
I cambiamenti climatici non solo distruggono territori ed ecosistemi, ma aggravano anche le disuguaglianze storiche e costringono milioni di persone a spostarsi. In America Latina e nei Caraibi, dove convergono povertà strutturale, violenza, debolezza istituzionale e disuguaglianza di genere, il clima è diventato un catalizzatore di vulnerabilità.
Il degrado ambientale – dalla perdita di massa glaciale alle ondate di calore, alla siccità o agli incendi boschivi – sta erodendo i mezzi di sussistenza e spingendo intere comunità a migrare verso aree meno colpite. I disastri naturali legati al cambiamento climatico sono oggi uno dei principali fattori di sfollamento umano nella regione: solo nel 2022 sono stati registrati 2,2 milioni di nuovi sfollamenti interni, una delle cifre più alte al mondo, secondo l'UNHCR.
La Banca mondiale avverte che, senza politiche urgenti, l'America Latina potrebbe avere più di 17 milioni di migranti interni per motivi climatici entro il 2050, con impatti particolarmente gravi in Messico e America centrale.
La dimensione di genere di questa crisi è evidente. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente, le donne e le ragazze rappresentano quasi l'80% delle persone sfollate per cause legate al clima. Questa “femminilizzazione” della migrazione climatica riflette il modo in cui le norme sociali e le disuguaglianze strutturali amplificano gli effetti del deterioramento ambientale, colpendo in particolare le donne rurali, indigene e di origine africana.
Genere e migrazione climatica: una vulnerabilità aggravata
In America Latina, le donne sono spesso le principali procacciatrici di acqua, legna da ardere e cibo, compiti che diventano sempre più difficili con il deterioramento dell'ambiente. Inoltre, il rapporto della FAO The Unjust Climate rivela che le donne rurali che sono capofamiglia perdono più reddito degli uomini a causa del caldo estremo e delle inondazioni. Se le temperature globali aumentassero di un solo grado in più, tali perdite potrebbero aumentare fino al 34%, aggravando la povertà e la disuguaglianza.
Queste condizioni spingono molte donne a migrare come strategia di sopravvivenza e resilienza. Tuttavia, durante lo sfollamento, devono affrontare violenze sessuali, sfruttamento lavorativo e tratta di esseri umani, oltre alla perdita di accesso ai servizi di base, aumentando i rischi di mortalità materna e gravidanze indesiderate.
Le conseguenze sulla salute
Il caldo estremo aumenta il rischio di mortalità alla nascita e l'aumento delle temperature favorisce la diffusione di malattie come la dengue, la malaria e il virus Zika. Secondo uno studio pubblicato su The Lancet Regional Health – Americas, le giovani donne dell'America centrale e dei Caraibi sono le più colpite.
Il caldo estremo raddoppia la probabilità di migrare verso le capitali in cerca di lavoro o di un riparo. Inoltre, i settori altamente femminilizzati come le maquilas tessili o il lavoro domestico sono tra i più vulnerabili a questi impatti, che portano alla perdita di reddito, alla mobilità forzata e alla precarietà del lavoro. I cambiamenti climatici creano anche nuovi problemi per la salute – o ne rafforzano di già esistenti − che vengono spesso trascurati, evidenziando la necessità di migliorare l'accesso all'assistenza sanitaria e i sistemi di monitoraggio per rispondere efficacemente a queste crisi.
America centrale: lo specchio di una crisi
Il Corridoio secco (Corredor seco) dell'America centrale, che si estende tra Guatemala, Honduras, El Salvador e Nicaragua, è uno degli esempi più evidenti di come il cambiamento climatico influisca sulla vita quotidiana. Secondo i dati dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), oltre 11 milioni di persone che vi risiedono dipendono dall'agricoltura, e tra il 30% e il 50% delle famiglie rurali ha perso parte o la totalità dei propri raccolti negli ultimi cinque anni a causa di siccità e inondazioni.
Questa insicurezza alimentare spinge migliaia di famiglie a migrare verso nord. In questo contesto, le donne sopportano il peso maggiore: restare significa sopportare la scarsità e assumersi maggiori responsabilità di cura; migrare significa affrontare percorsi pericolosi come il Darién Gap, dove sono stati documentati numerosi episodi di violenze sessuale. Tra il 2016 e il 2021, secondo l'UNICEF, i disastri climatici hanno causato lo sfollamento di 2,3 milioni di bambini e adolescenti in America Latina e nei Caraibi, aumentando le responsabilità delle donne in materia di assistenza e protezione sia durante il viaggio che una volta giunti a destinazione.
Agenti di cambiamento: donne, territorio e giustizia climatica verso COP30
Nonostante questo panorama, le donne non sono solo vittime, ma anche leader e agenti di cambiamento. In diversi territori dell'America Latina, le donne rurali e indigene guidano reti di resilienza, promuovendo pratiche agroecologiche, progetti di riforestazione e sistemi comunitari di gestione dell'acqua. Secondo UN Women (2025), queste leadership sono state essenziali per sostenere la vita e proteggere gli ecosistemi, anche se il loro ruolo politico ed economico rimane in gran parte invisibile.
In occasione della COP30, che è in corso a Belém, in Brasile, fino al 21 novembre, è essenziale riconoscere e finanziare la leadership climatica delle donne latinoamericane. La visibilità non è sufficiente: occorre garantire la loro piena e vincolante partecipazione ai meccanismi di governance climatica e i fondi di adattamento devono raggiungere i progetti da loro guidati.
Investire nelle donne non è solo una questione di giustizia, ma anche una strategia efficace di resilienza climatica. Dove le donne gestiscono le risorse naturali, i suoli si rigenerano più rapidamente, le colture sono più sostenibili e le comunità mostrano una maggiore coesione sociale e sicurezza alimentare. La COP30 dovrebbe segnare una svolta: passare dal considerare le donne come vittime della crisi climatica al riconoscerle come protagoniste della trasformazione ecologica e sociale.
Verso una COP30 con giustizia climatica e di genere
Il Brasile, in qualità di ospite della prossima COP, ha l'opportunità storica di porre il nesso tra genere, migrazione e cambiamento climatico al centro dei negoziati globali. Ciò richiede: la creazione di quadri internazionali che riconoscano le persone sfollate a causa del cambiamento climatico; la garanzia che i fondi vadano a iniziative guidate da donne rurali, indigene e sfollate; la garanzia che queste donne abbiano voce in capitolo e diritto di voto nel processo decisionale sul clima; l'integrazione della salute nelle politiche climatiche e migratorie; e la creazione di meccanismi di responsabilità per sostenere questi principi.
Infine, la COP30 deve rafforzare il principio della responsabilità condivisa e promuovere un approccio regionale coordinato che riconosca l'interdipendenza tra i paesi colpiti dai cambiamenti climatici, migliorando la cooperazione regionale e multilaterale. Solo così la COP30 potrà essere ricordata come il vertice che ha fatto progredire la giustizia climatica, che è anche giustizia di genere e migrazione.
Questo articolo è stato originariamente pubblicato su latinoamerica21.com
In copertina: persone indigene partecipano all'inaugurazione del Villaggio COP a COP30. Foto di Raimundo Pacco/COP30
