La produzione di materie plastiche a livello industriale è cominciata attorno al 1950 e negli anni successivi è aumentata in maniera esponenziale, superando in modo sostanziale quella di qualsiasi altro materiale fabbricato. Nel 2020, uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature mostra che il peso di tutte le materie plastiche prodotte (8.000 milioni di tonnellate) è il doppio di quello della biomassa di tutti gli animali sulla Terra (4.000 milioni di tonnellate). Quattro anni dopo, il peso delle materie plastiche ha superato i 10.000 milioni di tonnellate e, secondo i calcoli fatti dalla Scientists’ Coalition for an Effective Plastics Treaty, seguendo questa traiettoria nel 2040 supererà le 20.000 tonnellate.
Nello stesso periodo gli scienziati hanno osservato un declino “senza precedenti” nella biodiversità con circa 1 milione di specie animali e vegetali oggi minacciate di estinzione, molte delle quali nel giro di pochi decenni, un numero mai raggiunto prima nella storia dell’umanità. Questa crisi della biodiversità ha molte cause, tra cui la perdita e la frammentazione degli habitat naturali, ma è anche fortemente esacerbata dall’inquinamento e dal riscaldamento terrestre. Le Nazioni Unite hanno adottato il termine “Tripla crisi planetaria” per descrivere queste tre crisi ambientali globali intersecate tra loro: inquinamento, crisi climatica, perdita di biodiversità e/o crisi ecologica.
La produzione di materiali plastici è considerata dagli scienziati il principale indicatore dell’inquinamento da plastica. Uno studio pubblicato sulla rivista Science ha infatti calcolato che meno del 30% di tutti gli oggetti prodotti con materiali plastici dal 1950 a oggi è ancora in uso, circa il 7% è stato riciclato, il 10% incenerito, mentre il restante, poco meno del 60%, è stato scartato ed è ora in discarica o disperso negli ambienti naturali, terrestri e marini.
Il debito di tossicità
Quando parlano di “plastiche” gli scienziati non si riferiscono solo ai polimeri plastici, ma includono anche le altre sostanze chimiche che compongono le fibre sintetiche e gli additivi chimici aggiunti per conferire caratteristiche desiderate (per esempio: resistenza al calore, flessibilità, etc.), molti dei quali sono tossici per gli organismi viventi. La frammentazione delle plastiche nell'ambiente, unita al rilascio di additivi chimici da queste plastiche, porta a un potenziale picco futuro di rilascio di composti tossici (compresi gli additivi chimici e le nanoplastiche).
Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Environmental Science and Technology stiamo già vivendo un periodo di toxicity debt (debito di tossicità) legato strettamente agli effetti a lungo termine del degrado di materiale plastico e del rilascio di sostanze inquinanti. Secondo gli autori, tale “debito” si contrae per la presenza di grandi quantità di plastica nell'ambiente, attualmente esposta al degrado, e che ancora per molti anni subirà processi di decadimento e rilascio di composti tossici. Non si tratta quindi di un futuro inquinamento da plastica, ma dell'attuale stato di inquinamento da materie plastiche già presenti nell'ambiente, ai cui effetti si sommeranno ovviamente gli effetti di qualsiasi inquinamento futuro.
Malattie e costi sociali ed economici legati alla plastica
“Le materie plastiche contengono molte sostanze chimiche pericolose, che alterano il sistema endocrino e contaminano l'uomo e l'ambiente. Queste sostanze chimiche disturbano i sistemi ormonali del corpo e possono contribuire alla formazione di cancro, diabete, disturbi riproduttivi, danni neurologici a feti e bambini in via di sviluppo e morte”, spiega a Materia Rinnovabile Leonardo Trasande M.D., M.P.P., della NYU Grossman School of Medicine e della NYU Wagner Graduate School of Public Service di New York.
Nonostante questi effetti negativi sulla salute umana, molti Stati che basano le proprie economie sull'estrazione di combustibili fossili sono riluttanti a includere nel futuro Trattato globale sulle materie plastiche ‒ il cui quarto ciclo di negoziati, INC4, si svolgerà dal 23 al 29 aprile 2024 a Ottawa in Canada ‒ delle disposizioni che limiterebbero la produzione primaria di materie plastiche, oltre il 99% delle quali sono prodotte con sostanze chimiche provenienti da combustibili fossili.
Per informare accuratamente sui compromessi che comporta la continua dipendenza dalla produzione di plastica come fonte di produttività economica negli Stati Uniti, Trasande e colleghi hanno condotto uno studio, pubblicato nel gennaio 2024 sulla rivista Journal of the Endocrine Society, nel quale hanno calcolato il carico di malattia (cioè il peso che una patologia ha su una popolazione in termini di mortalità, disabilità, costi sociali ed economici) e i costi attribuibili dovuti alle sostanze chimiche utilizzate nei materiali plastici negli Stati Uniti nel 2018. "Il nostro studio ha rilevato che la plastica contribuisce in modo sostanziale alle malattie e ai costi sociali associati negli Stati Uniti, circa 250 miliardi di dollari solo nel 2018. Questi costi equivalgono all'1,22% del prodotto interno lordo”, dice a Materia Rinnovabile Trasande.
L'esperto spiega che la metodologia utilizzata nello studio può essere estrapolata ai carichi globali di malattia che ancora non incorporano sufficientemente le esposizioni ambientali con prove sostanziali di causalità. “Il Trattato globale sulle materie plastiche dovrebbe ridurre l'uso di sostanze chimiche preoccupanti, in particolare PFAS, bisphenoli, ritardanti di fiamma e ftalati”, conclude Trasande.