Sarebbe una follia passare dalla dipendenza energetica dalla Russia di Vladimir Putin a una dagli Stati Uniti di Donald Trump, a maggior ragione visto che l’Europa vuole decarbonizzare il proprio sistema e arrivare a emissioni zero nel 2050.
Ieri, martedì 6 maggio, la Commissione europea ha presentato la sua Roadmap per la fine delle importazioni energetiche dalla Russia (Roadmap towards ending Russian energy imports), che sostanzialmente prevede la cessazione dei contratti a breve termine per l’acquisto di gas (sia di quelli nuovi che di quelli esistenti) entro la fine di quest’anno, e il divieto totale a partire dal 31 dicembre 2027.
Diciamo che il pacchetto arriva con notevole ritardo: secondo i calcoli del Centre for Research on Energy and Clean Air (CREA), dal 2022 a oggi l’UE ha speso la bellezza di 101 miliardi di euro per comprare gas russo.
Prima dell’invasione dell’Ucraina, circa il 45% delle importazioni totali di gas dell’UE proveniva dalla Russia, quota che si è ridotta al 19% nel 2024, e scenderà ulteriormente nel 2025 grazie allo stop del gasdotto attraverso l’Ucraina. Come dice il commissario europeo per l’energia Dan Jørgensen, nel 2024 i 27 hanno versato 23 miliardi di euro nelle casse di Mosca per le importazioni energetiche, quasi 1,8 miliardi al mese.
Il piano UE per fermare le importazioni di gas russo
La roadmap della Commissione europea conferma sostanzialmente gli obiettivi del REPowerEU, il piano presentato nel maggio 2022 per rinunciare alle fonti fossili di Putin e affrontare la decarbonizzazione del nostro sistema energetico. Ovvero: risparmio energetico, elettrificazione, aumento della produzione proveniente da fonti a zero emissioni (solare, eolico, idroelettrico, geotermia e nucleare) e, nel breve periodo, diversificazione delle fonti di approvvigionamento dei combustibili fossili.
Tra le novità, l’esecutivo comunitario presenterà una proposta legislativa per vietare dalla fine del 2025 le importazioni di gas russo nell’ambito dei contratti cosiddetti “spot” (a breve termine) nuovi ed esistenti. Dopo, bandirà il combustibile di Mosca anche dai contratti a lungo termine dalla fine del 2027.
Inoltre, per la prima volta viene affrontato seriamente il problema della tracciabilità, che finora ha reso possibile l’importazione illegale di gas attraverso passaggi di carte e “flotte ombra”. Il vuoto normativo in tema di trasparenza e monitoraggio verrà colmato con misure vincolanti che, per esempio, obbligheranno le aziende a comunicare le informazioni sui contratti di fornitura alle autorità nazionali e alla Commissione europea.
Infine, si propongono meccanismi collettivi di sostituzione del gas russo, tra cui il varo di una piattaforma comune per l’acquisto di biogas, biometano e altri gas non fossili.
Sostituire una dipendenza con un’altra
Tutto bellissimo, ma è inutile girarci intorno. C’è il rischio concreto di sprecare un’opportunità storica e compiere un drammatico errore strategico, se la riduzione del gas russo sarà compensata da una nuova dipendenza: quella dal gas naturale liquefatto (GNL) proveniente in particolare dagli Stati Uniti.
Oggi, l’Unione Europea acquista da paesi extra-UE circa il 90% di quello che utilizza: il 62% da Norvegia, Algeria, Libia, Azerbaijan, Russia e Regno Unito, il resto dal GNL che arriva per mare ai rigassificatori. Ma se dal 2021 a oggi l’Unione ha ridotto il consumo di gas del 20% (da 412 miliardi di metri cubi a 332), anche grazie all’impennata delle rinnovabili e a una crescente efficienza energetica, le importazioni di GNL sono aumentate del 48%.
Qui sta il punto debole della nuova roadmap: se uscire dalla relazione tossica con Mosca è doveroso, rischia di minare gli obiettivi di autonomia strategica, climatica ed economica dell’Unione Europea sostituirla con un’altra dipendenza. E da un alleato “agitato”.
Come spiega Davide Panzeri, del think tank ECCO, “proprio la dipendenza dalle fonti fossili è la causa principale della volatilità e dei maggiori costi degli approvvigionamenti energetici dell’Unione. Ridurre la dipendenza da combustibili fossili di qualunque origine significa difendere l’indipendenza e la competitività europee”.
L’Europa ha davvero bisogno del GNL?
Le analisi più recenti confermano che l’Europa può fare a meno del gas russo senza dover firmare nuovi contratti per il GNL statunitense. Secondo uno studio del think tank Strategic Perspectives, accelerando la transizione energetica l’UE potrà ridurre la domanda di gas di circa 50 miliardi di metri cubi entro il 2027. Quanto basta per evitare ulteriori legami con Washington. E non è tutto.
Il centro studi Ember stima che già nel 2030 l’offerta supererà la domanda del 26%, ovvero di 131 miliardi di metri cubi, rendendo superfluo ogni nuovo impegno di lungo termine con fornitori esterni. Il messaggio è chiaro: l’Europa non ha bisogno di scambiare una dipendenza con un’altra, ma di affrancarsi del tutto dalle fonti fossili.
Investire miliardi in nuove infrastrutture per importare GNL statunitense − come nuovi gasdotti o terminali di rigassificazione − rischia non solo di sprecare risorse preziose, ma di ancorare l’Europa a un modello energetico obsoleto. Come sottolinea Linda Kalcher, direttrice di Strategic Perspectives, “sostituire il gas russo con il GNL americano è una scommessa geopolitica e peggiora la sicurezza energetica dell’UE. I miliardi di euro sprecati ogni anno per le importazioni andrebbero spesi meglio nell’economia europea per ridurre il fabbisogno di gas: potenziando l’elettrificazione, isolando le abitazioni e affrontando la povertà energetica.”
In copertina: il commissario europeo per l’energia Dan Jørgensen fotografato da Valentine Zeler © European Union, 2025