Dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, l’Europa si è trovata improvvisamente a dover diversificare in fretta e furia i suoi approvvigionamenti di gas naturale. Acquistarne da Putin significava finanziare la macchina militare russa, così i Paesi europei hanno visto nel GNL (gas naturale liquefatto) un’alternativa efficiente. Da allora sei terminali GNL sono entrati in funzione e il rigassificatore francese Fos Cavaou è stato ampliato, aggiungendo alla capacità di rigassificazione europea altri 36,5 miliardi di metri cubi.

Secondo il database interattivo European LNG Tracker, lanciato da Energy Economics and Financial Analysis (IEEFA), con oltre 17 nuovi progetti, pianificati o attualmente in costruzione, l’Europa raggiungerà una capacità di rigassificazione totale di 406 miliardi di metri cubi entro il 2030. Tutto senza però considerare che il consumo è in calo, come confermato anche dal recente World Energy Outlook dell'IEA, e si prevede che si aggirerà intorno ai 400 miliardi di metri cubi entro la fine del decennio.

I rigassificatori in Europa

L’appetito dell’Europa per nuovi progetti di GNL sta spingendo il continente ad aumentare a dismisura la propria capacità di importazione (circa di un terzo), ma lo squilibrio tra la futura domanda e i rigassificatori potrebbe risultare in una capacità inutilizzata di circa 200-250 miliardi di metri cubi entro il 2030.

Un gap significativo che danneggerà i Paesi in modo diverso: in primis la Spagna con 50 miliardi di metri cubi di capacità inutilizzata, poi la Turchia con 44 miliardi, il Regno Unito con 40, la Francia con 14, l’Italia con 10 e la Germania con 9. Entro il 2030, l’IEEFA prevede un tasso di utilizzo del 36% dei terminali GNL europei, compresi quelli attualmente in fase di progettazione e costruzione.

“Il calo della domanda di gas sta mettendo in discussione la narrazione secondo cui l’Europa ha bisogno di più infrastrutture GNL per raggiungere i propri obiettivi di sicurezza energetica. I dati mostrano che non è così”, ha dichiarato Ana Maria Jaller-Makarewicz, analista della IEEFA. “Nonostante i significativi progressi verso la riduzione del consumo di gas, i Paesi europei rischiano di sostituire la dipendenza dai gasdotti russi con un sistema GNL ridondante che espone ulteriormente il continente a prezzi volatili."

Diversi Paesi hanno annunciato nuovi progetti GNL o l’espansione di quelli esistenti nel tentativo di tagliare i legami con la Russia, tra cui la Germania con 3 infrastrutture onshore e 6 rigassificatori galleggianti (o FSRU, Floating Storage and Regasification Units), l’ItaIia con 2 FSRU, la Grecia con 2 FSRU, i Paesi Bassi e la Francia con 1 FSRU per ciascuno Stato.

Gli investimenti italiani ed europei

Dall'inizio del 2022 l’Italia ha installato 5 miliardi di metri cubi di nuova capacità di importazione di GNL, ponendosi l’obiettivo di diventare il nuovo hub mediterraneo del gas. Tra gennaio e luglio 2023, l'Italia ha speso circa 4,6 miliardi per l’import, di cui 1,74 miliardi pagati al Qatar, e 1,22 agli Stati Uniti.

Secondo i dati dell’European LNG Tracker, gli Stati europei che hanno speso di più sono i Paesi Bassi con 11,25 miliardi di euro e la Francia con 9,72 miliardi di euro. Soldi pubblici investiti su infrastrutture che, se dovessero diventare stranded asset (bene incagliato) per via di una domanda sempre più in calo, rappresenterebbero un’opportunità mancata di investimento nelle rinnovabili.

“Le reti sovraingegnerizzate sono costose da costruire e mantenere. Le decisioni per espandere l’infrastruttura GNL europea devono essere basate sulle future esigenze della domanda e tenere conto del fatto l’Unione prevede di ridurre la domanda di gas di almeno un terzo entro il 2030”, ha aggiunto Ana Maria Jaller-Makarewicz. Stando ai dati della IEEFA la sicurezza energetica europea sarebbe più che raggiunta e non ci sarebbe bisogno di costruire nuove infrastrutture legate al consumo di fonti fossili.

 

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Immagine: Envato