da Venezia - Tra dazi, concorrenza sleale e transizione ecologica, la moda europea affronta oggi pressioni globali senza precedenti. In Italia, cuore manifatturiero di questo sistema, il comparto occupa quasi 400.000 persone e riunisce oltre 38.000 imprese, un patrimonio industriale e culturale che Confindustria Moda, la federazione che rappresenta gli industriali del tessile e dell’abbigliamento, vuole tutelare con una visione sempre più europea.

È quanto ribadito al Venice Sustainable Fashion Forum 2025 dal presidente Luca Sburlati, che ha lanciato un appello alla compattezza del settore, sottolineando come “non sia più solo il sistema moda italiano, ma quello europeo a essere sotto attacco”. Dalla difesa della legalità nella filiera alla responsabilità estesa del produttore, fino alla lotta all’ultra fast fashion, la direzione sembra essere chiara. Lo abbiamo intervistato per approfondire le priorità italiane e del Made in Europe, soprattutto alla luce delle prospettive aperte dai nuovi accordi internazionali.

Presidente, a inizio ottobre dichiarava che “il sistema moda italiano è sotto attacco”. Dal palco del VSFF2025 ha sottolineato di volersi però correggere, parlando di sistema moda europeo. Perché?

La moda italiana fa parte di un ecosistema più ampio, oggi ben rappresentato qui a Venezia anche dal mondo delle grandi maison francesi. E l’Europa nel suo insieme a essere sotto attacco. È già accaduto nel settore automobilistico, e in quel caso abbiamo perso terreno. Dobbiamo essere molto bravi a reagire, perché nella filiera del tessile e dell’abbigliamento molti dei nostri marchi garantiscono un contributo fondamentale al PIL non solo dell’Italia, ma anche della Francia e di altri paesi. Questa industria deve quindi rispondere in modo compatto alle sfide che ha di fronte, che sono ben chiare. La prima è quella della legalità: dobbiamo assicurare una filiera completamente regolare e trasparente. Poi c’è quella della responsabilità estesa del produttore, e infine la battaglia contro l’ultra fast fashion, che io definisco “le cavallette silenziose” che stanno invadendo la nostra casa.

Prima di approfondire questi punti, le maggiori incertezze quest’anno sono state determinate dai dazi USA. Lei è appena rientrato da una missione confindustriale in Brasile. Il sistema che rappresenta guarda oggi a nuovi mercati?

In Brasile abbiamo incontrato i nostri omologhi. Attraverso l’accordo di libero scambio UE-Mercosur abbiamo davanti una straordinaria opportunità di collaborazione, vantaggiosa per entrambe le parti. In quei paesi si trovano materie prime di altissima qualità che potrebbero essere utilizzate dalle nostre grandi industrie: parlo di cotone, di seta, ma anche di lavorazioni di livello medio, come ad esempio quella delle calzature, che oggi produciamo in altre aree del mondo dove però esistono dazi penalizzanti. Se l’accordo tra Unione Europea e Mercosur, come auspico e come stiamo concretamente cercando di ottenere, verrà ratificato ed entrerà in vigore, porterà benefici significativi. Non solo per le nostre imprese manifatturiere, ma anche per i marchi europei, che potrebbero finalmente esportare in mercati oggi quasi inaccessibili. Basti pensare che attualmente i dazi variano tra il 50 e il 120%, rendendo quei mercati di fatto impenetrabili. Eppure, il Sud America è culturalmente molto vicino a noi. Durante la missione, avevo la sensazione di ritrovare vecchi parenti italiani emigrati cent’anni fa: un legame che, nonostante il tempo e la distanza, resta ancora vivo.

A settembre, durante il salone di Villepinte, Confindustria Moda ha aderito insieme a Euratex e a oltre venti federazioni europee a una dichiarazione contro l’ultra fast fashion. Cosa chiedete?

Si tratta di un’alleanza che riunisce tutte le principali organizzazioni europee attive nel settore tessile e della moda. È nata come un appello urgente rivolto sia alla Commissione Europea, affinché intervenga rapidamente sui regimi doganali e sui dazi, sia ai singoli governi nazionali, perché introducano per quanto di loro competenza misure di protezione e barriere adeguate.

Azione armonizzata è quella che proponete anche attraverso l’introduzione di una nuova piattaforma digitale per “alleggerire” gli oneri di audit, definendo i requisiti e le modalità di verifica lungo tutta la filiera sul fronte della legalità e della compliance sociale.

I nostri stessi valori come filiera devono essere armonizzati. Per questo stiamo costruendo una piattaforma open-source comune all’interno della quale le aziende in maniera volontaria potranno inserire i propri dati una sola volta, per poi essere libere di concentrarsi sul loro lavoro, sul business, sulla qualità dei prodotti. L’obiettivo è arrivare a un unico sistema, armonizzato e certificato per tutti, che ci permetta di focalizzarci su ciò che facciamo ogni giorno: produrre eccellenza.

Dal palco ha annunciato una data ravvicinata per il lancio del sistema di auditing, il 2026. Lo conferma?

Per forza.

Sulla responsabilità estesa del produttore in Italia: è una battaglia persa o solo rimandata?

Io spero che la battaglia non sia persa, e spero che il governo voglia davvero accelerare, perché ormai abbiamo perso troppo tempo. Rischiamo di perdere intere filiere che invece potrebbero portare valore all’Italia, e se lasciassimo che siano altri paesi a prenderle saremmo ancora una volta stupidi nel non prendere una decisione immediata. Parliamo degli operai del tessile, e la responsabilità estesa del produttore potrebbe permetterci di creare una nuova filiera di materie prime seconde da riutilizzare. Ricordiamoci che siamo un paese senza materie prime: siamo nati così, ma siamo anche tra i migliori riciclatori. Se smettiamo di fare bene questa cosa, siamo finiti.

 

In copertina: Luca Sburlati © VSFF2025