La trasformazione circolare delle PMI lombarde e piemontesi procede, ma resta una transizione “ibrida”, caratterizzata da avanzamenti selettivi e importanti lacune strutturali. È quanto emerge dalla nuova ricerca dell’Università LIUC su 50 imprese, presentata il 18 novembre 2025 e sostenuta da Intesa Sanpaolo nell’ambito dell’accordo quadro con l’ateneo.
L’indagine evidenzia come il 63% delle aziende abbia già introdotto risorse operative legate alla sostenibilità, soprattutto personale dedicato e tecnologie per l’economia circolare. Tuttavia, il 16% dichiara di non disporre di alcuna risorsa specifica, confermando l’eterogeneità del tessuto produttivo. La fase della catena del valore più presidiata è la produzione, con un coinvolgimento del 63% del campione, seguita da approvvigionamento (37%) e progettazione (21%). Restano invece marginali le attività di uso, post-vendita e recupero, ancora lontane da una piena integrazione nei modelli circolari.
A pesare sono soprattutto le carenze negli strumenti di analisi ambientale: software di Life Cycle Assessment, sistemi di eco-design e strumenti digitali di tracciabilità, considerati essenziali per valutare gli impatti e guidare scelte di progettazione e investimento.
Competenze frammentate e mancanza di una regia interna
Il nodo più critico riguarda le competenze. Sebbene molte PMI abbiano sviluppato capacità interne nella compliance normativa e nell’innovazione di prodotto, quasi una su quattro non possiede skill chiave per la circolarità. Mancano soprattutto competenze in gestione della filiera, simbiosi industriale, gestione ambientale e progettazione ecocompatibile.
La ricerca rileva anche difficoltà nel definire ruoli di governance dedicati alla sostenibilità, ostacolo che frammenta iniziative altrimenti strategiche. La mancanza di una regia interna limita infatti l’integrazione tra le diverse funzioni aziendali e riduce l’efficacia degli investimenti in innovazione circolare.
Secondo Mario Fontanella Pisa, curatore dello studio, le PMI si trovano in una “transizione ibrida”: gli elementi di circolarità ci sono, ma in modo parziale e senza una visione unitaria. Resta prioritario il rafforzamento della dimensione digitale e analitica, percepita dalle imprese come area di investimento urgente.
La collaborazione come leva decisiva dell’evoluzione circolare
Per colmare le competenze interne, il 63% delle aziende si affida già a consulenti privati. Solo l’11% collabora con partner tecnologici e appena il 5% con università o cluster d’impresa, evidenziando un potenziale ancora inespresso nel rapporto con il mondo della ricerca. Il supporto ricevuto ottiene un giudizio medio-alto, con un voto di 4 su 5 nel 36% dei casi, ma resta disomogeneo.
Partner tecnologici e consulenti sono considerati gli attori più strategici, mentre università e centri di ricerca acquisiscono un valore crescente, soprattutto per la loro capacità di trasferire conoscenze a lungo termine. Il ruolo degli enti finanziari, pur percepito come secondario, è cruciale per abilitare investimenti in tecnologie e competenze.
Secondo Elisa Zambito Marsala di Intesa Sanpaolo, la ricerca contribuisce a rafforzare un ecosistema collaborativo tra imprese, università e istituzioni, indispensabile per guidare la futura leadership industriale italiana verso modelli sostenibili e circolari. In questo scenario, la circolarità non può essere delegata: la sfida è trasformare la collaborazione in apprendimento, affinché le competenze acquisite diventino patrimonio stabile delle PMI e motore di un cambiamento strutturale.
In copertina: immagine Envato
