A metà maggio si è tenuto, presso la Fiera di Bolzano, BEAM - Hospitality Gamechanger Summit, evento esperienziale dedicato all’innovazione e alla sostenibilità nel settore dell'hospitality. Un formato innovativo e interdisciplinare, pensato per scardinare le convenzioni e mettere in dialogo esperienze e idee provenienti dai settori più disparati dell’hospitality: dall’agricoltura all’hôtellerie, passando per eco-turismo e outdoor.

Oggi l’ospitalità rappresenta il 10% del PIL globale e genera l’8% delle emissioni complessive di gas serra. Con una previsione di 196 milioni di nuovi posti di lavoro nel settore turistico nei prossimi anni, diventa quindi prioritario rendere questo ambito sempre più attrattivo per le generazioni di oggi e di domani, disaccoppiandolo dagli impatti ambientali. Fermando soprattutto un fenomeno tossico, quello dell’overtourism, ovvero il sovraffollamento nei luoghi più iconici da visitare, da Machu Picchu alle Dolomiti, da Venezia a New York.

Materia Rinnovabile ha avuto il piacere di confrontarsi su questo tema con una delle keynote speaker di BEAM, Leslie Bruce, CEO di Banff and Lake Louise Tourism, una delle più iconiche destinazioni canadesi, per capire come cercare l’equilibrio tra accesso alla natura, sviluppo e contrasto dell’overtourism.

“Banff National Park è il primo parco nazionale creato in Canada, emblema dell'identità canadese”, ci spiega. “Dunque, è un luogo fondamentale per creare un percorso di conservazione in chiave di sostenibilità, contrastando l’overtourism. Abbiano così creato una collaborazione strutturata tra industria turistica, Parks Canada [l’ente che gestisce il Parco Nazionale, nda] e con la municipalità della città di Banff, per una pianificazione integrata del turismo, dalla conservazione naturale alla conservazione culturale con le popolazioni indigene e, naturalmente, rispondendo ai bisogni della comunità e al senso di benessere delle persone che vivono e lavorano a Banff ogni giorno, tutto l’anno.

Da dove avete iniziato?

Essere dentro un parco è un dono: innanzitutto non costruiremo più nuovi edifici. Questo ci impone di riparare, ristrutturare o rendere più efficiente dal punto di vista energetico il parco immobiliare esistente. Inoltre, chi vive a Banff deve avere un lavoro in città o nel Parco Nazionale, il che significa che non cresceremo come popolazione.

Sono restrizioni importanti.

Però è un vero e proprio investimento per garantire l'esistenza di questo luogo per le generazioni a venire.

Avete puntato sui valori degli abitanti come driver, in opposizione al mero profitto.

Lavorando a una visione più rigenerativa e sostenibile per il turismo di Banff, abbiamo identificato attraverso incontri partecipati quali sono i valori fondamentali della nostra comunità e li abbiamo usati per attrarre ospiti che condividono gli stessi valori.

Quali sono i valori della comunità di Banff?

Il valore numero uno è la natura. Siamo tutti convinti di essere a Banff per godere e apprezzare la natura ed è nostro compito proteggerla. Il secondo punto è l'ospitalità. Siamo nati come comunità per accogliere gli ospiti del Parco Nazionale e quindi vogliamo essere sia gentili padroni di casa che ospiti molto riconoscenti, perché siamo tutti ospiti del Parco Nazionale. E infine la curiosità. Pensiamo che le persone vengano per vivere, per imparare. Per sperimentare cose nuove, per connettersi con la natura.

I trasporti sono la chiave per l’accessibilità ma allo stesso tempo con il sovraffollamento diventano un problema.

Abbiamo cambiato il modo in cui le persone accedono ai luoghi più popolari come Lake Louise e Moraine Lake: l'unico modo per arrivarci è il trasporto pubblico. Lo scorso anno abbiamo spostato più di due milioni di persone su questo sistema, lavorando con la città di Banff e Parks Canada per cambiare il modo in cui le persone si muovono e pianificano le proprie vacanze o le gite giornaliere.

Usate un sistema di quote per controllare gli accessi al Parco?

Se ne è discusso per oltre un decennio e abbiamo scelto di non usare quote. Detto questo, c'è nei fatti un “sistema naturale” di quote, perché sui bus ci sono solo 48 posti a sedere e abbiamo solo un certo numero di autobus. In questo modo ottimizziamo l’esperienza. Però, in quanto parco nazionale, ogni canadese ha il diritto di visitarlo e accedervi.

Quali altre iniziative avete intrapreso in termini di sostenibilità ambientale?

Abbiamo molti incentivi sia per i residenti che per le imprese: per l'azzeramento dei rifiuti, l'eliminazione degli articoli monouso, nonché l'utilizzo di energie rinnovabili, come i pannelli solari. Abbiamo fornito anche un credito per l'acquisto di biciclette con pneumatici chiodati in modo da poter usare le biciclette in inverno al posto delle auto.

Avete una popolazione di orsi importante, inclusi Grizzly. Come gestite il contatto uomo-animale?

Gli animali, come gli orsi grizzly, orsi neri, alci, cervi, sono una parte importante del motivo per cui le persone vogliono venire nel parco e francamente sono parte della nostra identità nazionale e quindi è importante che rimangano. Ci sono ONG che hanno creato corridoi che collegano tutto il territorio, da Yellowstone allo Yukon. Credo che una delle cose più importanti sia l'espressione "un orso nutrito è un orso morto". Si tratta di insegnare alle persone ad assumersi la responsabilità della propria impronta, a non lasciare cibo e rifiuti, perché hanno un effetto enormemente negativo sulla fauna selvatica. Ci impegniamo molto per educare gli ospiti quando entrano nel parco, dalla segnaletica alla formazione nel nostro centro servizi per i visitatori, cercando di aiutarli a capire che dobbiamo dare spazio alla fauna selvatica. Abbiamo bidoni dell'immondizia incredibilmente innovativi ed è davvero divertente osservare gli ospiti che, appena arrivati, cercano di capire come aprirli.

Quali sfide rimangono aperte?

Affrontare l’adattamento al cambiamento climatico, che consideriamo un principio fondamentale della nostra visione del futuro: dobbiamo trovare il modo di essere nature positive e clima-resilienti. I nostri vicini del Parco Nazionale di Jasper hanno avuto un incendio devastante la scorsa estate. La nostra comunità, dunque, ha fatto un enorme lavoro per essere "fire smart" o "wildfire smart". E questo significa bonificare le aree in modo da creare delle fasce tagliafuoco e garantire che le persone che vivono nella comunità siano protette. Infine, tenere sempre sotto controllo l’overtourism: il rischio di nuovi affollamenti è sempre dietro l’angolo e serve monitorare questo aspetto costantemente.

 

In copertina: la Lake Agnes Tea House fotografata da Jay R. McDonald © ROAM Creative