Il 29 settembre è stata designata dall’ONU come Giornata internazionale della consapevolezza sulle perdite e gli sprechi alimentari (International Day of Awareness of Food Loss and Waste). In particolare, a promuoverla sono l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) e il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), infatti gli eventi della giornata sono guidati congiuntamente dalle due organizzazioni.

L'obiettivo è quello di sensibilizzare sull'importanza del problema dello spreco alimentare e delle sue possibili soluzioni a tutti i livelli, e di promuovere gli sforzi globali e l'azione collettiva verso il raggiungimento dell'Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 12.3, che mira a dimezzare gli sprechi alimentari globali pro capite a livello di vendita al dettaglio e di consumatori entro il 2030 e ridurre le perdite alimentari lungo la produzione alimentare e le catene di approvvigionamento.

Quanto cibo sprechiamo?

La stessa Commissione europea ha accolto con favore questa iniziativa: la riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari è parte integrante della strategia Farm to Fork dell'UE per un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell'ambiente. Per la quarta edizione della Giornata contro lo spreco alimentare, la FAO e l'UNEP hanno lanciato un invito ad agire a tutti gli enti pubblici e privati del sistema alimentare e ai consumatori perché adottino misure per ridurre le perdite e gli sprechi alimentari.

Secondo i dati più recenti, il 13% del cibo mondiale vada perso nella catena di approvvigionamento, dalla fase di post raccolta a quella di vendita al dettaglio (FAO, 2022), mentre un ulteriore 17% del cibo viene sprecato nelle famiglie, nei servizi alimentari e nella vendita al dettaglio (UNEP, 2021).

Inoltre, nel periodo 2010-2016, le perdite e gli sprechi alimentari globali hanno rappresentato l'8-10% delle emissioni totali di gas serra di origine antropica (IPCC, 2019). Frutta e verdura sono oggetto di circa il 32% delle perdite alimentari, seguite da carne e prodotti animali che ne rappresentano il 12,4% (FAO, 2022).

Quanto cibo viene sprecato in Italia?

In Italia, secondo il Rapporto rifiuti urbani 2022 dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), ogni abitante produce in media 1,3 kg di rifiuti domestici ogni giorno. Un dato che sfiora i 29 milioni di tonnellate in un anno, se consideriamo l’intera popolazione.

A livello nazionale, il 34,7% di questi rifiuti è rappresentato dalla frazione organica, costituita dai rifiuti biodegradabili provenienti da cucine e mense e dalla manutenzione di giardini e parchi, quello che in gergo tecnico viene definito FORSU (Frazione organica del rifiuto solido urbano). In totale, però, si stima che nell’organico vengono buttati anche 75 grammi di cibo al giorno.

Riciclare i rifiuti organici

Guardando gli impianti di compostaggio, invece, l’organico, comunemente chiamato umido, domina anche per i rifiuti avviati a riciclo: il 42,3% è costituito dalla frazione organica, davanti al 24,2% di carta e cartone e al 14,7% del vetro. La frazione organica da raccolta differenziata gestita nel corso del 2021 era costituita, prevalentemente, da rifiuti biodegradabili di cucine e mense, con un quantitativo di circa 5 milioni di tonnellate, pari al 73,2% del totale.

I rifiuti biodegradabili di giardini e parchi, con circa 1,8 milioni di tonnellate, rappresentano il 26,2% del totale, mentre i rifiuti dei mercati, con oltre 42.000 tonnellate, costituiscono una quota residuale dello 0,6%.

Dietro questi numeri si cela una grande opportunità. La creazione di fertilizzanti, biometano o biocarburanti può un’opzione secondaria. Al contrario, sono sempre più numerose le aziende e le iniziative che trasformano in risorsa gli scarti e frazioni di organico in prodotti ad alto valore aggiunto.

Bioplastica dal latte

Il latte e i suoi scarti sono tra i materiali su cui si è maggiormente concentrata la ricerca al fine di sviluppare, ad esempio, imballaggi compostabili, biodegradabili e non inquinanti. L’azienda francese Lactips produce bioplastica dalla caseina dando origine a un imballaggio che si biodegrada in 18 giorni e che può essere usato come compost casalingo.
Guardando all’Italia, la sarda Milk Brick utilizza l’acqua estratta dal latte e la fibra di latte, ottenuta dalla caseina tramite processo di estrusione, nei processi di miscelazione dei compositi dellindustria edilizia, riducendo l’utilizzo di acqua pura. In particolare, la fibra di latte è impiegata come additivo fibrato in edilizia per le sue caratteristiche traspiranti, antibatteriche, isolanti e funge da fibro-rinforzo.

Packaging dai carciofi

Karshof, startup innovativa al momento incubata in TerraNext, si applica alla produzione della farina Karshof, una farina nutriente, versatile e anti spreco, considerato che su 1 kg di carciofi ben 750 grammi sono mediamente scarto.

Un’altra ricerca italiana, quella del gruppo Smart Materials dell’Istituto italiano di tecnologia (IIT), ha puntato alla valorizzazione degli avanzi dei carciofi e, in collaborazione con la SGM, Società di gestione del mercato di Genova che ha fornito la materia prima per le ricerche, ha creato bioplastiche per packaging partendo dai carciofi avanzati.

Pellicole di imballaggio dai gusci di gamberetti

Il Wyss Institute for Biologically Inspired Engineering dell’Università di Harvard ha sviluppato una bioplastica totalmente degradabile dai gusci dei gamberetti e dalle proteine della seta. Dai gusci dei crostacei, materiale di scarto dell’industria della pesca, i ricercatori hanno isolato un materiale chiamato chitosano, mentre dalla fibroina della seta, una proteina fibrosa, hanno realizzato uno strato sottile che mima la micro-architettura della cuticola degli insetti.

Dalla combinazione di questi due materiali hanno creato Shrilk, un materiale che può servire a creare schiume e pellicole di imballaggio per poi ritornare a favorire la crescita delle piante una volta tornato a disperdersi nell’ambiente.

Piume per rimpiazzare il polistirene

Se il pollame è una delle più popolari carni a livello mondiale, circa il 5% di questi animali è composto da piume che rappresentano un significativo problema di rifiuti per la relativa industria e che vengono solitamente bruciate o trasformate in mangime animale di scarso valore. Tuttavia, le piume sono composte da cheratina, una proteina resistente chimicamente e forte fisicamente, oltre a essere una delle fibre naturali più leggere e ad alto potere termo isolante.

Partendo da queste valutazioni, Elena Dieckmann e Ryan Robinson hanno fondato Aeropowder. Il primo prodotto realizzato dalla startup con sede a Londra è Pluumo, un foglio compostabile formato per il 95% da piume di scarto e il 5% da biobinder, un polimero creato da fonti rinnovabili naturali. Pluumo è un materiale biodegrabile pensato per isolare cibo deperibile e rimpiazzare il polistirene nelle consegne e nell’e-commerce di generi alimentari.

Portalattine di birra da un sottoprodotto della birra

In Florida l’azienda Saltwater Brewery è stata la prima a utilizzare un sottoprodotto della produzione della birra per creare un packaging a 6 anelli per lattine di birra che è composto da grano e orzo avanzati. Il packaging, realizzato dalla startup E6PR, che grazie a questa innovazione si è aggiudicata diversi premi, è oggi un marchio registrato come E6PR™, oltre a essere totalmente biodegradabile, compostabile ed è realizzato con la frazione fibrosa di diversi rifiuti e residui dell'agricoltura.

Le tante vite degli scarti del caffè

I fondi del caffè sono tra gli scarti organici più voluminosi se si considera che a ogni grammo di caffè tostato corrispondono 0.91 grammi di caffè di scarto. Di conseguenza molta ricerca e sforzi imprenditoriali si sono concentrati nel valorizzare tali scarti. Coffeefrom è una startup innovativa a vocazione sociale (SIAVS), nata da un'idea de Il Giardinone Cooperativa Sociale, che trasforma i fondi di caffè provenienti dall'industria alimentare in nuove materie prime seconde, e non solo, attraverso il coinvolgimento di una filiera industriale 100% made in Italy.

L’azienda ha sviluppato finora tre materiali: Coffeefrom Bio, materiale 100% biodegradabile, composto da fondi di caffè in percentuale variabile e PLA; Coffeefrom Eco, materiale flessibile e leggero 100% riciclato, composto da polietilene a bassa densità (LDPE) da riciclo post-industriale e fondi di caffè; Coffeefrom Strong, composto da polietilene ad alta densità (HDPE) e fondi di caffè, rigido e resistente ad alte temperature.

Recentemente, ingegneri della Yokohama National University hanno utilizzato i fondi di caffè come fonte di cellulosa. Circa il 10% del peso secco dei fondi di caffè è costituito da cellulosa, affermano nel loro studio pubblicato sulla rivista Cellulose. Per estrarre la cellulosa dai fondi di caffè esausti, il team ha utilizzato un catalizzatore che ossida e scompone le pareti cellulari dei chicchi di caffè.

Le fibre microscopiche di cellulosa ottenute erano uniformi nella struttura e potevano essere facilmente mescolate con l'alcol polivinilico, un polimero usato per produrre plastiche biodegradabili, per ottenere una plastica composita. Secondo gli studiosi, i risultati suggeriscono che i fondi di caffè esausti sono un valido sostituto del legno per la produzione di nanofibre di cellulosa, anche se maggiore ricerca è necessaria per sviluppare un processo commercialmente valido.

Scarti organici per l’edilizia e l’arredo

Altri ricercatori hanno da un po’ di tempo esaminato come i fondi di caffè possano essere utilizzati per produrre calcestruzzo e altri prodotti. Tuttavia, fino a un recente studio, nessuno aveva trovato un metodo efficace per infondere il caffè nel calcestruzzo senza comprometterne le funzionalità.

Roychand e i suoi colleghi hanno pirolizzato i fondi di caffè per ottenere un biochar ricco di carbonio, riscaldandoli sperimentalmente a diverse temperature, prima di inserire i fondi nell'impasto del calcestruzzo. In tal modo, i ricercatori sono riusciti a individuare la temperatura esatta che conferiva al caffè le giuste proprietà materiali per rinforzare il calcestruzzo senza indebolirlo.

L’azienda canadese di arredamento Uniboard ha invece creato un compensato, chiamato NU Green, composto al 100% da fibre di legno riciclate o recuperate. In particolare, nel processo di produzione la formaldeide è sostituita da fibre organiche e rinnovabili come gli steli di mais e di luppolo. Gli steli usati sono, a loro volta, scarti di altre produzioni agricole, senza ricorso a ulteriori coltivazioni. Ciò comporta minori emissioni di anidride carbonica nell'ambiente e un minore sfruttamento del suolo.

 

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