“Braccia Rese” non è solo un concetto che evoca il ritorno alle origini agricole, ma è anche il nome di una cantina vitivinicola situata sulle colline di Busca, in provincia di Cuneo.

Fondata nel 2019 da Giovanni, insieme agli amici e colleghi Livio, enologo, ed Elia, laureato in architettura e design a Torino, Braccia Rese nasce con l'obiettivo di recuperare i vitigni autoctoni dei nonni e allo stesso tempo promuovere la sostenibilità nel settore vinicolo. In particolare, Braccia Rese è una delle poche realtà italiane ad applicare il vuoto a rendere al mondo del vino.

Da circa un anno, infatti, la cantina ha avviato il progetto “bottiglie rese”. “È un esperimento”, ci racconta Livio. “Per ora ci siamo limitati ad accordarci con i ristoranti della zona, i nostri principali punti di raccolta, e stiamo mettendo insieme il primo bancale da inviare a lavaggio, così poi da rimettere le bottiglie in circolazione”. L’iniziativa del vuoto a rendere, seppur all’inizio, ha già imposto diverse sfide da superare. Ad esempio, quelle legate all’etichetta. “Per evitare di rietichettare ‒ continua l’enologo ‒ appendiamo la nuova etichetta al collo della bottiglia, fermata con la ceralacca”. Problemi pratici, soluzioni artigianali.

L’impatto ambientale del vetro nella filiera vitivinicola

Ma quante volte una bottiglia può essere riutilizzata prima di essere avviata al riciclo? E poi, conviene raccogliere bottiglie, accrescendo gli spostamenti sul territorio, oppure per l’ambiente è meglio riciclare? In Italia non ci sono molte ricerche in grado di rispondere con i numeri a queste domande. Ma c’è chi sta ovviando a tale mancanza: Roberta Destefanis, systemic designer e ricercatrice presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, ha raccolto un po’ di dati sull’impatto ambientale del vetro, la voce che, stando all’interno della produzione di vino, ha la maggiore impronta in termini di emissioni di CO₂. La sua ricerca rientra nel progetto NODES (Nord-Ovest digitale e sostenibile) finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR) nell’ambito degli investimenti previsti dal PNRR.

Citando dati raccolti da diverse ricerche europee, Destefanis spiega che “la produzione di vetro per le bottiglie incide da sola per il 24% delle emissioni totali della filiera vitivinicola, salendo al 31% se si include anche il trasporto: un’indicazione chiara di dove sia il punto cruciale della questione”. Sono numeri ormai consolidati e, anche laddove vi siano discrepanze nelle percentuali, tutte le ricerche sono concordi su un punto: la produzione del vetro per le bottiglie è la voce più impattante nella produzione di vino.

Livio, Elia e Roberta Destefanis. Foto: Braccia Rese

Il riuso delle bottiglie di vino, una questione di distanza

Con questi dati possiamo stabilire quando il riuso è più vantaggioso del riciclo (ancor prima della riduzione di peso delle bottiglie di vetro). Ed è una questione di distanza: uno dei principali ostacoli alla diffusione su vasta scala del riutilizzo delle bottiglie è rappresentato dal fatto che spesso vengono trasportate verso destinazioni molto lontane dal punto di origine. Il progetto reWine, condotto in Catalogna tra il 2016 e il 2020, ha identificato la distanza ottimale tra l’azienda vinicola e l’impianto di lavaggio ‒ in termini di impatto ambientale ‒ nel raggio di 60 km. Ma anche se l’impianto di lavaggio fosse a più di 400 km di distanza, la riduzione dell’impronta di CO₂ sarebbe comunque comprovata. Di certo, se idealmente gli impianti di lavaggio fossero vicini alle aziende, ciò ridurrebbe ulteriormente l’impronta di CO₂ del 40-50%. Inoltre, sebbene le bottiglie di vetro riutilizzabili possano raggiungere una media di 25-30 cicli di riutilizzo, le cantine coinvolte nel progetto reWine hanno fissato il numero ideale di cicli di lavaggio in sette cicli (otto utilizzi) per motivi di marketing e standard estetico-visivi. Tuttavia, lo studio sui consumatori condotto durante il progetto ha concluso che questi non sono in grado di differenziare una bottiglia lavata e riutilizzata una volta da una bottiglia lavata e riutilizzata dieci volte.

Alternative e potenzialità

reWine ha dimostrato che il vuoto a rendere nel mondo del vino non solo è tecnicamente fattibile e vantaggioso per l’ambiente, ma è anche in grado di valorizzare e avere impatti positivi in altri settori. E i primi passi vanno mossi nelle vicinanze dei luoghi di produzione del vino. Braccia Rese lo sta facendo, ma ci sono anche altre zone con un’alta densità di cantine vitivinicole, come le vicine Langhe, che si spera possano seguire l’esempio dei giovani di Busca.

“Si potrebbe pensare il vuoto a rendere col Barolo?” si è chiesto Elia. Per convincere i produttori a cambiare opinione, i bevitori di vino potrebbero mostrarsi più inclini ad accettare bottiglie con qualche difetto, aprendo così la strada per una diffusione più ampia del vuoto a rendere nella filiera vitivinicola, oltre a non escludere alternative di packaging già presenti come le bag-in-box e le lattine di alluminio, che hanno rispettivamente un’impronta di CO₂ inferiore dell’86% e del 66% rispetto a una bottiglia in vetro.

 

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Immagine di copertina: Scott Warman, Unsplash