In Italia, le disuguaglianze economiche sono una realtà persistente e complessa, che continua a limitare la mobilità sociale e a concentrare la ricchezza nelle mani di pochi. Un recente studio, intitolato Persistence of wealth inequality from network effects, condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università degli Studi di Milano e dell’Universidade Federal do Ceará in Brasile, ha analizzato i fattori strutturali che alimentano la persistenza delle disuguaglianze economiche nel nostro paese. Pubblicato sulla rivista internazionale PLOS Complex Systems, mette in luce come la rete di interazioni economiche tra individui giochi un ruolo centrale nel mantenere consolidate le disparità, evidenziando dinamiche che vanno oltre le semplici differenze di reddito o di capacità individuali.
Gli autori hanno sviluppato un modello matematico innovativo che analizza le radici strutturali di queste disuguaglianze e non si limita a descrivere il fenomeno, ma ne chiarisce le cause e propone una nuova chiave di lettura per individuare possibili soluzioni.
Perché la ricchezza resta nelle mani di pochi?
I dati utilizzati nello studio provengono dall’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane della Banca d’Italia e coprono un ampio arco temporale, dal 1991 al 2020. Osservando il panorama italiano, le disuguaglianze economiche si riflettono non solo nei livelli di reddito, ma anche nella sua fonte. Le famiglie più povere si affidano quasi esclusivamente al reddito da lavoro per sostenersi, mentre quelle più ricche traggono la parte più consistente delle proprie entrate dagli investimenti. Una differenza strutturale che contribuisce a consolidare le distanze nel tempo.
“La metodologia del modello si basa sull’utilizzo di modelli ad agenti [ABM, una metodologia computazionale che rappresenta il comportamento degli individui al fine di studiare i fenomeni sociali, nda] per simulare le dinamiche economiche tra individui”, spiegano Caterina La Porta, del Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università Statale di Milano, e Stefano Zapperi, del Dipartimento di fisica Aldo Pontremoli della stessa università, entrambi autori dello studio.
“Nel modello ogni agente rappresenta un individuo o una famiglia immersa in un contesto economico”, proseguono gli autori. “Abbiamo considerato due modelli matematici sviluppati negli ultimi anni: il modello di Nirei-Souma (NS), focalizzato sull’accumulazione di ricchezza attraverso lavoro, investimenti e consumo, e il modello di Bouchaud-Mezard (BM), centrato sulle transazioni economiche tra agenti. Nel nostro lavoro proponiamo poi un nuovo modello ibrido, che combina il modello NS con meccanismi di transazione economica (in stile BM) e considera la rete di interazione in cui gli agenti sono immessi.”
La ricerca mette in evidenza come la topologia della rete economica − ovvero la struttura complessa delle connessioni attraverso cui avvengono le transazioni economiche, da chi si riceve e a chi si dà denaro − svolga un ruolo determinante nel rafforzare le disparità di ricchezza esistenti. Gli individui e le famiglie che occupano posizioni ben collegate all’interno della rete hanno un accesso privilegiato a risorse fondamentali quali informazioni, opportunità di scambio, lavoro, servizi e investimenti, che favoriscono l’accumulo di ricchezza. Al contrario, “i nodi periferici, con connessioni limitate, non beneficiano degli stessi scambi economici, restando esclusi da opportunità di crescita,” spiegano gli esperti.
Questa struttura gerarchica della rete porta a una concentrazione stabile della ricchezza nei nodi centrali, rendendo difficile per chi si trova ai margini risalire la scala sociale. Le dinamiche di scambio e le opportunità non sono distribuite equamente, ma sono influenzate dalla posizione che ciascun agente occupa nella rete economica.
Un altro aspetto importante riguarda il ruolo degli sforzi personali nella mobilità sociale. Secondo quanto evidenzia il modello, anche con impegno migliorare la propria condizione economica resta molto complesso. Infatti, quando le interazioni economiche sono gerarchiche, gli sforzi personali e il merito individuale giocano un ruolo limitato nell’aumento del proprio benessere.
“Anche se un individuo compie investimenti efficaci o lavora di più, la sua posizione nella rete influenza fortemente l’efficacia di tali sforzi,” sottolineano gli esperti. “Gli individui con poche connessioni o mal distribuite faticano a migliorare la propria condizione economica, anche a parità di impegno. Questo suggerisce che la struttura della rete sociale è un vincolo forte che ostacola la mobilità sociale.”
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Come si possono ridurre le diseguaglianze?
Anche se il modello si basa su dati italiani, i ricercatori ne sottolineano la validità più ampia e la possibilità di applicarlo in altri ambiti nazionali. “In passato, abbiamo studiato il contesto americano dove troviamo una disuguaglianza ancora maggiore di quella italiana. La struttura dei dati su concentrazione di ricchezza e mobilità sociale è abbastanza simile alla nostra, anche se ancora più estremizzata,” spiegano gli autori dello studio.
Nel nostro paese, il modello potrebbe diventare uno strumento per simulare l’effetto di interventi mirati, che vadano a ridurre la segregazione nella rete economico-sociale, come politiche di redistribuzione, investimenti in istruzione e digitalizzazione, che hanno l’obiettivo di supportare gli individui nella creazione di nuove connessioni economiche. Inoltre, la possibilità di applicare questo modello ad altri contesti nazionali apre la strada a confronti internazionali utili per comprendere meglio i meccanismi alla base delle disuguaglianze.
Il team di ricerca è già impegnato in due nuovi filoni di studio, sempre incentrati sul tema delle disuguaglianze. Nel primo progetto, condotto a livello europeo, sta studiando il processo della gentrificazione, un fenomeno per cui “le classi sociali svantaggiate vengono di fatto espulse dai centri delle grandi città, o addirittura dalle città stesse, a causa degli aumenti dei costi delle abitazioni. L’altro aspetto su cui ci stiamo concentrando è quello dell’impatto della disuguaglianza sulla salute”, concludono La Porta e Zapperi. Due dimensioni, spaziale e sanitaria, che confermano come la disuguaglianza non sia solo una questione di reddito, ma una condizione che incide sulla qualità della vita e sulle opportunità a disposizione degli individui.
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In copertina: foto di Sara Perinetto