“Chiamiamolo pure X, non possiamo dire il suo vero nome perché è ancora in servizio attivo.” L’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio nazionale amianto è molto attento a proteggere il suo cliente, X, che dopo dieci anni di battaglia legale ha incassato una vittoria storica.

X è un dipendente della Presidenza del Consiglio dei ministri, impiegato presso il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza. La sua storia, raccontata attraverso le parole del suo avvocato Ezio Bonanni, è quella di un servitore dello stato che ha dovuto ingaggiare una battaglia proprio contro quello stesso stato che avrebbe dovuto tutelarlo.

Da tunnel del Settecento a laboratorio di sostanze tossiche

La vicenda inizia nei primi anni Novanta, quando X viene assunto come falegname presso il reparto infrastrutture dei servizi segreti italiani. Il suo posto di lavoro è un laboratorio ricavato da un tunnel di una costruzione del Diciottesimo secolo: un ambiente claustrofobico, senza finestre né sistemi di areazione, con pareti in tufo ricoperte di muffa e pavimenti contenenti amianto.

“In quel locale venivano svolte tutte le attività di lavorazione del legno − taglio, piallaggio, verniciatura e sverniciatura − in un unico ambiente”, racconta l'avvocato Bonanni, che insieme al collega Pietro Gambino ha seguito il caso fino alla vittoria al Consiglio di stato. Lo stato non forniva dispositivi di protezione. Erano tempi in cui c’era meno cultura della prevenzione, ma il peggio doveva ancora arrivare. Dopo alcuni anni, X viene trasferito a un incarico ancora più pericoloso: addetto all'inceneritore per la distruzione di documenti classificati.

L'impianto di incenerimento, utilizzato per distruggere il materiale cartaceo sensibile dei servizi di sicurezza, si rivela un ambiente ancora più letale. “Il locale era completamente privo di impianti di estrazione e depurazione dell'aria”, spiega Bonanni. “Il mio assistito era costretto a raccogliere manualmente le ceneri con pala e secchiello, respirando inevitabilmente le polveri tossiche. Inoltre, non era possibile verificare la natura del materiale bruciato, contenuto in sacchi neri, con il rischio di esposizione a sostanze cancerogene come la formaldeide.” X stesso, attraverso il suo legale, descrive quegli anni come un incubo: “Nessuno mi aveva mai spiegato i rischi, nessuno mi aveva mai dato una maschera adeguata”.

Nel 2012 arriva la diagnosi che stravolge la vita di X: leucemia a cellule capellute, una grave malattia ematoncologica. “Ha comunicato immediatamente la malattia al suo datore di lavoro, ma ha dovuto continuare a lavorare nell'inceneritore fino al 2013, quando finalmente è stato trasferito a mansioni d'ufficio”, racconta l'avvocato.

La decisione di intraprendere una battaglia legale non è stata facile: “Sapevo che mi sarei scontrato con lo stato, con la Presidenza del Consiglio. Ma sapevo anche che quello che mi era successo non era giusto. Non potevo accettare che la mia malattia fosse considerata solo sfortuna”.

Dieci anni di battaglia contro i propri datori di lavoro

Il percorso legale si rivela lungo e tortuoso. X chiede il riconoscimento della leucemia come malattia dipendente da causa di servizio, l'equo indennizzo e lo status di vittima del dovere. Ma l'amministrazione respinge ogni richiesta con motivazioni che il Consiglio di stato definirà poi “generiche”, “vuote” e “superficiali”.

“Il comitato di valutazione parlava di 'peculiare natura della patologia' senza specificare nulla”, spiega Bonanni. “Utilizzavano formule di stile come 'disagi e strapazzi di particolare intensità' senza mai entrare nel merito scientifico della questione. Era evidente che non volevano riconoscere le proprie responsabilità.”

Il TAR del Lazio conferma inizialmente il diniego, ma X non si arrende, anche grazie al suo avvocato. “Ho dovuto convincere il mio cliente a continuare, perché era gravemente malato e molto scoraggiato”, ricorda Bonanni.

La vittoria al Consiglio di stato contro Palazzo Chigi: una sentenza storica

Il 31 luglio 2025 arriva la sentenza che fa storia: il Consiglio di stato accoglie l'appello, annulla tutti gli atti e ordina all'amministrazione di riesaminare completamente il caso. I giudici sono durissimi: l'amministrazione ha omesso di considerare “l’esposizione professionale del lavoratore agli agenti cancerogeni, tossici e nocivi” e “le cautele di sicurezza e igiene sul lavoro specificatamente adottate dal datore di lavoro”.

“È la prima volta in assoluto che un tribunale riconosce il diritto alla tutela della salute per un dipendente con incarichi speciali presso Palazzo Chigi”, sottolinea Bonanni. “Un precedente che potrebbe aprire la strada al riconoscimento di condizioni simili per altri servitori dello stato.”

X accoglie la notizia con sollievo ma anche con amarezza, e lo comunica attraverso le parole di Bonanni: “È chiaramente contento della vittoria, ma non può dimenticare questi dieci anni di battaglia. Dieci anni in cui lo stato per cui lavora lo ha fatto sentire come se la malattia fosse colpa sua”.

Oggi X continua a lavorare per la Presidenza del Consiglio, ma solo in mansioni d'ufficio. Ogni sei mesi si sottopone a controlli medici, vivendo sotto costante sorveglianza sanitaria. “La malattia è cronica, non guarirà mai completamente. Ma almeno ora sa che la giustizia ha riconosciuto che quello che gli è successo non doveva succedere.”

L'avvocato Bonanni lancia un appello diretto alla presidente Giorgia Meloni: “La sentenza del Consiglio di stato rappresenta un punto di svolta per tutti i lavoratori che operano in ambienti ad alto rischio senza adeguata protezione. Auspico che ora si metta fine allo scontro. La premier non ha alcuna responsabilità per quanto accaduto in passato, ma oggi ha l'opportunità di segnare una svolta concreta. I diritti di questo lavoratore devono essere pienamente riconosciuti: causa di servizio, risarcimento danni e status di vittima del dovere”.

Le implicazioni ambientali e sanitarie di lavorare senza sicurezza

Il caso di X solleva questioni più ampie sulla sicurezza sul lavoro negli uffici governativi e sulla gestione dei rifiuti speciali. La presenza di amianto nei pavimenti, l'uso di vernici contenenti benzene, l'incenerimento senza adeguati filtri rappresentano violazioni sistematiche delle norme di sicurezza ambientale.

“Questo caso dimostra come anche nelle istituzioni più importanti del paese possano persistere situazioni di grave rischio ambientale e sanitario”, osserva l'avvocato. “È necessario un controllo sistematico di tutti gli ambienti di lavoro della pubblica amministrazione per evitare che altri lavoratori subiscano la stessa sorte.”

La storia di X è quella di un uomo che ha servito il suo paese pagando un prezzo altissimo in termini di salute. Ma è anche la storia di chi non si è arreso di fronte all'indifferenza burocratica e ha lottato per affermare un principio fondamentale: il diritto alla salute sul lavoro non può essere sacrificato sull'altare del segreto di stato.

“Nessun lavoratore, pubblico o privato, dovrebbe mai essere esposto a condizioni così pericolose senza saperlo e senza protezioni. E, quando succede, lo stato deve avere il coraggio di riconoscere i propri errori e risarcire i danni.”

La sentenza del Consiglio di stato non è solo una vittoria giudiziaria, ma un precedente che potrebbe cambiare radicalmente l'approccio delle istituzioni alla sicurezza sul lavoro. Un monito che arriva proprio dal cuore dello stato italiano: anche i segreti più importanti non possono costare la salute di chi li custodisce.

Leggi anche: Amianto, Ministero condannato: “Le scuole sono un pericolo ancora oggi”

 

In copertina: Palzzo Chigi fotografato da Simone Ramella, WikiCommons