Pur essendo composto da creature molto piccole, il plancton riveste un ruolo di enorme importanza nell’equilibrio dell’ecosistema planetario. Non è solo una fonte di nutrimento per i grandi mammiferi che vivono nelle acque, ma fornisce anche ossigeno e assorbe l’anidride carbonica atmosferica.

Il plancton è anche una creatura difficile da incasellare. Sfugge infatti alle rigide definizioni tassonomiche perché è composto da organismi vegetali, il fitoplancton, e animali, lo zooplancton. È poi caratterizzato dalla bioluminescenza: trascorrendo una notte in mare, è possibile vedere nebulose di plancton che si spostano, vagando.

Tuttavia, è anche una creatura profondamente minacciata dai cambiamenti climatici, che provocano l’aumento delle temperature, l’acidificazione dei mari e l’alterazione delle correnti, mettendo a rischio la sua sopravvivenza.

Di tutto questo abbiamo parlato con Giorgia Bollati, giornalista scientifica e ambientale e autrice, insieme alla biologa marina e illustratrice Marta Musso, del libro I vagabondi del mare, pubblicato a maggio 2025 per la casa editrice Codice Edizioni e che racconta le tante forme che assume il plancton, attraverso una scrittura evocativa che mette in dialogo divulgazione e informazione.

 

Bollati, dal libro emerge che il plancton è alla base della catena alimentare marina. Secondo lei, quanto sono note le conseguenze a lungo termine della sua diminuzione sugli equilibri globali?

Penso che la scarsità di informazione riguardi tantissimi temi e il plancton è solo uno di questi. In realtà il mare in generale è un altro macrotema di cui si sa poco. Le persone, purtroppo, sanno poco di certe specie o ambienti perché banalmente non li vedono. Quando stiamo in spiaggia osserviamo solo quello che c’è sotto il pelo dell'acqua, ogni tanto notiamo che si arena una medusa. È diverso da sapere come si divide l’acqua a 200 metri dalla costa, in strati con differenti gradi di salinità che creano condizioni di vita per specie diverse. Una cosa che tengo a ribadire è che è più facile proteggere gli animali che ci sembrano belli, come i panda, i delfini, ma è importante proteggere anche gli “animali brutti”, che però magari sono ancora più importanti per la biodiversità e l’equilibro del pianeta, come appunto i plancton. Se spariscono, tutto il resto dell’ecosistema, da cui noi dipendiamo, ne risente. Partendo da una scala così piccola, vorrei stimolare chi legge a ragionare più in grande.

Nel primo capitolo scrivete di krill, creature filatrici che anche noi esseri umani mangiamo, sotto forma di integratori di omega 3, infatti vengono molto usati nell’industria farmaceutica, per esempio. Può però capitare che questi organismi inghiottano microplastiche. Pensa che a livello globale l’impegno nella lotta alle microplastiche sia abbastanza?

Non è mai abbastanza. In questo momento siamo in una fase di evoluzione sospesa, per cui ci sono provvedimenti che vengono frenati, come il Clean Water Act degli Stati Uniti che ora è un po’ depotenziato. Penso che sia una fase faticosa per questo tipo di lavori, anche perché non ci sono abbastanza risorse economiche. Purtroppo, Trump sta tagliando i fondi a tutto, anche alla ricerca, che invece sarebbero necessari per trovare nuove soluzioni. Ora stiamo raggiungendo delle capacità di monitoraggio e di individuazione degli inquinanti molto più elevate, non solo di microplastiche ma anche di PFAS. I fondi e le politiche che li gestiscono servirebbero anche per finanziare pratiche di trattamento e smaltimento degli inquinanti. In molti casi, però, per le aziende diventa un problema limitare l’inquinamento, perché c’è una perdita a livello economico. Viene sempre prima l’impegno per l’economia e la politica rispetto a quello ambientale. Peccato che anche quest’ultimo abbia un’influenza sull’economia. Servono politiche di controllo delle microplastiche, contro i PFAS e che frenino gli organismi invasivi. È molto importante prima di tutto far notare che non è solo questione di salvare l’ambiente, ma anche la nostra economia e la nostra salute.

A questo proposito, nel libro parla anche dei danni alla vita marina causati dalla pesca a strascico che smuove i fondali liberando CO₂ e dal deep sea mining, che per altro Trump ha da poco autorizzato. Cosa ne pensa?

Non credo di avere competenze a sufficienza per parlarne. Quello che è chiaro è che più continuiamo a fare lavori in ambienti in cui obiettivamente non dovremmo stare (perché non siamo fatti per starci) più creiamo danni. Trump continua a perpetrare un’ideologia consumistica, capitalistica ed estrattivista, sia in senso pratico, sia in senso figurato. L’estrattivismo, infatti, rappresenta la potenza dell’uomo che crede di poter prendere tutto ciò che vuole quando gli pare. Oggi ci dobbiamo rendere conto che questo ragionamento non va più bene. Anche prima di Trump si facevano tante scelte problematiche. Il punto è che lui sta cambiando i tempi di applicazione. Durante la sua prima presidenza, l'uscita dall'Accordo di Parigi è avvenuta dopo tre anni dall’inizio del mandato. Stavolta invece l’ha fatto subito, quindi gli Stati Uniti usciranno dall’Accordo nel 2026. Trump sta lavorando per accelerare iter che sono molto lunghi. Però, direi che comunque bisogna aspettare a farsi prendere dal panico, che comunque non serve. Bisogna invece cercare di fare meglio.

Tornando al libro, ribadisce spesso che il plancton mette in discussione la tassonomia, cioè la scienza che si occupa della classificazione degli organismi viventi. Che cosa voleva trasmettere ai lettori?

Queste parti sono meno scientifiche, è un lato più immaginifico e creativo. Volevo far emergere anche il tema dell’accoglienza, della diversità, del nomadismo. L'idea di base è semplicemente che non sempre dobbiamo per forza definire qualcosa. Possiamo descriverlo, per spiegare com’è, ma ci sono degli organismi che sfuggono a queste griglie. Per esempio, i dinoflagellati, che sono a cavallo tra due funzionamenti del mondo, cioè gli animali e le piante, perché alcuni si nutrono di altri organismi, altri fanno la fotosintesi. E noi li classifichiamo in questa macrocategoria che è il plancton.

A proposito di nomadismo, nell’introduzione spiega appunto che plancton vuol dire “vagabondo”, perché fluttua lasciandosi trasportare dalle correnti. Crede che possiamo noi umani imparare qualcosa da questa modalità di vita?

Penso che molti lo abbiano già fatto, più o meno consapevolmente. Secondo me un concetto importante è accettare che ci siano delle fasi nella vita, e che sia fisiologico vagare, perché la natura lo prevede. Anche se pensiamo alle storie che rientrano nel genere Bildungsroman, cioè il romanzo di formazione, vediamo delle vicende che parlano di diverse fasi di crescita. Nei testi di semiotica di Propp o Greimas, per esempio, il protagonista che deve crescere si allontana da una base per andare a cercare altro. È qualcosa di naturale nell’uomo. Quindi, secondo me, è importante ricordarsi ogni tanto che mutare va bene. Come fanno le noci di mare, che in tempi di carestia fermano la propria crescita e nel frattempo si spostano, così possiamo fare noi, accettando che ci sono momenti di stasi, e altri in cui cambiamo e cresciamo.

 

In copertina: Giorgia Bollati, foto di sua concessione