Lo stop all’importazione di combustibili fossili dalla Russia, approvato dall’Unione Europea a inizio dicembre, non ha accontentato tutti gli stati membri, specialmente Ungheria e Slovacchia, che hanno da subito annunciato azioni legali da presentare alla Corte europea di giustizia. Sono mesi che i rispettivi premier, Viktor Orbán e Robert Fico, politicamente vicini a Vladimir Putin, contestano la misura prevista dal piano REPowerEU. Senza terminal portuali in grado di importare gas liquefatto, infatti, i due leader di estrema destra appaiono riluttanti alla diversificazione energetica e a un eventuale allontanamento da Mosca.

In base all'accordo trovato tra Parlamento e Consiglio europei, ai paesi membri sarà vietato importare gas naturale liquefatto (GNL) dalla fine del 2026, mentre a partire dal 30 settembre 2027 scatterà il ban per i gasdotti. Con una certa sorpresa i diplomatici e parlamentari hanno inoltre concordato che la Commissione UE dovrà lavorare a una proposta che vieti anche tutte le importazioni di petrolio russo a partire dal 2027.

Sono previste solide misure di salvaguardia contro l'elusione e per le aziende che opereranno scambi commerciali illegali, gli stati si impegnano a imporre una di queste tre sanzioni: una multa forfettaria di 40 milioni di euro, il 3,5% del fatturato annuo dell'azienda o il 300% del valore della transazione illecita.

La dura opposizione di Ungheria e Slovacchia

Mentre il Cremlino ha criticato la norma affermando che condannerebbe l'Europa a diventare meno competitiva e a prezzi più elevati per i consumatori, le reazioni più dure sono giunte dai rappresentanti di Ungheria e Slovacchia, due economie fortemente dipendenti dal gas e dal petrolio russo, largamente condizionate dall’influenza politica di Mosca e ostacolate da una geografia ostile all’importazione di GNL, poiché infatti i due paesi dell’Europa centrale non hanno sbocchi sul mare.

Riconoscendo le potenziali difficoltà di questi paesi a diversificare gli approvvigionamenti, la Commissione ha ricordato che il divieto potrebbe essere leggermente posticipato a novembre 2027 qualora gli stati membri avessero difficoltà a riempire gli stoccaggi di gas nei prossimi due anni.

"Accettare e attuare questa legge da Bruxelles è impossibile per l'Ungheria", ha dichiarato il ministro degli esteri Peter Szijjarto in un briefing televisivo. “La chiamano diversificazione, ma in realtà interrompe una delle nostre rotte petrolifere vitali.” Secondo Szijjarto la misura è stata ingiustamente mascherata da politica commerciale per eludere il voto unanime, richiesto invece quando si vota in materia di sanzioni, e minerebbe la sicurezza energetica di Budapest.

"Non capisco davvero i rappresentanti di Ungheria e Slovacchia. Penso che dovremmo unirci, spalla a spalla, contro Putin per aiutare i nostri amici in Ucraina", ha commentato durante un’intervista a Euronews il commissario per l'energia danese Dan Jørgensen, sottolineando che la Commissione è pronta ad aiutare tutti gli stati membri a rischio approvvigionamento energetico.

Le nuove rotte per diversificare la supply chain di Ungheria e Slovenia

Secondo un’analisi dell’esperto energetico Gavin Maguire pubblicata su Reuters, anche grandi consumatori di gas nell'Europa centrale, tra cui Croazia, Austria e Romania dovranno fare i conti con i divieti, date le distanze dai terminali di importazione di GNL e i limitati collegamenti con gasdotti di altri esportatori.

Tuttavia il nuovo gasdotto rumeno Tuzla-Podisior, completato a luglio, potrebbe rappresentare un’infrastruttura alternativa per paesi come Ungheria e Slovacchia. La pipeline lunga 308 km aumenterà la capacità di trasporto di gas naturale dal Mar Nero a Budapest dagli attuali 2,63 miliardi di metri cubi all'anno a 5,32 miliardi entro il 2029.

Per quanto riguarda il petrolio l'oleodotto croato Janaf, noto anche come Adria, è in grado di raggiungere raffinerie in Croazia, Ungheria, Serbia, Slovacchia e Slovenia. Tuttavia, sulla reale fornitura a Budapest è nata una disputa: da una parte il gruppo petrolifero ungherese MOL, che controlla alcune raffinerie in Ungheria e Slovacchia, sostiene che l'oleodotto Adria non sia ancora in grado di soddisfare la domanda di greggio della compagnia, dall’altra l’azienda Janaf ha rigettato le accuse affermando di essere “tecnicamente e organizzativamente pronta”.

Tuttavia, MOL realizza notevoli profitti sul più economico greggio russo Ural e non sembra intenzionato a rinunciare alle 14,2 milioni di tonnellate di greggio trasportate tramite l’oleodotto di Druzhba.

La nuova geografia del gas europeo

Dall'inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, la quota di gas russo nell’import europeo è crollata dal 45% al 13% nella prima metà del 2025. Tuttavia, lo scorso anno sono comunque arrivati nei sistemi energetici dell’UE circa 35 miliardi di metri cubi di gas proveniente da Mosca, per un valore stimato di 10 miliardi di euro: risorse con cui il Cremlino continua a finanziare la propria macchina bellica.

Nell’accordo il Consiglio ha fatto approvare la sua controversa lista di paesi "sicuri" da cui gli stati possono ancora importare gas senza controlli rigorosi su eventuali elusioni. La lista include Qatar, Algeria e Nigeria, fatto di cui si sono lamentati alcuni diplomatici, ma rimane la condizione che questi paesi possano essere esclusi dalla lista se violano le norme.

Nel 2024 la Norvegia si è confermata la principale fornitrice di gas dell’UE, coprendo oltre il 33% delle importazioni complessive. L’aumento più significativo è però quello del GNL statunitense, passato da 18 a 45 miliardi di metri cubi tra il 2021 e il 2024.

 

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