“Perché non stiamo prendendo sul serio l’emergenza, con il danno fisico e le conseguenze che può provocare? Oh, ci sono tanti motivi, resistenze, incongruenze, colli di bottiglia tecnologici. I tempi per la disintossicazione prescritti dagli spacciatori. Le falangi del negazionismo che si riformano come batteri resi più forti dall’abuso di antibiotici. Ma ci racconteremmo una bugia politica se non includessimo anche noi stessi tra gli ostacoli a una transizione veloce e ordinata, per l’umana, comprensibile paura di lasciar andare il passato, quella che si innesca quando finiscono una famiglia, un amore, o un modo di stare al mondo che sembrava immutabile. Quell’incapacità di avere un rapporto sano col tempo ci fa osservare le fiamme che avvolgono l’aereo come qualcosa che non ci riguarda. Trattiamo il clima come qualcosa di estraneo. Estremo, magari, ma estraneo.”
Possiamo leggere qui il senso della ricerca personale e collettiva che il giornalista climatico Ferdinando Cotugno ha raccontato nel libro Il tempo di ritorno. Una storia di clima e di fantasmi (Guanda, 2025).
Ferdinando Cotugno è uno dei migliori giornalisti ambientali in Italia. Firma le sue cronache e le sue analisi su Domani, e oltre a collaborare con Materia Rinnovabile scrive anche per Vanity Fair, Esquire, Rivista Studio, Lucy. La sua newsletter Areale è un punto di riferimento per chiunque voglia occuparsi di ecologia e clima, ed è anche un podcast che ogni settimana si prende cura del lavoro di colleghe e colleghi offrendo sui cambiamenti climatici un punto di vista poliedrico e funzionale a intercettare il bandolo di questa complicata matassa che è la transizione ecologica e la lotta del genere umano per poter sopravvivere sul Pianeta.
L’uscita del suo libro ha spiazzato tutti. Non è un saggio, non è un romanzo, non un memoir, non un reportage, ma tutto questo insieme. L’unica cosa che sicuramente non è: una scorciatoia narrativa per catturare il lettore. Non usa l’autobiografia per infilare concetti di climatologia. Non ammicca al lettore generalista per far passare messaggi, per indottrinare. Questo è soprattutto un libro di domande, che scendono in verticale anche alle nostre origini e aprono altre riflessioni.
Il tempo di ritorno, in statistica, è la probabilità che un evento estremo si verifichi. Che sia un’alluvione, un terremoto, una siccità. Ma può essere la fine di un amore o un ritorno a casa. È un tempo di intermezzo, che deve essere vissuto appieno, per studiare, prepararsi, farsi trovare pronti. Così fa Ferdinando, che da Milano, dove vive, decide di percorrere la strada verso le proprie radici che lo portano a Bagnoli, dove i suoi avi hanno insediato le fondazioni della famiglia, e qui ricuce la tela della vita di suo nonno, e di suo padre, in un momento topico: mentre tutti i ricordi devono essere inscatolati per un trasloco dall’altra parte del mondo, in Brasile.
È estate, fa caldo, il mare accompagna ogni pagina, che sia quello in cui tuffarsi, o quello che bagna un litorale non più industriale, non ancora libero dalle carcasse della paleontologia produttiva, non ancora balneabile, spesso oleoso per gli scarichi.
Questa è una storia familiare, e il giornalista legge a ritroso le scelte della linea maschile del suo albero genealogico trovandone tracce fossili. Suo nonno lavorava nell’acciaieria Italsider, poi ILVA, poi niente più. Il carbone era la sua materia prima. Suo padre, che non è riuscito a “ereditare” il posto fisso nella grande fabbrica entrata in crisi, diventa imprenditore, macina chilometri, il petrolio è la sua matrice. Ferdinando cammina, fisicamente, sulle macerie di un quartiere, che poi sono quelle della sua famiglia, ritrova le tessere del proprio puzzle e diventano generazionali.
“Vorrei chiederlo a mio padre e mia madre: quanto vi ha reso tristi la servitù così radicale alle leggi del gasolio, che erano le leggi del capitalismo: più veloce, più grande, più intenso, poco sonno, cortisolo e sigarette, impazzire e investire.”
E noi? Dove eravamo? Che scelte facevamo? Che scelte facciamo? C’è un collegamento tra il nostro pronunciare un sì in questa parte del mondo ora e la piattaforma Larsen B che si stacca dalla penisola di ghiaccio antartica e si disintegra nell’oceano. C’è una relazione tra la parte ovest e quella est di Napoli, zone di sacrificio dell’industria e della pianificazione produttiva del dopoguerra. Non siamo noi, oggi, nel pieno di una guerra? Anzi, più guerre, per citare Papa Francesco: la terza guerra mondiale a pezzetti.
Il pregio di questo libro è anche la scrittura sapiente, piacevole, che sa quando sferrarti un pugno e quando una carezza. La immagini olografa, la scrittura, da parte dell’autore. Sembra di vederlo, accucciato sugli scogli di Bagnoli a prendere appunti, per una prima volta avrà cambiato le abitudini di cronista e avrà segnato i suoi moti interni prima di quelli del mondo circostante.
Il tempo di ritorno è però un libro che guarda avanti, al futuro segnato dalle scadenze climatiche e che possiamo già osservare. “Chiacchierando a colazione con tua figlia toccherai la fine del prossimo secolo, facendo dei semplici calcoli: che anno vedrà tua figlia? E che anno vedrà sua figlia? Un modo per dire che il futuro esiste, e ci riguarda, anche quello anteriore, che nemmeno gli accordi sul clima osano sfiorare.”
Se Cotugno scava verso il passato come atto di ricomposizione della sua storia personale e di quella fossile del mondo, è molto efficace anche quando guarda avanti, e dipinge un rivolo di speranza che passa attraverso i legami personali, come l’addormentarsi mano nella mano con la sua amica di Napoli est, che sceglie ogni giorno di restare, non allontanarsi mai dalla mappa della periferia per costruire lì il suo mondo migliore. Non c’è una sola risposta al viaggio, ma tante.
Le nostre radici ci possono insegnare ad andare lontano con i sogni, le aspettative, le ambizioni di fare rete e transitare verso un Pianeta che possa essere rigoglioso di futuro. È questa la prospettiva del libro, un andare avanti come comunità di esseri umani, perdonandoci le assenze, le fughe e vivendo in piena consapevolezza il nostro tempo di ritorno.
In copertina: immagine Envato