L’indebitamento legato alla crisi climatica spaventa tutti, ma per alcuni paesi la questione è piuttosto urgente. Non solo per i piccoli stati insulari minacciati dall’innalzamento del livello del mare, ma anche per quei paesi in via di sviluppo che rischiano di annegare in una marea di debiti.

L’architettura fiscale globale non è pronta a reggere gli stress climatici del 21° secolo. Servono quindi nuovi strumenti finanziari per contrastare l'impatto economico di alluvioni, incendi e disastri naturali.

Rafforzare la resilienza finanziaria dei paesi asiatici più vulnerabili è uno degli obiettivi dell’Asian Development Bank − banca multilaterale di sviluppo con sede a Mandaluyong, nelle Filippine − che a Milano, dal 4 al 7 maggio, ha organizzato il suo 58° meeting annuale.

La crisi climatica fa crescere il debito del Pakistan

In Pakistan la crisi economica è iniziata a peggiorare in modo preoccupante dal 2022, dopo varie agitazioni politiche e una devastante alluvione che uccise 1.793 persone. L’anno successivo lo stato fu così vicino alla bancarotta che il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale tramite programmi di salvataggio e prestiti erogarono a Islamabad decine di miliardi di dollari.

L’ultimo piano da 20 miliardi di dollari, approvato dalla Banca mondiale a gennaio, prevede investimenti in infrastrutture energetiche green e nella resilienza climatica, con l’obiettivo di stimolare la crescita del settore privato e aumentare la capacità fiscale del pubblico.

“L’alluvione del 2022 ha causato 33 miliardi di dollari di perdite, colpendo circa 33 milioni di cittadini”, ha detto la ministra dell’ambiente pakistana Aisha Humera Moriani, durante una conferenza sulla resilienza fiscale. “Il debito del paese è aumentato e ci servono almeno 210 miliardi per implementare il nostro piano di adattamento climatico. Senza strumenti assicurativi e di de-risking che possono attrarre investimenti, non riusciremo ad affrontare questa doppia crisi: climatica ed economica.”

Secondo Moriani la burocrazia è troppo macchinosa nell’accedere ai fondi per il clima e servirebbero più prestiti concessionali, ovvero finanziamenti offerti a tassi di interesse agevolati e per periodi di grazia o rimborso più lunghi.

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Il “fai dai te” delle Isole Marshall

Se serve denaro per ricostruire paesi colpiti da eventi alluvionali estremi − i fondi che tecnicamente vengono chiamati Loss and Damage − lo stesso vale per mitigare fenomeni più lenti ma inesorabili, come l'innalzamento del livello del mare. Il principale fattore di rischio che corrono le Isole Marshall, piccolo paese insulare che secondo le previsioni verrà sommerso dall’oceano Pacifico entro la fine del secolo.

Nel 2020 il governo ha pubblicato un piano nazionale di adattamento (NAP) tanto ambizioso quanto costoso. “La finanza climatica internazionale è chiaramente insufficiente”, ha dichiarato senza giri di parole David Paul, ministro delle finanze delle Isole Marshall. “Non staremo ad aspettare aiuti esterni mentre finiamo sott’acqua. Per finanziare il nostro NAP da 9 miliardi di dollari cercheremo di massimizzare le nostre risorse, in particolare il settore ittico”.

Per le Isole Marshall l’accesso ai diritti di pesca e la sovranità delle risorse oceaniche sono fondamentali per lo sviluppo economico.

Servono strumenti fiscali innovativi

La Banca di sviluppo asiatica (ADB) sta lavorando da tempo a diverse soluzioni per ampliare la capacità fiscale dei paesi più vulnerabili. Il Bangladesh, per esempio, ha aderito al programma Climate Adaptation Investment Planning ideato dall’ADB, che permette di colmare il gap finanziario per l’implementazione dei piani nazionali di adattamento.

“Per alcuni progetti importanti, che però non generano rendimenti, cerchiamo di trovare risorse a fondo perduto”, spiega a Materia Rinnovabile Arghya Sinha Roy, direttore dell’ADB Climate Change and Sustainable Development Department. “Quando i progetti riescono ad attrarre investitori proviamo con finanziamenti più agevolati: è una combinazione di soluzioni che includono supporto tecnico, prestiti agevolati e consulenza.”

Secondo Mads Dlaum Libergren, consulente del Ministero delle finanze danese, per raggiungere gli obiettivi climatici sono necessarie nuove politiche fiscali e strumenti di modellizzazione economica. “I ministeri delle finanze di molti paesi non hanno ancora le competenze analitiche per valutare i rischi fiscali legati al clima. Attualmente si affidano spesso a think tank esterni per report e analisi”, ha sottolineato durante una conferenza sulla resilienza fiscale.

Tra gli strumenti fiscali più innovativi ci sono le Climate Resilience Debt Clauses, introdotte recentemente dalla World Bank e da altre istituzioni finanziarie internazionali. Si tratta di clausole nei contratti di debito che offrono flessibilità ai paesi debitori colpiti da disastri climatici, tra cui uragani, inondazioni o siccità gravi.

Tramite il Resilience and Sustainability Facility (RSF) anche il Fondo monetario internazionale fornisce ai paesi a basso reddito e ai paesi vulnerabili a medio reddito finanziamenti accessibili e a lungo termine per affrontare i rischi fiscali legati al cambiamento climatico.

Anche il settore privato svolge un ruolo essenziale per rendere più resiliente il sistema fiscale. Per esempio le assicurazioni offrono un salvavita utile per i paesi in balia dei sempre più frequenti eventi climatici estremi. Tuttavia, sia per mancanza di dati nella valutazione del rischio, sia per prodotti ancora poco sviluppati o troppo costosi, le assicurazioni contro le catastrofi non vanno ancora di moda.

“Le perdite globali nel 2023 ammontano a 320 miliardi di dollari, ma solo il 43% erano assicurate”, sottolinea Andrea Sironi, presidente di Generali. “La capacità del settore a coprire tutte queste perdite è comunque limitata, servono prodotti innovativi, semplici da comunicare e da implementare, soprattutto per le piccole medie imprese.”

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In copertina: inondazione a Rawa Jati, Jakarta, Indonesia, foto di Iqro Rinaldi, Unsplash