Dopo vari scandali che ne hanno minato la credibilità, il carbon offsetting è tornato a far discutere. Questa volta provocando malumori all’interno di uno degli enti di certificazione climatica più importanti al mondo: la Science-Based Targets Initiative (SBTi), un’organizzazione che globalmente ha validato gli obiettivi climatici di oltre un migliaio di aziende. Il caso è esploso giovedì 9 aprile quando il board della SBTi ha annunciato di voler considerare le compensazioni di carbonio e l’acquisto di “certificati ambientali” come strumenti addizionali per abbattere gli impatti ambientali dello Scope 3, ovvero quelle emissioni di anidride carbonica derivate dalla supply chain e dal consumo dei prodotti.

Secondo uno scoop del Financial Times, numerosi tecnici della SBTi, ovvero chi si occupa di sviluppare strumenti e linee guida che rendono credibili gli obiettivi di decarbonizzazione delle aziende, non avrebbero gradito la decisione del consiglio di amministrazione. Al punto da chiedere, attraverso una lettera interna, le dimissioni dei promotori dell’annuncio. Il board di SBTi è composto da nomi altisonanti come l’ex presidente colombiano Iván Duque Márquez, Ani Dasgupta, presidente del World Resources Institute e l’ex Amministratore delegato di ENEL Francesco Starace, ora partner del fondo di private equity Eqt Infrastructure. Nessuno dei 9 membri, per ora, ha scelto di dimettersi dal board.

Le compensazioni di carbonio annacquano gli obiettivi climatici delle imprese?

Nel novembre del 2022 la SBTi aveva dichiarato a Materia Rinnovabile che l’acquisto di crediti di carbonio era accettato solamente per l’abbattimento delle emissioni residue di un’azienda (circa il 5/10% di quelle totali). Oggi la revisione del protocollo operativo Net-Zero Standard, su cui si basa la metodologia di valutazione dei target di neutralità carbonica, rivoluziona le regole del gioco. Una decisione piovuta dall’alto che, secondo le testimonianze raccolte dal Financial Times, ha “palesemente violato il protocollo interno”, basato su una trasparente e accurata definizione degli standard.

Sulla vicenda l’ufficio stampa di SBTi non ha risposto a una nostra richiesta di commento. Intanto sorgono i primi timori sugli effetti che questi “crediti ambientali”, dei quali non è ben specificata la natura, avranno sulle politiche di decarbonizzazione delle imprese aderenti all’iniziativa. Annacqueranno gli obiettivi climatici oppure l’organizzazione saprà trovare un giusto compromesso tra la riduzione diretta delle emissioni e strumenti di compensazione? Dalla sua fondazione nel 2014 la Science-Based Targets Initiative ha costruito la sua reputazione attorno a regole d’ingaggio ben precise. Specialmente per protocolli delicati come quello sulla neutralità carbonica, che non aveva mai previsto l’opzione carbon offsetting. Dai malumori interni trapela la preoccupazione che il cambio di policy possa danneggiare la credibilità e il prestigio di SBTi.

L’influenza della Bezos Earth Fund sulla decisione di SBTi?

In un articolo uscito sempre sul Financial Times la giornalista Kenza Bryan ha rivelato che l'annuncio improvviso della SBTi è arrivato dopo una riunione tenutasi il mese scorso a Londra sotto il coordinamento del Bezos Earth Fund, uno dei finanziatori principali dell’ente. Secondo alcune persone che hanno preso parte al meeting, il fondo da 10 miliardi di dollari istituito dal magnate di Amazon Jeff Bezos si sarebbe espresso a favore dell’introduzione dei crediti di carbonio, influenzando la decisione del consiglio di amministrazione.

Il Bezos Earth Fund ha negato il conflitto d’interessi dichiarando di non essere coinvolto nelle scelte di SBTi. Sebbene il Bezos Earth Fund sia gestito separatamente da Amazon, il gigante tecnologico è stato tra le oltre 100 aziende che l'anno scorso sono state rimosse dalla lista delle imprese partecipanti al SBTi per non aver presentato obiettivi climatici aggiornati.

 

Immagine: Envato

 

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