Sul Vesuvio il fuoco non arriva mai da solo. Porta con sé il rumore sordo degli alberi che crollano, la resina che ribolle nelle cortecce, il cielo che si vela di una colonna nera visibile a chilometri di distanza. L’8 agosto, vista dal versante di San Sebastiano, la montagna sembrava un vulcano in eruzione: un pennacchio di fumo saliva lento, si apriva sopra il cono e tornava a stendersi sul Golfo di Napoli. L’incendio era partito poche ore prima da Terzigno, e in breve aveva cominciato a divorare la riserva forestale. L’odore acre di fumo scendeva fino alle strade, penetrava nelle case, si attaccava ai vestiti.

Un mese e mezzo dopo, il paesaggio porta ancora i segni delle ferite: tronchi anneriti, ceppaie che fumano sotto terra come carboni accesi, odore di resina bruciata che resiste alla pioggia. Ma porta anche i segni della cura: gli attivisti che durante l’incendio hanno monitorato metro per metro il fronte delle fiamme oggi continuano a organizzarsi, mettendo a frutto quell’esperienza e rafforzando la rete.

Il punto di ritrovo è a San Sebastiano al Vesuvio, al Polo della sostenibilità. Un luogo che è insieme presidio di monitoraggio, laboratorio di cultura ambientale e bottega di comunità. Qui si vendono i prodotti della terra, si organizzano attività con le scuole, laboratori di educazione ecologica, incontri pubblici. Qui si sono raccolte le segnalazioni degli incendi e diffuse informazioni alla cittadinanza.

"Il Polo è diventato un punto di riferimento", spiega Vincenzo Capasso, presidente di Let’s do It! Italy, che è parte attiva della Rete Vesuvio. "Durante l’incendio ci siamo messi subito in contatto con cittadini e istituzioni. Oggi continuiamo a farlo, perché la cura del Vesuvio non può finire quando si spengono le fiamme."

Una rete informale, una memoria viva

La Rete Vesuvio non è un’associazione formalizzata, ma un intreccio di persone e gruppi locali. Guide, biker, attivisti, cittadini che conoscono i sentieri meglio di chiunque altro. Durante l’incendio si sono mossi come un organismo unico, capace di rispondere in tempo reale dove le istituzioni non arrivavano. Le pagine social del Polo sono diventate un centro di comunicazione civica: aggiornamenti, numeri utili, un gruppo WhatsApp che rimbalzava segnalazioni tra volontari, amministratori e cittadini. 

La memoria del 2017, quando un incendio devastò gran parte del parco senza una risposta organizzata, è stata la molla che ha reso questa rete più forte. "Allora fu il caos", ricorda Capasso. "Oggi almeno esiste una rete diffusa che reagisce subito, che si fida dei cittadini e che può fare la differenza nei primi momenti."

Il conto ambientale e le fragilità del parco

L’incendio dell’8 agosto ha divorato quasi 830 ettari di biodiversità, compresa una parte della riserva forestale. La scena oggi è spettrale: tronchi anneriti, pietre arroventate, il silenzio rotto solo dal vento che soffia tra gli alberi morti. Ma poteva andare molto, molto peggio.

Il Parco nazionale del Vesuvio resta fragile: appena due tecnici e tredici dipendenti in tutto, fondi ministeriali bloccati da anni per mancanza di personale tecnico, responsabilità di manutenzione che ricadono su una miriade di proprietari privati, spesso inadempienti. "Il 70% del Vesuvio è di proprietà privata, e il fuoco quest’estate è partito da lì", sottolinea Silvano Somma, dottore forestale e presidente dell’associazione PrimAurora.

La voce di chi conosce i sentieri

PrimAurora conta una quindicina di attivisti. Durante l’incendio di agosto si sono messi a disposizione dei direttori delle operazioni di spegnimento (DOS). "Conoscevamo i sentieri e il parco", racconta Somma. "Dicevamo quali percorsi erano praticabili, dove realizzare le linee tagliafuoco e dove portare le squadre per attaccare efficacemente le fiamme. Collaboravamo con i DOS anche per orientare gli sganci dei canadair." È il contributo silenzioso di chi conosce il territorio metro per metro.

"Il fuoco non muore quando pensi di averlo spento", spiega Somma. "Poteva continuare a bruciare sotto terra, nelle radici, per metri e per giorni. E ci siamo stati anche nella successiva fase di bonifica, monitorando e separando vegetazione bruciata e non bruciata, soffocando le ceppaie che continuavano a covare anche dopo le piogge."

Un video diffuso da PrimAurora lo mostra bene: a un mese dall’incendio, all’interno della zona bruciata, le ceppaie fumano ancora, come carboni accesi in un caminetto abbandonato. "Pensi di averlo spento, e invece il fuoco cammina sotto terra", aggiunge Somma. "Il fuoco nel sottosuolo può procedere per metri, bypassare le linee tagliafuoco e riemergere in un’altra zona. Fortunatamente abbiamo visto piccole braci in zone completamente bruciate, quindi non potevano innescare alcunchè. Ma che succede se invece si trovano al confine avento intorno vegetazione che diventa combustibile?" 

La macchina nazionale

La Protezione Civile nei giorni di agosto ha dichiarato la mobilitazione nazionale, ammettendo che la sola Campania non ce l’avrebbe fatta. Sul Vesuvio sono arrivate colonne da Trieste, Lazio, Toscana, Sicilia, Valle d’Aosta. Un mosaico di forze che ha reso evidente la scala dell’emergenza. Eppure, in mezzo a questa macchina imponente, il ruolo dei cittadini è rimasto essenziale.

"Persone non autorizzate che però hanno fatto in modo che l’incendio non si propagasse", ricorda Capasso. "Vanno ringraziate, così come va dato atto alle istituzioni che si sono fidate e hanno lavorato insieme con noi."

Per Somma il 2017 e il 2025 sono due anni spartiacque. "Il 2017 ci ha fatto capire che è importante stare insieme. Prima eravamo atomi individuali, ma dopo il grande incendio di otto anni fa abbiamo capito che collaborare fa la differenza. Il 2025 ci ha fatto capire che dobbiamo fare ancora di più per il territorio. Gli incendi non si possono impedire del tutto, ma si può lavorare affinché, se nascono, vengano spenti il prima possibile. Se nel 2032 dovesse esserci un altro incendio, dobbiamo essere pronti a far sì che gli ettari bruciati passino da 830 a 200."

"Abbiamo visto quanto il territorio sia vulnerabile e quanto sia vitale la conoscenza locale", aggiunge Capasso. "Le istituzioni devono investire su questo patrimonio di competenze civiche, altrimenti resteremo sempre un passo indietro."

Da dove ripartire

Il Vesuvio è una montagna fragile, un parco circondato da oltre seicentomila abitanti, con una percentuale altissima di proprietà private e una burocrazia che fatica a garantire la manutenzione. Rafforzare l’ente parco con più mezzi e più personale, e strutturare il rapporto con le reti civiche non è più una scelta opzionale: è l’unico modo per non trovarsi di nuovo impreparati.

Ed è al Polo della Sostenibilità che questa visione prende forma: educazione ambientale con ragazzi, laboratori, agricoltura, prodotti della terra. Non solo memoria del disastro, ma semi di un futuro diverso. Oggi, a settimane dall’incendio, nel cuore del parco ci sono ancora ceppaie fumanti, tronchi anneriti che resistono alle piogge, segni di una ferita che brucia sotto pelle. Ma ci sono anche i volti di chi, senza divisa né riconoscimento formale, ha scelto di salire in quota e difendere la montagna. Il Vesuvio porta ancora le sue ferite, ma ora non è solo.

In copertina: immagine © Rete Vesuvio