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Da decenni il Global South ci avverte di come la visione preconcetta del mondo occidentale fallisca sistematicamente nel comprendere le complesse trasformazioni sociali, economiche e culturali che stanno attraversando Paesi come Pakistan, Nigeria, Indonesia, Colombia, Egitto, Thailandia e via dicendo. Da Edward Said, che con il suo post-strutturalismo ha smontato il sistema discorsivo attraverso il quale l’Occidente ha costruito l’immagine dell’Oriente come “altro” esotico, irrazionale, arretrato, sensuale e statico, al brillante saggio di Dipo Faloyin, che decostruisce l’immagine coloniale che schiaccia ancora oggi l’Africa in una narrazione unitaria (povera, tribale, caotica, da salvare), le voci degli intellettuali del Global South ci dicono che siamo ancora vittime dell’orientalismo.
Ovvero ci troviamo – ancora – di fronte all’urgente necessità di decolonizzare il nostro immaginario, fermo a stereotipi sorpassati e rappresentazioni vecchie di cinquanta o cinquecento anni.
Anche per quanto concerne la transizione ecologica abbondano i preconcetti. Ancora oggi è diffuso il pensiero che le economie emergenti asiatiche non abbiano alcun interesse a non inquinare aria e acqua, devastando la natura senza preoccupazione; che l’Africa sia prona a disastri climatici senza possibilità alcuna di reagire, condannata a migrazioni di massa e al fallimento di altri Stati; che i Paesi dell’America Latina continuino a subire i soprusi delle multinazionali occidentali dell’energia e siano schiavi degli allevamenti intensivi per l’irrinunciabile asado. Come sempre la realtà è più complessa e sfaccettata delle riduzioni qualunquiste degli intellettuali occidentalisti passé come il giornalista italiano Federico Rampini, il filosofo francese Michel Onfray o il polemista teutonico Peter Sloterdijk.
I problemi rimangono tantissimi ovviamente, ma ci sono, come vedrete in questo numero, tante forze che cercano di fare la loro parte per il clima e la biodiversità, per la natura e per la transizione sociale. Basta leggere l’intervista con Lerato Mataboge, commissaria del Dipartimento delle Infrastrutture e dell'Energia dell’African Union, che ricorda “l’incrollabile impegno per la trasformazione strutturale e sostenibile dell'Africa” dell’AU.
Ci sono iniziative imprenditoriali con le comunità indigene per la promozione dell’agricoltura rigenerativa, specie in America Latina, come racconta Antonella Totaro. L’economia circolare sta avanzando velocemente in alcune delle economie più dinamiche del continente africano, così come in quello asiatico, e ne parla Shalini Bhalla a proposito dell’India. Le megalopoli del Sud globale, illustrate con le bellissime foto di Martin Roemers, si attrezzano a volte in maniera innovativa e originale per eliminare le emissioni ma soprattutto per adattarsi agli effetti più perniciosi del cambiamento climatico.
Allo stesso tempo, continua in tanti Paesi il neocolonialismo estrattivista, legato alle materie prime critiche o a risorse naturali come legno e suolo, e tanti governi del Global South non sono all’altezza della sfida della transizione ecologica. Persino l’amministrazione di Luiz Inácio Lula da Silva, che a novembre ospiterà l’importantissima COP30 a Belém, fatica a imporsi come leader globale della pace con la natura e della decarbonizzazione, e ad arginare la deforestazione e lo sfruttamento di nuovi depositi di petrolio.
Eppure, il Global South, potrebbe davvero creare una terza via, tra il Green Deal capitalista e ipertecnologico europeo e l’approccio climanegazionista e distruttivo degli Stati Uniti.
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In copertina: Figures 1867, Principal Countries of the World © Malala Andrialavidrazana