Da Bruxelles “La circolarità non è solo un progetto, ma una destinazione. La UE si basa sulla scienza. La circolarità è fondamentale per la resilienza democratica, ma si tratta di una transizione economica che genererà conflitti e avrà implicazioni sociali.” Sono queste alcune delle parole scelte da John Bell, direttore Healthy Planet presso la DG ricerca e innovazione (R&I) della Commissione europea, per aprire lo Stakeholder Day 2025, evento di punta della EU Green Week.

Organizzato il 5 giugno a Bruxelles dalla European Circular Economy Stakeholder Platform (ECESP) in collaborazione con la Circular Cities and Regions Initiative (CCRI), l’appuntamento ha riunito rappresentanti delle istituzioni europee, imprese, amministratori locali e società civile attorno a un nodo cruciale: che tipo di competitività vuole davvero l’Europa?

Circolarità, le ragioni profonde di una scelta obbligata

Il 3 giugno, alla vigilia dello Stakeholder Day, era stata la stessa commissaria europea per l’ambiente Jessika Roswall a chiarire la posta in gioco: “Viviamo su un pianeta che ha dei limiti, con risorse naturali limitate. Dobbiamo usarle in modo più intelligente”.

La commissaria, che nella stessa settimana ha annunciato la Strategia per la resilienza idrica, ha ricordato inoltre che l’Europa “importa oltre il 90% delle materie prime circolari di cui avremo bisogno per le nostre economie nei prossimi decenni, ma non vogliamo dipendere da altri paesi per risorse che non abbiamo, soprattutto ora, con l’attuale situazione di incertezza geopolitica”.

Ogni anno, ha aggiunto, “abbiamo bisogno di miliardi di tonnellate di materie prime in Europa per alimentare le nostre economie”. Un modello insostenibile che compromette la sovranità industriale dell’UE, oltre ad accelerare crisi climatica e perdita di biodiversità.

Quale direzione per la circolarità europea

Durante lo Stakeholder Day, in plenaria, è stata Emmanuelle Maire, responsabile economia circolare della DG ambiente, a sottolineare che “l’UE deve puntare a una prosperità sostenibile”, investendo su innovazione, decarbonizzazione e sicurezza. Per lei, “uniti e forti, possiamo sfruttare il mercato unico dei rifiuti, le materie prime seconde e i prodotti bio-based per spingere la circolarità”.

Più netto invece Peter Schmidt, del Comitato economico e sociale europeo: “L’ansia non è una misura politica, la circolarità sì”. Il freno alla transizione arriverebbe dagli interessi economici, con le aziende fossili che vantano profitti impossibili per quelle circolari. “Serve intervenire: la UE deve vietare i prodotti insostenibili”, ha aggiunto Schmidt. “I limiti del pianeta sono la vera priorità, non la competitività.”

L’eurodeputata Sirpa Pietikäinen ha detto invece che “la regolamentazione non è un nemico, ma una leva fondamentale”. Il Circular Economy Act deve garantire efficienza, uso a cascata delle risorse e solo prodotti circolari nel mercato europeo. “L’UE deve smettere di finanziare progetti dannosi e usare dati affidabili per riconoscere chi è davvero green.”

Cosa significa allora competitività?

Secondo Cillian Lohan, ex vicepresidente per la comunicazione del Comitato economico e sociale europeo (EESC) e fondatore della European Circular Economy Stakeholder Platform, la forza della piattaforma risiede nella sua capacità di coniugare la governance dall’alto con l’innovazione che nasce dal basso.

“Abbiamo creato lo European Circular Economy Resource Center, un hub pensato per raccogliere le migliori pratiche sviluppate all’interno dell’UE e condividerle con i paesi fuori dal blocco. Solo due settimane fa abbiamo incontrato piattaforme sull’economia circolare da Asia, Africa e America Latina, tutte ispirate al modello europeo. Attraverso il Resource Center, l’EU CERC, abbiamo oggi un meccanismo e risorse per condividere ciò che ha funzionato”, ci spiega Lohan sottolineando che la sfida della competitività è soprattutto culturale.

“Il problema è che non siamo tutti allineati su cosa intendiamo per competitività. Nel peggiore dei casi viene intesa come la necessità di abbassare i nostri standard ambientali e sociali per competere con chi produce a costi più bassi, ignorando regole e tutele.” Lohan propone al contrario un approccio più ampio.

“Come società, spesso ci ispiriamo alla natura. Ma se isoli un solo aspetto della natura e ignori il contesto in cui opera, allora fraintendi l’intero sistema. Allo stesso modo, se parliamo di competitività solo in termini economici e ignoriamo il contesto ambientale e sociale, diventa controproducente. Non porterà ai risultati di cui abbiamo bisogno per coinvolgere tutti e costruire una versione migliore dell’economia, che funzioni davvero per tutta la società.”

ECESP, dai territori la spinta per il cambiamento

Anche in questa edizione dell’ECESP è stato centrale il tema dell’accesso ai finanziamenti. La sessione plenaria ha evidenziato l’impegno crescente della Banca europea per gli investimenti (BEI), che solo nel 2024 ha destinato 17,3 miliardi di euro a progetti legati all’economia circolare, portando il totale a oltre 51 miliardi dal 2020.

Tuttavia, nonostante l'entità delle risorse introdotte, resta un ostacolo strutturale. Secondo la stessa BEI, il numero di progetti effettivamente maturi e pronti a ricevere i finanziamenti è infatti ancora troppo basso.

C’è stato poi un altro caveat: la transizione circolare non può restare confinata ai corridoi di palazzo Charlemagne a Bruxelles. Deve partire dai territori, dalle città, dalle comunità. A ribadirlo è stato il rapporto OCSE The Circular Economy in Cities and Regions of the European Union”, presentato da Aziza Akhmouch. Il report individua una serie di condizioni chiave per attivare ecosistemi locali: accessibilità delle soluzioni circolari, valorizzazione degli attori locali, governance su base territoriale, obiettivi equi e coordinati a livello regionale, raccolta di dati precisi a livello subnazionale.

Un esempio concreto arriva dalla città belga di Lovanio. Dal palco il vicesindaco Thomas Van Oppens ha presentato l’esperienza della “banca dei materiali”, un progetto per il recupero e il riutilizzo dei materiali da costruzione che ha permesso di ridurre le emissioni e creare nuovi posti di lavoro a livello locale.

PMI e alleanze strategiche al centro della trasformazione

“Nonostante gli obiettivi ambiziosi, l’economia circolare in Europa resta ancora stagnante, soprattutto tra le PMI che devono affrontare ostacoli come la limitata disponibilità di capitali e competenze tecniche. Tuttavia, città e regioni stanno emergendo come protagonisti del cambiamento, sperimentando soluzioni innovative per rafforzare gli ecosistemi circolari locali”, spiega a Materia Rinnovabile Francesco Lembo, Advisor di ACR+.

Ma cosa può servire alle piccole imprese per acquisire la fiducia necessaria per cogliere le opportunità offerte dall’economia circolare? "Grazie a un uso strategico degli appalti pubblici, le regioni più proattive possono creare una domanda stabile per soluzioni circolari, riducendo i rischi di mercato, mentre investimenti mirati costruiscono una solida rete di partner locali, fondamentale per il successo di iniziative verdi e circolari. L’European Circular Innovation Valley (ECIV) rappresenta un esempio concreto di questo approccio, collegando 17 regioni in nove paesi con un finanziamento di 27 milioni di euro per mobilitare oltre 1.000 imprese attraverso sinergie industriali, bioeconomia e circolarità dei materiali.”

Un ulteriore esempio del potenziale delle alleanze europee arriva infine dal progetto LIFE BIOBEST, presentato il 5 giugno durante la EU Green Week, sempre con ACR+ tra i partner principali. Finanziato dal Programma LIFE dell’Unione Europea e operativo dal gennaio 2023, il progetto coinvolge cinque organizzazioni – Fundació ENT, Consorzio italiano compostatori (CIC), European Compost Network, Zero Waste Europe e ACR+ – impegnate nell’ottimizzazione della filiera dei rifiuti organici. L’obiettivo? Trasformare gli scarti in risorsa, promuovendo la produzione di fertilizzanti di alta qualità e contribuendo così a chiudere il cerchio della bioeconomia circolare.

 

In copertina: foto di European Economic and Social Committee (EESC)