La sera del 26 luglio 2025, lungo la Carretera Interoceánica che attraversa il cuore dell'Amazzonia peruviana, si è consumato l'ennesimo capitolo di una guerra silenziosa ma feroce. Hipólito Quispehuamán Conde, 48 anni, padre di tre figli, stava tornando a casa dopo aver venduto i suoi prodotti agricoli alla fiera sabatina di Mazuko. Non arriverà mai. I sicari lo hanno intercettato al chilometro 285, nel settore di Santa Rosa, e lo hanno ucciso a colpi d'arma da fuoco. La sua colpa? Aver osato opporsi a chi sta distruggendo l'Amazzonia.
Hipólito non era un attivista da salotto. Era un agricoltore con la terra sotto le unghie, fondatore dell'associazione di agricoltori Nueva Esperanza e vicepresidente della fiera sabatina locale. Ma soprattutto era membro del Comitato di gestione della Riserva nazionale Tambopata, dove dal 2008 aveva condotto "la lotta sostenuta per salvaguardare i diritti degli agricoltori di Nueva Esperanza contro le minacce di invasori e minatori illegali".
Due giorni prima dell'omicidio aveva partecipato a una riunione cruciale con i collettivi locali di protezione ambientale a La Pampa, dove si erano "discusse azioni per preservare una zona considerata riserva naturale". Era l'ennesimo tentativo di coordinarsi contro un nemico che non conosce tregua: le organizzazioni criminali che stanno trasformando uno dei polmoni verdi del pianeta in una terra desolata.
La Fiscalía ha chiarito subito le carte in tavola. "L'ipotesi preliminare punta a una rappresaglia per la sua attività ambientalista", ha dichiarato la procuratrice Karen Torres. Non si tratta di un crimine comune, ma di un omicidio mirato per silenziare una voce scomoda.
La guerra dell'oro nero
Per comprendere la morte di Hipólito bisogna addentrarsi nella complessità di Madre de Dios, una regione dove convergono interessi criminali miliardari. Qui la minería illegale non è solo un problema ambientale, ma il cuore pulsante di un sistema economico parallelo che alimenta narcotraffico, traffico di persone e corruzione su larga scala.
I numeri parlano chiaro: secondo il Ministero dell'ambiente, "tra 2021 e 2023 si sono persi più di 25.000 ettari di bosco per minería illegale" solo a Madre de Dios. Ogni ettaro perduto significa fiumi avvelenati dal mercurio, biodiversità distrutta per sempre, comunità indigene costrette all'esodo.
La Riserva nazionale Tambopata, che Hipólito difendeva, è uno scrigno di biodiversità con centinaia di specie di piante e animali. Ma è anche un ostacolo per chi vuole trasformare la foresta in una miniera a cielo aperto. La zona di ammortamento della riserva è diventata il terreno di scontro tra due visioni del mondo inconciliabili: quella di chi vede nella natura un patrimonio da preservare e quella di chi la considera solo una risorsa da sfruttare.
Una morte annunciata
L'omicidio di Hipólito non è un fatto isolato, ma la punta dell'iceberg di una violenza sistemica che colpisce chi difende l'ambiente in America Latina. Secondo l'Ong Global Witness, almeno 54 difensori dell'ambiente sono stati assassinati in Perù dal 2012, "più della metà erano indigeni".
Solo tra il 2019 e il 2025, il Ministero della giustizia ha registrato "almeno 29 situazioni di rischio per persone difensore dell'ambiente solo a Madre de Dios". Dietro questi numeri ci sono storie umane di leader comunitari, attivisti, agricoltori che hanno pagato con la vita la loro opposizione alle economie illegali.
Il pattern è sempre lo stesso: minacce, intimidazioni, isolamento sociale e poi, quando la pressione non basta, l'eliminazione fisica. Attualmente 226 difensori indigeni sono "sotto minaccia" nell'Amazzonia peruviana, vivendo in un limbo dove la paura è compagna quotidiana. Nel 2023, ultimo anno di rilevazione ufficiale, in America Latina si contano 166 vittime. Tutte legate dalla causa comune dell’ambientalismo.
Come ha dichiarato con dolore il vescovo di Puerto Maldonado, monsignor David Martínez de Aguirre: "La gente ha paura. E ci sono persone che decidono praticamente di auto-immolarsi perché non vogliono vivere in un mondo che distrugge la natura. Non immaginano un mondo senza i loro fiumi, senza i loro boschi, senza vita. E lottando per la vita, vengono assassinati".
Uno stato assente
Di fronte a questa emergenza, lo stato peruviano mostra tutte le sue fragilità strutturali. Il meccanismo intersettoriale per la protezione delle persone difensore di diritti umani, che dovrebbe essere la linea di difesa principale, "conta su un team di sole tre persone e manca di budget per implementare misure di protezione". Il simbolo di questa inadeguatezza è emerso subito dopo l'omicidio: il corpo di Hipólito è rimasto abbandonato per più di 12 ore prima di essere ottenuto dalle autorità. Anche nella morte, lo stato ha dimostrato la propria assenza.
Mentre si moltiplicano gli appelli alla giustizia − il governo ha prorogato per 60 giorni lo stato di emergenza in sei distretti di Madre de Dios − la sensazione è che si stia combattendo un fuoco con secchielli d'acqua. Le organizzazioni criminali dispongono di risorse economiche enormi, armi sofisticate e una capillarità territoriale che lo stato non riesce a contrastare.
La morte di Hipólito ci costringe a guardare oltre i confini della foresta amazzonica. In un mondo che affronta la crisi climatica, la distruzione degli ecosistemi tropicali non è solo un problema locale, ma una minaccia globale. Ogni albero abbattuto illegalmente, ogni fiume avvelenato, ogni difensore ambientale ucciso rappresenta un passo indietro nella battaglia per la sopravvivenza del pianeta.
La sfida che emerge dal caso di Hipólito Quispehuamán è sistemica: come proteggere chi protegge la natura? Come garantire che la transizione ecologica non si compia sui corpi di chi, come lui, ha scelto di mettere la vita in gioco per un futuro sostenibile?
In copertina: immagine Envato