Si è riacceso il dibattito sui “rifiuti speciali” in Sicilia, raggiungendo un punto di forte attrito nelle sale della IV Commissione dell’ARS, l’Assemblea regionale siciliana. Il cuore della polemica è l'aggiornamento del Piano regionale di gestione dei rifiuti speciali (PGRS), finito nel mirino di Legambiente.

L'associazione ambientalista ha chiesto urgentemente che la regione siciliana si munisca di dati aggiornati, norme più efficaci e, soprattutto, una pianificazione che sia davvero responsabile. Ma la vera scintilla del conflitto risiede nella strategia impiantistica regionale, ostinatamente basata sugli inceneritori.

Su questa impostazione, Legambiente solleva tre perplessità. La prima riguarda la natura stessa dei rifiuti da incenerire, principalmente CAA (combustibile solido secondario), di fatto rifiuti speciali, sottraendo così alla regione la piena competenza della loro gestione. La seconda i limiti legislativi, poiché lo stesso PGRS ammette che la gestione di tali scarti può essere solo “indirizzata secondo princìpi generali” e non disciplinata in modo prescrittivo dall’ente pubblico. Infine, l'accusa più pesante: pianificare l’uso di questi rifiuti “speciali” attraverso impianti pubblici finanziati con fondi erariali configurerebbe una concorrenza sleale nei confronti degli operatori privati e, non da meno, un uso distorto delle risorse pubbliche.

Il CSS che fa saltare il banco: monopolio pubblico sui rifiuti a rischio legale

Giampiero Trizzino, esperto di diritto dell’ambiente, ha sollevato dubbi fondamentali sulla legittimità della strategia impiantistica regionale. “Nel momento in cui avviene la trasformazione di un rifiuto in CSS per gli inceneritori, viene meno la cosiddetta privativa di stato”, ci spiega. L’avvocato ha chiarito che l'ente pubblico perderebbe il monopolio sulla gestione, poiché il CSS, una volta diventato un prodotto sul mercato, può essere “libero di poterlo vendere al migliore offerente”.

Secondo Trizzino, se l'azienda può vendere il CSS (combustibile solido secondario) a cementifici o altri impianti energivori a un prezzo inferiore (in media dai trenta ai quaranta euro a tonnellata) rispetto al prezzo medio degli inceneritori (dai cento ai duecento euro a tonnellata), “non è logico che la regione possa obbligare la vendita all'inceneritore. Il punto cruciale di questa criticità legale risiede nel fatto che la regione non può utilizzare soldi pubblici per gestire qualcosa della quale non è più titolare in quanto monopolista”.

Legambiente, nel corso dell'audizione, ha stigmatizzato l'insufficienza e l'inaffidabilità dei dati utilizzati per le previsioni del PGRS, evidenziando anche l'assenza di un piano per la bonifica delle aree inquinate.

Inceneritori obsoleti e 100.000 tonnellate di ceneri pericolose

“Si stanno spendendo 800 milioni di euro per realizzare degli impianti che rimarranno non dico fermi, ma utilizzati pochissimo”, sottolinea Trizzino. Una previsione basata sul fatto che i dati di calcolo utilizzati risalgono al 2022 e saranno già vecchi al momento della probabile entrata in funzione degli inceneritori (tra cinque o sei anni), e sulla tendenza che vede una progressiva diminuzione dei rifiuti urbani prodotti (da 3 milioni di tonnellate vent’anni fa a 2,2 milioni di tonnellate oggi).

Un altro tema, comune a Legambiente e Trizzino, riguarda la gestione dei residui dell'incenerimento. L’associazione ambientalista ha specificato che i due impianti in progetto genereranno oltre 100.000 tonnellate annue di ceneri, rifiuti speciali e spesso pericolosi, la cui destinazione non è ancora indicata nel piano.

Trizzino ha spiegato che le ceneri, essendo una produzione industriale, sono classificate come rifiuti speciali e spesso pericolosi, e le discariche esistenti non potrebbero ospitarle senza le tecnologie adeguate.

Calcinacci e demolizioni: la Sicilia ne genera 9,4 milioni di tonnellate

Secondo il rapporto sui rifiuti speciali 2025 dell’ISPRA, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, a livello nazionale la produzione nel 2023 ha raggiunto quasi 164,5 milioni di tonnellate, con la macroarea meridionale che contribuisce per il 25,7% del totale.

In questo contesto, la Sicilia si distingue per aver generato circa 9,4 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, rappresentando il 22,3% della produzione dell'intera macroarea Sud. La stragrande maggioranza di questo volume (96,6%) è costituita da rifiuti non pericolosi, prevalentemente derivanti dalle operazioni di costruzione e demolizione, che costituiscono il 63,4% della produzione regionale totale, seguiti dai rifiuti prodotti dagli impianti di trattamento (26%).

L'economia italiana nel 2023, pur registrando una crescita contenuta del prodotto interno lordo (+0,7%), ha generato un’impressionante montagna di scarti: la produzione complessiva di rifiuti speciali ha toccato quota 164,5 milioni di tonnellate, segnando un aumento dell'1,9% rispetto al 2022. I dati del rapporto ISPRA evidenziano una persistente difficoltà nel dissociare la crescita economica dagli impatti ambientali, con conseguenze significative sulla gestione e la distribuzione territoriale dei rifiuti.

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