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Spegnereste il vostro termometro nel mezzo di una febbre? È ciò che sta accadendo negli Stati Uniti, dove la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) ha annunciato “il ritiro” del suo celebre database pubblico sui disastri climatici e meteorologici da oltre un miliardo di dollari di danni, attivo da oltre quattro decenni.

La decisione, comunicata l’8 maggio, ha lasciato attoniti scienziati, assicuratori e funzionari pubblici. Dal 1980 al 2024, gli Stati Uniti hanno infatti registrato ben 403 eventi catastrofali che hanno causato danni economici pari o superiori a un miliardo di dollari ciascuno, per un costo complessivo che supera i 2.915 miliardi di dollari. Un numero che è destinato a crescere − su questo non c’è dubbio − ma sottotraccia, visto lo stop agli aggiornamenti.

La motivazione fornita dalla NOAA sul sito web del progetto parla di “priorità in evoluzione, mandati normativi e cambiamenti nello staff”. Poche parole, che suonano come l’eco polverosa di un colpo di frusta: quello del ritorno della linea anti-green della seconda amministrazione Trump.

La chiusura del database della NOAA

I dati del NOAA Extreme Weather Database resteranno accessibili in archivio, ma non saranno più aggiornati né monitorati gli eventi successivi a dicembre 2023. In altre parole, da quella data le nuove catastrofi non entreranno nel conteggio ufficiale.

Nessuna traccia, dunque, degli incendi devastanti che hanno colpito Los Angeles, né delle inondazioni che hanno sommerso vaste aree del Sud e del Midwest, causando almeno 21 vittime e danni stimati tra gli 80 e i 90 miliardi di dollari, secondo le prime valutazioni preliminari. Eventi che, in base ai criteri del programma, sarebbero rientrati a pieno titolo tra i cosiddetti “disastri miliardari”, ma che ora rischiano di sparire dai radar.

La decisione di chiudere il programma ha scatenato reazioni dure a livello politico, con accuse di voler deliberatamente ostacolare la comprensione pubblica dell’impatto del cambiamento climatico.

“La chiusura di questo database suggerisce che questo programma potrebbe essere stato preso di mira perché mostra all'opinione pubblica americana quanto i cambiamenti climatici stiano alimentando disastri meteorologici più frequenti e da miliardi di dollari”, ha dichiarato in un comunicato il senatore californiano democratico Adam Schiff. “Se così fosse, è inquietante che l'amministrazione preferisca tenere il pubblico all'oscuro degli effetti del cambiamento climatico e ostacolare la capacità del paese di prevenire e mitigare i costi umani, economici e ambientali degli eventi meteorologici estremi."

Shiff ha fatto sapere di aver scritto una lettera formale al segretario al commercio Howard Lutnick e alla segretaria ad interim della NOAA Laura Grimm, chiedendo di revocare la decisione.

Il ruolo delle assicurazioni per chiudere il gap informativo

Gli Stati Uniti si trovano così privi di uno degli strumenti − pubblici, è bene ribadirlo − più efficaci per valutare l’impatto dei disastri naturali. Il database della NOAA è infatti una risorsa alimentata da fonti autorevoli come l’Agenzia federale preposta alla gestione delle emergenze (FEMA), compagnie assicurative e agenzie statali.

A sottolinearne il valore è Frank Nutter, presidente della Reinsurance Association of America, che in un’intervista riportata da Bloomberg ha specificato che “nessun altro sistema è così trasparente e aggiornato”. I rapporti delle compagnie di assicurazione e riassicurazione, spiega, arrivano solo dopo settimane o mesi e non possono sostituire la completezza e l’immediatezza dei dati NOAA, “più accessibili e significativi per il pubblico”.

La mancanza di una fonte centralizzata come quella della NOAA apre un vuoto informativo difficile da colmare. Brian Espie, chief underwriting officer di Kettle, ha spiegato alla rivista Insurance Business che, senza questa risorsa pubblica, molte compagnie stanno cercando alternative nei fornitori privati, alcuni dei quali stanno sviluppando reti satellitari e strumenti proprietari per sopperire alla mancanza. Ma, avverte Espie, questa transizione avrà un prezzo: “Anche se [gli assicuratori] riuscissero a ottenere gli stessi dati, dovranno farlo da fonti private, che naturalmente li faranno pagare di più”.

Entra così un ulteriore elemento di instabilità nel mercato statunitense delle assicurazioni, già sotto enorme stress, dove sono sempre più frequenti tariffe in aumento, limitazioni di copertura e addirittura abbandono dei territori.

FEMA in crisi alla vigilia della stagione degli uragani

Ma la mancanza di dati non è l’unica crepa in un sistema sempre più sotto pressione. La FEMA, l’Agenzia federale preposta alla gestione delle emergenze, è travolta da una crisi interna. Il suo amministratore, Cameron Hamilton, è stato rimosso a sorpresa dopo aver espresso in audizione al Congresso la propria contrarietà ai piani di smantellamento dell’agenzia promossi da Donald Trump. Al suo posto, la Casa Bianca ha nominato David Richardson, un funzionario del Dipartimento della sicurezza interna senza alcuna esperienza nel settore.

E stando a quanto riportato da ABC News il 16 maggio, lo stesso Richardson ha ammesso che la FEMA non ha ancora completato il piano operativo per affrontare la stagione degli uragani, che inizierà tra appena due settimane. Un vuoto di preparazione che, unito al blackout informativo della NOAA e all’instabilità politica, rischia di lasciare il paese esposto e impreparato.

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In copertina: una manifestazione per salvare la NOAA a marzo 2025, Elvert Barnes Protest Photography via Flickr