Giovedì 26 giugno ho partecipato alla prima edizione degli Stati Generali di Clean Tech Italy a Roma. Cleantech for Italy è parte di un’iniziativa europea nata con il supporto di Breakthrough Energy di Bill Gates e riunisce imprese operanti nel settore, investitori e istituti di ricerca di primo piano, e mira a creare una piattaforma di dialogo stabile tra innovatori, industriali, investitori e decisori pubblici per orientare le politiche industriali italiane.
La discussione si è focalizzata sulle opportunità di industrializzazione delle tecnologie sostenibili, un ambito in cui l'Italia deve consolidare e allargare la propria posizione già oggi di eccellenza in alcuni settori e che potrebbe in breve tempo contribuire a trainare fuori dalle secche una produzione industriale in calo da mesi.
Come per molte altre iniziative, che puntano a valorizzare l'importanza della transizione ecologica per la competitività e il "sistema-paese" in generale, il punto più difficile è riuscire a stabilire un dialogo con la politica, italiana e, più recentemente, anche europea.
Politica e istituzioni sembrano infatti più interessate a tutelare i settori industriali tradizionali che a investire nella transizione ecologica. Senza voler semplificare troppo una situazione certamente complessa e variegata, l’esperienza sul campo dimostra che questi settori hanno un interesse a mantenere lo status quo e stanno riuscendo a entrare in competizione diretta per finanziamenti privati e pubblici, nazionali ed europei, che dovrebbero invece sostenere l'innovazione e la sostenibilità; e stanno contribuendo a creare incertezze e ritardi sull’effettiva realizzazione del quadro normativo esistente e definito dal Green Deal.
In questo contesto, anche l’informazione gioca un ruolo cruciale: media spesso disinformati o condizionati da interessi specifici hanno contribuito a diffondere una narrativa distorta, amplificando paure e resistenze. Questa è la realtà, che ci piaccia o no. E i suoi effetti si vedono.
Come sottolineato da Cleantech for Italy nell’ultimo report, gli investimenti nelle imprese CleanTech nel 2024 – per quanto in un trend di crescita – si sono ridotti del 32% rispetto al 2023 (230,08 milioni rispetto a 339); il settore dell’energia e della generazione elettrica ha visto un calo degli investimenti da 148 milioni di euro nel 2023 a 22,6 milioni nel 2024. È evidente dunque che il contesto politico e geopolitico abbia un impatto negativo.
Purtroppo, l’ondata anti-green portata avanti da partiti e governi conservatori e di destra più o meno estrema sta investendo anche la Commissione europea in modo non previsto e non coerente con gli impegni presi dalla presidente Von der Leyen all’inizio della legislatura. Ciò rischia di compromettere obiettivi che sembravano ormai consolidati, sostenuti fino a poco tempo fa anche dal Partito popolare europeo.
Un esempio emblematico è la difficile discussione in corso a Bruxelles sul target di riduzione delle emissioni al 2040, che la Commissione ha scelto di posticipare per molti mesi e che oggi arriva a un momento cruciale: il target di riduzione del 90%, che sembrava ormai acquisito solo pochi mesi fa, è oggi contestato e sempre più in bilico. Questo non è un dettaglio tecnico: da tale impegno dipende la credibilità dell’UE nei negoziati internazionali. Alla COP30 di Belém, infatti, l’Unione dovrà presentare il proprio contributo alla lotta globale contro le emissioni climalteranti al 2035, un impegno strettamente legato agli obiettivi per il 2040.
Eppure, nel momento in cui gli Stati Uniti, sotto Trump, si ritirano dall’Accordo di Parigi e smantellano il piano di incentivi alle industrie Clean-Tech avviato da Biden, l’Unione Europea avrebbe la possibilità di mantenere e rafforzare il proprio ruolo guida nella lotta climatica, attirando investitori green, che stanno già iniziando a lasciare gli USA, e stimolando innovazione e sviluppo.
Ecco perché dobbiamo riacquistare consenso, cambiando i rapporti di forza e rendendo la transizione molto più vantaggiosa e desiderabile rispetto a quanto la narrativa imperante racconta: e in questo momento sono proprio le imprese che hanno la possibilità di contrastare più efficacemente l’ondata anti-Green Deal che sembra travolgerci, soprattutto se riusciranno ad agire in modo più coordinato e coeso presso i media, e le istituzioni nazionali ed europee.
Non c'è infatti nulla di ciò che succede intorno a noi che renda meno necessaria la mitigazione delle emissioni e l'adattamento alle conseguenze sempre più tangibili dei cambiamenti climatici. Anzi. Le temperature bollenti di questi giorni in tante parti del Vecchio Continente, l’allarme siccità e il suo impatto sul PIL, descritto perfino dalla BCE, gli stessi effetti devastanti di guerre ed eserciti sulle emissioni, i colpi persi dalle nostre industrie e, allo stesso tempo, le soluzioni che avanzano a grandi passi, dalle rinnovabili alla gestione delle acque, dalle tecnologie per l’efficienza energetica all’economia circolare, indicano in modo chiarissimo la direzione da prendere. Come hanno scritto nei loro rapporti Letta e Draghi, il rafforzamento della competitività europea passa attraverso imprese capaci di affrontare le transizioni verde e digitale e di "navigare" nell'attuale mondo tempestoso, disponendo di norme e di sostegni finanziari adeguati a sostenerle.
Gli Stati Generali del Green Tech si inseriscono appieno in questa logica di dialogo e mobilitazione e, sebbene in un tempo forse troppo limitato per decidere azioni concrete, hanno fatto emergere alcuni punti di un certo interesse.
In primo luogo, è essenziale continuare a organizzare spazi di dialogo e di azione comune tra imprese, università, istituti finanziari e istituzioni che spesso condividono le stesse priorità ma che collaborano poco, in un contesto nel quale l'accesso a finanziamenti e altri sostegni disponibili è reso difficile dalla frammentazione e dalla sovrapposizione degli strumenti esistenti a vari livelli.
Inoltre, se due terzi delle tecnologie green di cui abbiamo bisogno esistono già, spesso lo sono su una scala ancora troppo ridotta e si confrontano con una domanda insufficiente o discontinua. Come affermato da Michele Torsello nel corso degli Stati Generali, bisogna quindi favorire sia l’innovazione necessaria a colmare il gap ancora esistente che a migliorare le soluzioni già funzionanti. In particolare, il processo di innovazione anche delle tecnologie mature, aumentandone l’efficienza e soprattutto riducendone la dipendenza da minerali critici, infatti, può essere la chiave per scardinare degli equilibri geopolitici nella catena del valore, che attualmente vedono la Cina in una posizione dominante. Per fare questo – ha affermato Torsello – le sole risorse finanziarie non bastano: serve una visione di politica industriale di lungo periodo, che dia stabilità e coerenza al quadro normativo, e un ecosistema dell’innovazione, fatto di centri di ricerca, startup, investitori pubblici e privati, che procedano nella stessa direzione.
In terzo luogo, il settore del Clean-Tech deve anche compiere un salto di qualità nella propria capacità di rappresentarsi e farsi ascoltare. Ci vuole maggiore coesione nel dialogo con le istituzioni, oggi dominato da settori molto più presenti e organizzati, come quello del nucleare, degli energivori, dei chimici tradizionali o del gas. I rappresentanti del CleanTech e della green economy in generale, per quanto portatori di soluzioni fondamentali per il futuro, restano ancora troppo poco visibili e divisi.
Come sottolineano spesso funzionari e responsabili politici a tutti i livelli che incontriamo a Bruxelles o in Italia, gli operatori del Clean-Tech e della green economy sono troppo poco presenti rispetto a chi porta avanti gli interessi del nucleare, del gas, della chimica o degli energivori. Può sembrare davvero banale, ma l’impatto di queste lobby e gruppi di pressione, di per sé totalmente legittimi, ben organizzati, ben finanziati e in grado di essere convincenti con decisori politici che dimostrano scarsa sensibilità e convinzione rispetto all’urgenza dell’azione climatica, sta da tempo avendo un impatto enorme, che dobbiamo essere in grado di contrastare più efficacemente.
È possibile identificare priorità concrete per sviluppare un piano di azione e una collaborazione più efficace tra le imprese Clean-Tech e le loro associazioni in Italia e in Europa.
Innanzitutto, è fondamentale contrastare la riapertura e la revisione regressiva del pacchetto Fit for 55, tutelando gli obiettivi su rinnovabili, efficienza energetica e altre norme a partire dall’automotive. Inoltre, le imprese Clean-Tech dovrebbero organizzarsi per sfruttare al meglio le opportunità offerte dagli strumenti in fase di definizione a livello europeo, come la banca per la decarbonizzazione, l’Innovation Fund, le misure e raccomandazioni contenute nel Clean Industrial Deal e nel nuovo schema sugli aiuti di stato.
Infine, sarebbe strategico inserirsi in modo più diretto nei canali di consultazione con le imprese che la Commissione sta aprendo, dove sono molto presenti i settori fossili, automotive, energivori e nucleare, per garantire una rappresentanza più equilibrata e influente delle istanze del settore Clean-Tech.
In conclusione, servono un maggiore coordinamento e coesione tra operatori ed operatrici, un accesso semplificato agli strumenti finanziari e normativi esistenti, un’azione politica coerente e una rappresentanza più forte e strutturata da parte delle imprese del settore.
In un momento storico segnato da instabilità e crisi multiple, la priorità ora è trasformare un grande potenziale in scelte operative, visibili e misurabili, in grado di incidere davvero sui tavoli dove si decide. La transizione può ancora essere un’opportunità competitiva per l’Italia e l’Europa. Ma bisogna farla valere concretamente come tale, senza perdere altro tempo.
In copertina: immagine Envato