La filiera legno-arredo è uno dei pilastri del sistema industriale italiano, con un saldo commerciale attivo pari a 7,9 miliardi di euro. Il settore impiega quasi 300.000 addetti e conta oltre 64.000 imprese, generando un valore della produzione pari a 51,7 miliardi di euro. Dazi, prodotti asiatici, direttive EU, però, complicano il futuro a breve e lungo termine, proprio nel momento in cui il settore sta investendo davvero in economia circolare.

Per parlare di questo, e non solo, il direttore di Materia Rinnovabile ha incontrato il presidente di FederlegnoArredo, Claudio Feltrin, nella silenziosa sede milanese di Foro Buonaparte. “La situazione è difficile, ma non critica”, esordisce Feltrin. Determinazione e studio sono la risposta ai dazi statunitensi, che si stanno cominciando a sentire economicamente. “Luglio e agosto hanno riportato dati molto negativi per l’export del nostro arredo con un -15,2%. La speranza è di chiudere il 2025 con perdite, in questo mercato, sotto il 10%. I dazi USA non ci volevano. Per la filiera del mobile italiano gli Stati Uniti sono il secondo paese di destinazione, dopo la Francia, e il primo extra UE.”

 

Le vendite dirette agli USA non sono l’unico effetto di questa guerra commerciale a livello mondiale.

Guardiamo con attenzione anche a cosa succede tra USA e Cina. Attualmente i dazi statunitensi per i mobili provenienti da Cina e Sud-Est Asiatico sono molto alti, e questo sta spingendo l’Asia a esportare verso il mercato europeo, con crescite dei flussi rilevanti. Per il momento questa crescita sta ancora sotto la quota del 30% e, soprattutto, si tratta di mobili di fascia bassa. Certo, la Cina sta praticando del dumping classico e inizia anche a guardare ai mobili di fascia alta, come ha fatto con l’automotive e con i telefonini.

Sbocchi in altri mercati, come il Sud America o il Medio Oriente, possono calmierare gli effetti?

Il mercato sudamericano è sicuramente interessante per la vicinanza culturale, ma l’accordo commerciale Mercosur garantirà un abbassamento graduale dei dazi solo con il tempo, perché entra in vigore troppo tardi, e ridurrà i dazi dal 100 al 30%. Inoltre, spesso usano i prodotti europei come civette, ovvero i mobili nostrani con prezzi altissimi vengono comparati con i prodotti dei mobilifici latini, che riescono ad avere prezzi più bassi. Il Medio Oriente è un mercato promettente, perché innanzitutto, a differenza del mercato del Mercosur, non c’è produzione interna e, nonostante le importanti barriere culturali, c’è grande apprezzamento del Made in Italy. D’altronde per creare il mercato statunitense, che oggi vale 2 miliardi, ci sono voluti 40 anni e, anche se con i social e internet la diffusione dei marchi è molto più rapida, serve anche qua tempo per rafforzare la presenza nel Middle East.

Avete lanciato anche il Salone del mobile in Arabia Saudita.

L’operazione a Riad, partita in tempi non sospetti, si sta rivelando utile, ci sono buone prospettive. C’è già grande interesse per l’edizione zero [una tre giorni dal 26 al 28 novembre 2025, ndr] e ci prepariamo a una versione di grande scala il prossimo autunno.

Molti studiano possibili delocalizzazioni in USA.

La nostra speranza è che Trump comprenda come i dazi, che hanno sconvolto l'ordine mondiale economico, danneggeranno tutti, incluso il mercato statunitense. Se l’intento è quello di portare le aziende europee a produrre in USA, bisogna ricordare che ci vogliono anni per impiantare gli stabilimenti: devi reclutare e formare personale, devi investire e spendere, con il risultato che probabilmente si avranno prodotti più cari. Per di più si rischia di creare nuovi impianti quando, tra tre anni, i dazi potrebbero esser tolti.

Le misure di stimolo in Italia stanno funzionando?

Il bonus mobili da 5.000 euro, al momento riconfermato anche per il 2026, è un inizio, ma il governo dovrebbe creare un’ulteriore misura per aiutare le giovani coppie che stanno comprando casa. Oggi il bonus mobili è legato a lavori di ristrutturazione ed efficientamento energetico. Noi chiediamo qualcosa di strutturale, con cifre leggermente superiori e soprattutto con un piano quinquennale o decennale, con focus sulle giovani coppie.

In che modo l’economia circolare diventa leva di mercato, visto il perdurante interesse di una larga fetta degli italiani?

La responsabilità estesa del produttore sui mobili è funzionale alla filiera del riuso, dato che permette il recupero anche di mobili di qualità che possono essere rigenerati. Si possono recuperare parti, oltre che i materiali (ferro, legno o plastica) per il riciclo. Se il prodotto ritirato è meccanicamente valido e funzionante, può creare un nuovo mercato di seconda mano di qualità, che permette anche ai giovani o ai redditi più bassi di poter avere un mobile bello e realizzato nel rispetto dell’ambiente. Questo apre a nuove filiere economiche, che possono arginare i mobili low cost, di bassa qualità e alto impatto.

La nascita di un Consorzio come può essere funzionale in tal senso?

Già oggi con il nostro Consorzio volontario dell’arredo stiamo lavorando affinché siano individuate le catene di raccolta, di riparazione e di rigenerazione del prodotto, che poi dovranno soddisfare quel tipo di mercato. Secondo l’accordo di programma firmato con il MASE lo scorso aprile, abbiamo individuato quattro province per la sperimentazione – Treviso, Milano, Napoli e Bari – e stiamo raccogliendo più dati possibile. Finora ci dicono che il nostro studio è decisamente centrato, e forse addirittura sottostimato, rispetto alle potenzialità di mercato.

Come si gestirà la reverse logistic dell’EPR?

Il ritiro sarà gestito anche dai rivenditori di mobili, esattamente come si fa già oggi con gli elettrodomestici, che indirizzeranno il mobile al centro di disassemblaggio più idoneo. Per alcuni mobili sarà semplice, come le sedie e i tavoli, per altri – penso alle cucine – si troveranno modi sempre più efficienti.

C’è la forma mentis della circolarità nella filiera?

Noi abbiamo davanti la sfida di sensibilizzare e mostrare che esiste un business. Inoltre, dobbiamo osservare cosa sta succedendo in Nord Europa, dove, per partecipare a una gara pubblica di arredamento, ci può essere la richiesta che almeno il 20% dei mobili sia recuperato, o che abbia un indice di circolarità.

L’EUDR, che dovrebbe aiutare sul tracciamento della sostenibilità del legname, non va nella direzione attesa…

Come già ribadito, l’EUDR è eccessivamente oneroso. Le aziende dovranno adeguarsi a nuove procedure e sistemi di tracciabilità, in grado di rispondere agli obiettivi indicati dal Regolamento, ma bisogna evitare un eccessivo aggravio degli oneri burocratici ed economici. Ad esempio, i software informatici per la dichiarazione di dovuta diligenza possono costare fino a 80.000 euro. Noi siamo gravemente preoccupati: se non si interviene nella giusta direzione, l’EUDR potrebbe avere impatti più estesi anche dei dazi stessi. È nell’interesse del settore del legno-arredo fermare la deforestazione e già siamo una filiera virtuosa in tal senso, ma non è pensabile mettere in ginocchio le imprese.

 

In copertina: Claudio Feltrin, Courtesy FederlegnoArredo | Crediti F. Rucci