Tra le parole che sentiamo ripetere spesso quando si parla di cambiamento climatico c’è mitigazione. Mitigare significa rendere meno gravi gli impatti del riscaldamento globale diminuendo le emissioni di gas a effetto serra nell’atmosfera. Ciò che sappiamo è che più saremo lenti a ridurle, più severi saranno gli effetti. La mitigazione, descritta dagli scienziati del clima come misura essenziale per contenere i danni del cambiamento climatico, è un vero e proprio piano d’intervento che richiede impegni, politiche e radicali cambiamenti nel modo di produrre e consumare, soprattutto dai Paesi che inquinano di più come Cina, Stati Uniti e India.

Attualmente sono due le principali azioni di mitigazione: ridurre le fonti che emettono gas a effetto serra (bruciando combustibili fossili per l'elettricità, il calore o il trasporto) e aumentare e proteggere i cosiddetti pozzi di assorbimento (oceani, foreste, suolo) che accumulano e immagazzinano questi gas. Nonostante sia rimasto poco tempo per evitare gli scenari futuri peggiori, abbiamo le conoscenze e le tecnologie per frenare e poi fermare il processo che sta riscaldando il pianeta.

La coperta di gas serra

I gas a effetto serra presenti in atmosfera sono come una coperta che, intrappolando calore, riscalda il pianeta. Abbiamo bisogno di questa coperta perché altrimenti la temperatura media della terra sarebbe di -18 gradi e non esisterebbe la vita che conosciamo. Il grosso problema è che continuando a bruciare combustibili fossili (carbone, petrolio e gas) stiamo facendo diventare questa coperta sempre più calda, provocando un rapido aumento della temperatura globale.

I gas a effetto serra (anidride carbonica, metano, ozono e ossido di azoto) non hanno tutti gli stessi effetti sul clima. Mentre il metano, considerato un potente gas serra, intrappola il calore molto più efficacemente ma rimane in atmosfera solo circa 12 anni, il tempo di residenza in atmosfera dell’anidride carbonica (CO₂) potrebbe arrivare anche a 100 mila anni. Il calcolo di questo tempo è complesso, ma è probabile che, se smettessimo di emettere anidride carbonica oggi, fra qualche centinaio di anni un quarto della CO₂ emessa sarebbe ancora in atmosfera.

Mitigazione complementare all’adattamento

Rispetto all’epoca preindustriale (1880), nella quale l’attività umana non aveva alcun effetto sui cambiamenti climatici, oggi la temperatura globale media sulla terra è aumentata di almeno 1,1 gradi.  Come ci dicono gli scienziati del clima, per raffreddare le temperature del pianeta ci vorranno millenni, poiché i gas serra si dissolvono lentamente in atmosfera. Ora tutti gli sforzi devono concentrarsi sul raggiungere al più presto il picco globale di emissioni, così da frenare il processo di riscaldamento globale. Nessuno conosce con certezza gli effetti catastrofici che ulteriori aumenti di temperatura potrebbero provocare ed è per questo che per mitigazione si intende anche prevenzione e riduzione degli eventuali danni.

Agli stessi obiettivi, ma attraverso forme diverse, mira la strategia di adattamento ai cambiamenti climatici, che per gli scienziati deve essere complementare e non alternativa alla mitigazione. Le misure di adattamento ci rendono meno vulnerabili agli eventi atmosferici estremi, ma includono anche cambiamenti comportamentali individuali, come la riduzione degli sprechi alimentari.

Esempi di misure di adattamento sono la costruzione di sistemi di difesa per proteggere le città dall’innalzamento del livello del mare, oppure le water squares, spazi pubblici multifunzionali che nel caso di forti piogge e inondazioni si trasformano in bacini di raccolta e stoccaggio delle acque piovane.

Ormai abbiamo già moltissime prove concrete su come il cambiamento climatico impatti la vita degli esseri umani e gli ecosistemi che ci ospitano. A partire dai sempre più frequenti eventi meteorologici estremi, come alluvioni, ondate di calore, uragani e incendi: tutti fenomeni che si manifesteranno con maggior intensità.

Sugli obiettivi di mitigazione da raggiungere, il panel intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (chiamato IPCC), che mette a sistema la miglior scienza sul clima disponibile a livello internazionale, è molto chiaro.

Obiettivo 1,5 gradi a rischio

“Senza riduzioni immediate delle emissioni in tutti i settori, limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi è fuori portata”, avvisa l’IPCC nel report dedicato ai progressi e gli impegni presi dai paesi sulla riduzione delle emissioni. Frenare l’aumento di temperatura entro il grado e mezzo sarebbe il solo risultato a cui aspirare, come prevedono gli accordi di Parigi del 2015, il più importante trattato internazionale stipulato tra gli Stati membri della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.

Tuttavia, visti gli scarsi progressi e alcuni mancati impegni da parte dei Paesi – soprattutto durante l’ultima Cop27 (Conferenza sul clima delle Nazioni Unite) di Sharm el-Sheikh – l’obiettivo di non superare 1,5 gradi sembra essere ormai sfumato. Appena dopo gli accordi di Parigi avevamo il 50 per cento di possibilità di raggiungerlo, ma nell’ultimo decennio le emissioni globali annuali di gas serra hanno raggiunto i livelli più alti nella storia umana. Solo riducendo le emissioni del 43% entro il 2030 si può sperare ancora.

Secondo un report del programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (UNEP), con le politiche attuali si prevede un aumento di temperatura di 2,8 gradi entro il 2100, e di 2,4 gradi se i Paesi manterranno tutti gli impegni presi alla Cop26 di Glasgow. Scenari preoccupanti, dato che ogni decimo di grado in più può fare la differenza nel modo e nei tempi in cui ci possiamo adattare agli effetti del cambiamento climatico.

Gli scienziati dell’IPCC hanno provato a definire lo scenario di un mondo con un riscaldamento di 2 gradi. Circa 420 milioni di persone in più sarebbero esposte a temperature record. Entro il 2100 l'innalzamento globale del livello del mare raggiungerebbe i 10 cm in più rispetto a uno scenario di riscaldamento globale a 1,5 gradi e le barriere coralline andrebbero praticamente tutte perse.

Come mitigare

Gli scienziati del clima hanno più volte affermato come ci siano tutti gli strumenti e le tecnologie a disposizione per dimezzare le emissioni entro il 2030. Questo processo richiederà una transizione di grande portata, soprattutto nel settore energetico.  Il 73% delle emissioni globali deriva dall’energia – prodotta dalla combustione di idrocarburi (o combustibili fossili) – necessaria per generare elettricità, calore e alimentare i trasporti.

Per ridurre le emissioni ed eliminare gradualmente i combustibili fossili abbiamo bisogno di energia da fonti rinnovabili – solare, eolica, idroelettrica, geotermica che sfrutta il calore della crosta terrestre, bioenergia che si ricava dalla combustione delle biomasse (scarti di origine vegetale, biologica o animale) –, un'elettrificazione diffusa, una migliore efficienza energetica e, per i trasporti, l'uso di combustibili alternativi come l'idrogeno.

Secondo l’IEA (Agenzia internazionale dell'energia), la crisi energetica globale sta determinando una forte accelerazione nell’installazione di impianti che produrranno energia pulita. Un report dell’agenzia ha calcolato che le energie rinnovabili diventeranno la principale fonte di elettricità entro l'inizio del 2025, superando l’inquinante carbone. Per decarbonizzare il settore energetico ci sarebbe anche il nucleare. A livello globale la quota di elettricità prodotta dalle centrali nucleari si attesta al 10% per cento, tuttavia i costi e i lunghi tempi di implementazione non possono ancora assicurare un veloce sviluppo su vasta scala.

Un altro settore sui cui c’è ampio margine di mitigazione è quello dell’agricoltura e del consumo di suolo, responsabili del 18,4% delle emissioni di gas serra globali. Il 5,8% di queste sono metano che alcuni animali da allevamento – principalmente bovini e ovini – producono durante il processo digestivo. Consumare meno manzo e agnello è un modo efficace per ridurre le emissioni.

L’altra misura di mitigazione riguarda la protezione e il miglioramento dei pozzi di assorbimento di carbonio (carbon sink in inglese), elementi naturali che sottraggono più carbonio dall'atmosfera di quanto ne rilascino. Hanno un ruolo essenziale nel mitigare gli impatti del cambiamento climatico: è stato calcolato che tra il 1958 e il 2008 il 57% dell’anidride carbonica emessa da attività umane è stata assorbita dagli oceani, dalle foreste e dal suolo.

Le foreste del mondo assorbono ogni anno 2,6 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, per questo motivo la deforestazione è una pratica che impatta negativamente sulla quantità di CO₂ che le piante possono catturare. Il suolo terrestre sottrae ogni anno circa un quarto di tutte le emissioni: gran parte di queste sono immagazzinate nelle torbiere (paludi) o nel permafrost (tipo di terreno perennemente ghiacciato). Il consumo di suolo dovuto all’aumento della domanda di produzione alimentare globale rischia di indebolire un prezioso strumento di mitigazione. Infine ci sono gli oceani, che assorbono circa il 25% della CO₂ emessa ogni anno dalle attività umane.

Geoingegneria climatica

Per catturare e assorbire anidride carbonica, tuttavia, non esistono solo soluzioni naturali. L’idea di modificare artificialmente il clima non è di certo nuova e ha sempre attirato un certo interesse da parte dell’industria dei combustibili fossili per una semplice questione di sopravvivenza. Dimostrando di poter risolvere il problema climatico grazie alla tecnologia, il business delle aziende del settore energetico non sarebbe più messo a rischio dalle politiche di mitigazione e dall’avvento delle energie rinnovabili.

In ambito scientifico questa pratica viene chiamata geoingegneria climatica e consiste sia in tecnologie per raffreddare rapidamente la terra, riflettendo l'energia solare nello spazio (modifica della radiazione solare), che in tecniche di rimozione dell'anidride carbonica dall'atmosfera.

Per modificare la radiazione solare – aumentando quindi la capacità del nostro pianeta di riflettere la luce solare, in modo che si riduca la quantità di energia che raggiunge la Terra - una delle proposte più discusse riguarda la possibilità di rilasciare nell’atmosfera grandi quantità di anidride solforosa. Rilasciando questa sostanza chimica si formerebbero particelle aerosol di solfato che sono in grado di riflettere più luce solare nello spazio, e quindi rallentare il riscaldamento terrestre.

Ma come suggeriscono alcuni report, questa operazione non sembra praticabile perché comporterebbe alcuni effetti collaterali: gli aerosol di solfato potrebbero peggiorare gli effetti della siccità, dal momento che la loro azione diminuisce le precipitazioni. Inoltre, la loro capacità riflettente ridurrebbe la quantità di luce solare disponibile per produrre energia solare (fotovoltaico).

C’è più consenso scientifico invece sulle tecnologie di rimozione e stoccaggio di anidride carbonica, soprattutto per quelle industrie ad alto impatto ambientale come cementifici, raffinerie e stabilimenti chimici. Mentre per gli impianti questi metodi sono già diffusi, catturare questo gas serra direttamente dall’atmosfera si è dimostrato essere complesso e costoso. 

Uno dei problemi è che in atmosfera l’anidride carbonica è estremamente diluita: questa bassa concentrazione complica il lavoro dei sistemi di filtraggio che non ne catturano una quantità sufficiente per giustificare i costi della tecnologia. In Islanda è in funzione dal 2021 Orca, il più grande impianto al mondo per cattura e sequestro di CO₂, e al momento i costi del processo sono altissimi. Catturare una tonnellata di CO₂ costa tra i 600 e gli 800 dollari, mentre per far sì che il sistema risulti competitivo si dovrebbe scendere a 100/150 dollari. Oggi ne esistono solo 35 impianti al mondo, ma l’agenzia Internazionale dell’energia prevede lo sviluppo di altri 200 impianti di cattura entro il 2030.

Abbiamo a disposizione le soluzioni, le competenze, e ancora il tempo per frenare l’aumento di temperatura globale del pianeta. Il ritardo con cui implementeremo queste misure di mitigazione, però, influirà sugli impatti e i conseguenti danni che il riscaldamento globale provocherà nel prossimo futuro.

Immagine: Peggy Choucair, Pixabay