All’inizio di giugno, regione Umbria e ARPA Umbria, insieme a Ramboll Italy e al Gruppo Grifo Agroalimentare, hanno sottoscritto un accordo per avviare un progetto pilota per bonificare le falde acquifere contaminate da organo-clorurati, sostanze tossiche difficili da eliminare. Al centro dell’iniziativa, della durata di 12 mesi, c’è l’uso in ottica circolare del siero di latte, uno scarto dell’industria casearia, che verrà impiegato per il risanamento dell’acqua.

L’area scelta per la sperimentazione si trova a Balanzano, nel comune di Perugia, dove un pozzo industriale di proprietà di Grifo Agroalimentare (precisamente, il numero P41) è risultato contaminato da tetracloroetilene, con concentrazioni oltre 500 volte superiori al valore soglia (610 ug/l rispetto al limite di legge di 1,1 ug/l). Una situazione che oggi costringe l’azienda a utilizzare acqua della rete pubblica, con costi elevati.

Tuttavia, dalla stessa Grifo Agroalimentare arriverà anche il siero di latte da impiegare nel trattamento. Il monitoraggio, si legge in un comunicato, sarà invece curato da ARPA Umbria sulla base di uno studio precedente condotto con l’Università di Milano, che ha già evidenziato una diffusa contaminazione da solventi clorurati negli acquiferi alluvionali della regione.

Un’alternativa circolare per le bonifiche da organoclorurati

I solventi organo-clorurati, impiegati da decenni nei processi industriali di sgrassaggio e pulitura di metalli, pelli e tessuti, sono oggi tra le principali cause di contaminazione delle falde in molte aree produttive. Nell’ambito del progetto SIERO, sarà la società di ingegneria e consulenza ambientale Ramboll a fornire pro bono − in questa fase iniziale − il supporto tecnico necessario per valutare la fattibilità di una bonifica su larga scala. Al centro del trattamento c’è l’applicazione della tecnologia Enhanced Reductive Dechlorination (ERD), che prevede l’utilizzo del siero di latte come substrato organico per stimolare la degradazione biologica dei contaminanti.

“La vera novità del progetto non risiede tanto nell’aspetto tecnologico, dato che abbiamo già sperimentato con successo interventi di bonifica attraverso l’iniezione di siero di latte nel sottosuolo”, racconta a Materia Rinnovabile Andrea Campioni, country market director di Ramboll Italy. “La specificità, invece, sta nella volontà di trovare soluzioni economicamente accessibili, che impieghino materiali poveri o addirittura di scarto. Il siero di latte, ad esempio, può essere riutilizzato in alcuni impianti per la produzione di biogas. Tuttavia, in molte regioni questo sottoprodotto non trova impiego e viene trattato come rifiuto. Eppure, è un materiale ancora ricco, che ha richiesto risorse per essere prodotto, ma che può essere riutilizzato per generare un beneficio per la comunità. La vera sfida, soprattutto in progetti di grande estensione come quello [che coinvolge lo stabilimento Grifolatte, nda], che interessa un’area di diversi chilometri quadrati, è proprio capire come un tipo di intervento di questo genere possa essere realizzato a costi sostenibili e su superfici e dove ci sono così tanti portatori di interesse.”

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Come funziona la bonifica con il siero

Il progetto SIERO si inserisce nel quadro delle politiche regionali a sostegno dell’economia circolare e della bonifica dei siti contaminati, con un’attenzione particolare agli interventi bio-based e a basso impatto ambientale, come previsto anche dal Testo unico ambientale (D. Lgs. 152/06)

Esistono infatti numerose alternative per la bonifica dei siti contaminati. Tuttavia, aggiunge Campioni, “ormai da circa quindici anni, mi sono trovato molto bene con questo tipo di tecnologia, perché c'è una grande abbondanza di siti contaminati da solventi clorurati che sono composti organici estremamente resistenti alla degradazione ma in ambienti riducenti si decompongono molto più rapidamente rispetto a condizioni ossidanti.”

Poiché le falde acquifere si trovano spesso in condizioni ossidanti, ovvero con una presenza significativa di ossigeno disciolto, l’approccio consiste quindi nella sua rimozione. Questo avviene somministrando nel sottosuolo una fonte di materia organica, che i batteri utilizzano nel proprio metabolismo. “In queste nuove condizioni, si sviluppano batteri specializzati nella degradazione delle molecole organo-clorurate. Il risultato è una tecnologia non solo molto efficace, ma anche sorprendentemente economica: in alcuni casi, i costi possono essere addirittura inferiori di un ordine di grandezza rispetto ad altre soluzioni.”

Tra le tecnologie alternative c’è ad esempio quella del riscaldamento del terreno. “Si tratta di una tecnica che sfrutta la natura volatile di molte sostanze organiche”, aggiunge Campioni. “Inserendo resistenze elettriche nel suolo e applicando una differenza di potenziale, si riscalda il terreno fino a raggiungere anche alcune centinaia di gradi. In queste condizioni, i contaminanti tendono a volatilizzarsi più facilmente rispetto a quanto avverrebbe in condizioni ambientali normali. Questa tecnologia è particolarmente utile quando si ha la necessità di tempi rapidi, ed è quindi scelta da clienti che devono intervenire in modo urgente. Tuttavia, è anche estremamente dispendiosa in termini energetici […]. In un paese come l’Italia, dove il costo dell’energia è elevato, questa soluzione può risultare molto onerosa”.

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Un modello replicabile, verso COP30

Il progetto SIERO punta già ad attirare l’attenzione ben oltre i confini regionali. “Il progetto ha una durata di 12 mesi, è a costo zero per la regione e sarà integrato nelle politiche per la nuova legge sull’economia circolare e bonifiche sostenibili. La tecnologia, già validata da indagini preliminari, potrebbe essere presentata alla COP30 come esempio di innovazione bio-based per l’ambiente. Grazie ad ARPA, Grifolatte e Ramboll per aver avviato un percorso che la regione intende rendere sistemico”, ha dichiarato su Facebook Thomas De Luca, assessore all’ambiente e all’energia della regione Umbria.      

“È uno dei primi progetti che vogliamo attuare creando innovazione e ricerca, ma anche formazione, visto che tra i partner c'è l'ITS Academy con un impatto economico sostenibile sia per il pubblico ma anche per i privati. Un volàno di sviluppo economico, sociale e scientifico”, ha aggiunto invece Alfonso Morelli, direttore generale di ARPA Umbria.

La speranza, insomma, è che questo primo test possa diventare un modello replicabile. A partire da un’idea semplice: ridare valore a ciò che viene scartato, restituendo alla collettività risorse compromesse. A chilometro zero.

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In copertina: l’evento di presentazione del progetto