una decina di anni prima l’avevano chiamata “Sindrome del Golfo”, perché le malattie colpivano i veterani che avevano combattuto in Iraq e in Kuwait. Ma presto la geolocalizzazione divenne approssimativa, visti i tanti campi di battaglia. Minimo comune denominatore: l’utilizzo di munizioni a uranio impoverito in tutti questi contesti bellici.
L’uranio impoverito è un metallo pesante, prodotto di scarto delle centrali nucleari, che viene usato nelle testate missilistiche per il suo alto peso specifico, capace di bucare anche i tank e i bunker più resistenti, e per la sua alta capacità piroforica. La sua esplosione, colpito il bersaglio, genera temperature superiori ai tremila gradi. Polverizza tutto ciò che incontra generando nanopolveri di metalli pesanti. Quelle nanopolveri si ritrovano poi nei tessuti delle persone ammalate.
Esattamente 25 anni fa la Sindrome dei Balcani divenne un’emergenza nazionale: ci furono audizioni in Parlamento dell’allora ministro della difesa Sergio Mattarella, una commissione medico-ospedaliera, guidata dal rimpianto ematologo professor Franco Mandelli, commissioni di inchiesta parlamentare, l’ultima della quale, nel 2018, ha pubblicato una relazione che senza dubbi ha affermato: l’uranio impoverito è il responsabile. Ma non stiamo parlando di un cold case. Sono trascorsi 25 anni dal primo urlo disperato di una madre che vide morire in poco tempo il proprio ragazzo: Giuseppina Vacca, per sempre orfana del suo “Tore”. E c’è chi non ha mollato mai.
Angelo Fiore Tartaglia è avvocato romano, il primo a essersi rimboccato le maniche e l’unico che in tutto questo tempo ha assistito le vittime dell’uranio impoverito, più di 500 vittorie collezionate. Adesso c’è una novità importantissima e la racconta a Materia Rinnovabile.
"Per la prima volta lo stato serbo è stato condannato per un ufficiale colonnello dell’esercito che ha preso parte alla guerra e si è ammalato di tumore ai polmoni.” Insieme all’avvocato Srdjan Aleksic, uno dei più autorevoli avvocati serbi, che per l’uranio impoverito ha perso la madre, Angelo Fiore Tartaglia ha vinto la prima causa all’estero, ed è una notizia storica: “È importante in sé e per il resto d’Europa perché apre la strada a numerose altre cause civili."
Quante?
Basti pensare che ci sono circa quarantamila casi l’anno di nuovi tumori in Serbia, ma in quelle campagne belliche parteciparono soldati inglesi, olandesi, francesi, tedeschi, oltre che statunitensi. Sono stato contattato anche dal Kosovo perché anche lì ci sono stati bombardamenti con uranio impoverito.
Avvocato Tartaglia, perché la causa è stata intentata contro la Serbia e non la NATO?
Eravamo partiti con una denuncia contro la NATO che però ha chiesto l’immunità al governo; il giudice ha rimandato a un parere del ministero della giustizia che ha concesso l’immunità in base a un accordo stipulato con la Repubblica serba. Ma il testo è del 2000 mentre la guerra è precedente quindi non sarebbe stato nemmeno applicabile. Nonostante ciò è stato considerato valido, anche se in questo modo il paese si è dato la zappa sui piedi perché ha assunto su di sé tutta la responsabilità dell’azione. Collaboro con l’avvocato Aleksic da cinque anni, tra di noi si è subito instaurata una grande stima personale e professionale, e questa è la nostra prima causa vinta, riferita ai violenti attacchi militari su Pancevo, zona industriale ferocemente colpita con uranio impoverito.
Facciamo un passo indietro: cosa è successo in questi 25 anni?
Centinaia sono i soldati e le loro famiglie che si sono rivolti al mio studio. Abbiamo vinto più di 500 azioni legali, tra cause civili, TAR, Corte dei conti, Consiglio di stato, tribunale del lavoro.
Eppure c’è ancora chi contesta che l’uranio impoverito sia il mandante di tutte queste vittime.
C’è poco da contestare. Con le nostre cause abbiamo fatto nascere un diritto militare che trenta anni fa non esisteva, una solida giurisprudenza. La tutela della salute è prioritaria su qualunque altra cosa. Che l’uso di uranio impoverito disperdesse metalli pesanti è risaputo dalla fine degli anni Settanta con gli esperimenti al poligono di Eglin, in Florida. Ci sono documenti che raccontano tutto negli anni, avvisi mandati dalla NATO ai paesi membri, e un’estrema leggerezza da parte dei corpi militari, per cui i nostri soldati si sono ammalati. E ora possiamo dire: non solo i nostri. In autunno avrò degli incontri con avvocati di altri paesi europei perché purtroppo non abbiamo mai terminato di provocare inquinamento bellico.
D’altro canto anche nel conflitto russo-ucraino è stato utilizzato l’uranio impoverito.
Esatto, negli armamenti forniti dal Regno Unito all’Ucraina con danni ambientali che non possiamo ancora calcolare. Va aggiornato non solo il diritto militare ma quello ambientale: l’eredità di queste guerre saranno pagate da noi e dalle generazioni a venire.
Trent’anni di storie arrivate nel suo studio. C’è qualcuno che ricorda con maggiore intensità?
La prima, sicuramente. Il giovanissimo e coraggioso Andrea Antonaci. I suoi genitori, Salvatore e Grazia, che non si sono mai rassegnati alla perdita e hanno lottato. Ma tutti i ragazzi li ricordo con affetto. Quando vengono nel mio studio facciamo un patto: io mi impegno a difendervi e voi a sopravvivere. Non sempre ci riescono e in quei casi la lotta continua con la famiglia.
Alla fine lo stato paga?
Certo, paga. Deve pagare. A volte è necessario procedere con ingiunzioni, a volte è più semplice, ma lo stato paga.
Cosa muove la sua azione in questi trent’anni anni.
La coerenza con ciò che faccio, mi affascina la materia perché è un percorso di coerenza professionale. Voglio aiutare le persone che hanno subìto dei danni a ottenere tutela. L’inquinamento bellico crea danni per generazioni, dobbiamo sentirci responsabili di quanto sta accadendo proprio ora intorno a noi.
È diventato più semplice oggi rispetto alle prime cause ottenere giustizia?
No, non è mai nulla scontato. La verità va sempre affermata in aula e si fa sempre fatica a farla emergere. Quando credi di aver costruito un edificio solido con le teorie, le prove documentali, i precedenti, arriva qualcuno che può scalfire il pilastro principale. Non si dà mai niente per scontato.
Dalla Bosnia a oggi si continua a devastare l’Europa e il pianeta. Non abbiamo ancora imparato la lezione.
Con il mio lavoro vedo le conseguenze della guerra e su queste mi impegno. A settembre incontrerò le vittime in Kosovo, in autunno il resto d’Europa. Si dovrebbe creare un coordinamento per ottenere giustizia su vasta scala proprio perché si continua a bombardare e a uccidere.
In copertina: Angelo Fiore Tartaglia