Questo articolo fa parte del canale tematico The Social and Governance Observer, in collaborazione con Trentino Sviluppo. Iscriviti alla newsletter su LinkedIn

Quando si parla di sistemi di misurazione e processi di rendicontazione ESG, il dibattito pubblico e la pratica aziendale sembrano ruotare quasi sempre attorno alla dimensione ambientale, mentre i temi sociali e di governance, pur essendo decisivi, spesso faticano a trovare spazio. Raggiungere questo equilibrio è invece essenziale, se si vuole rendere la sostenibilità davvero completa e allineata ai bisogni delle comunità e dei territori.

Creare e attribuire alle imprese operanti nel sistema economico trentino un marchio territoriale indice di sostenibilità ambientale, sociale e di governance è l’obiettivo del progetto Framework ESG di Trentino Sviluppo, agenzia della provincia autonoma di Trento che favorisce l’innovazione, la crescita dell’imprenditorialità e la collaborazione tra aziende, startup e professionisti.

In questo contesto si inserisce la collaborazione con il Dipartimento di economia e management dell’Università di Trento per l’attivazione di cinque borse di studio e contratti di ricerca sui temi della sostenibilità, come ci spiega Ericka Costa, professoressa ordinaria di economia aziendale e membro del gruppo di lavoro costituito all’interno del Dipartimento di economia e management, che abbiamo intervistato.

 

Costa, quali sono le aree di approfondimento su cui si articola questo progetto di ricerca e quale fil rouge le lega?

In generale l’obiettivo è quello di dare un supporto scientifico e analizzare le dinamiche ESG, sviluppando framework teorici e modelli di misurazione specifici che valorizzino le peculiarità delle imprese e del territorio in cui operano. Il primo ambito di approfondimento riguarda il reporting ESG nella pubblica amministrazione, al fine di elaborare criteri e parametri di valutazione di efficacia degli indicatori sociali e di governance specifici per il contesto trentino. Il secondo si concentra sulle metriche quali-quantitative per la misurazione e rendicontazione di questi due aspetti nelle imprese del territorio. Il terzo è dedicato alla selezione di indicatori adeguati, definizione di criteri di normalizzazione e determinazione di strategie di aggregazione quantitativa al fine di ottenere un modello che valorizzi i punti di forza del sistema produttivo locale.

Perché i due fattori S e G risultano spesso trascurati nelle pratiche di misurazione rispetto agli impatti ambientali? È una questione culturale o metodologica?

La risposta a queste domande rappresenta esattamente l’elevato potenziale, anche scientifico, del progetto. La prima riflessione che possiamo fare si concentra sul rapporto tra la dimensione sociale e quella ambientale, che a oggi non hanno lo stesso peso in termini di raccolta dati, analisi e reportistica, come emerge da studi condotti sulle principali riviste mondiali di settore dal 1988 al 2008 (Parker, 2011). La maggior parte delle ricerche, infatti, analizza le questioni ambientali (54%), e solo il 26% quelle sociali, mentre il 20% affronta entrambe le aree contemporaneamente. Anche altri studi (Gray, 2002) hanno evidenziato la predominanza della ricerca ambientale a livello internazionale nel ventennio in esame. Questa minore attenzione alla dimensione sociale è legata anche a un cambiamento di vocabolario: si è passati dall’iniziale concetto di responsabilità sociale a quello di sostenibilità, declinata in ambientale e sociale, con quest’ultima che ha appunto visto diminuire la sua importanza.

Che significato ha oggi il concetto di responsabilità, che sia sociale oppure ambientale?

Qui ci viene in aiuto la dimensione della governance. Un modello di governance sostenibile è quello che definiamo “stakeholder-oriented”. A partire da metà 2019 il Business Roundtable, che raccoglie le principali imprese statunitensi, ha stabilito in maniera chiara come modelli di business di tipo capitalistico, orientati solo alla massimizzazione del valore economico-finanziario per gli azionisti, non siano più desiderabili, in quanto creano troppe disuguaglianze e, in generale, impatti sociali negativi. Per rivedere la sostenibilità, allora, è necessario che ci siano pratiche di governo, che passano inevitabilmente da una gestione più democratica e inclusiva dei vari stakeholder.

Per quanto riguarda la componente sociale, quali sono gli aspetti più facili e quelli più difficili da misurare e implementare?

La dimensione sociale a oggi non ha una specifica tassonomia o declinazione. Molto spesso in questa dimensione si includono elementi legati alla formazione del personale, così come al rispetto delle norme e della sicurezza sul lavoro. Ma sempre più si è acquisita la consapevolezza che questo non sia sufficiente per permettere una trasformazione solidale e sostenibile dei modelli di business. Ecco, quindi, che la dimensione sociale, nello specifico contesto di questo progetto di ricerca, avrà bisogno di guardare agli elementi territoriali e di comunità, al momento non esplorati negli standard di misurazione e rendicontazione internazionali.

La governance è una dimensione forse ancora più sfidante. Quali sono le sue specificità?

Diciamo che questa dimensione è stata un po’ introdotta, o inventata, dagli investitori finanziari. Tradizionalmente, infatti, la sostenibilità è sempre stata analizzata sotto il profilo economico, sociale e ambientale. Come detto, nelle trasformazioni di linguaggio è sparita la parte economica, che in qualche modo ha preso il suo canale, ovvero quello della financial materiality, ed è stata introdotta la governance. Questo concetto si può interpretare in modo restrittivo, legato ad esempio all’introduzione di elementi di diversity nei board of directors, alle informazioni su organi direttivi e di controllo e alle remunerazioni degli amministratori, oppure si possono immaginare nuove dimensioni, che permettano di analizzare e valutare sistemi di governance inclusivi e democratici orizzontali.

Tornando a uno sguardo generale, emergono differenze tra il settore pubblico e quello privato?

L'integrazione dei criteri ESG nella pubblica amministrazione è un tema emergente nella letteratura accademica: precedenti studi hanno evidenziato come l’applicazione di questo paradigma miri a valorizzare le performance di sostenibilità, coinvolgendo attivamente cittadini, imprese e organizzazioni della società civile. Un approccio che promuove la trasparenza e la responsabilità, contribuendo a un impatto positivo a lungo termine per tutti gli stakeholder. L'integrazione dei criteri ESG nella pubblica amministrazione rappresenta un passo cruciale verso la creazione di valore pubblico: molte sono le sfide ancora attuali, soprattutto legate alla mancanza di standardizzazione nei criteri di valutazione e la difficoltà nel raccogliere dati accurati.

Qual è la situazione delle imprese, invece?

Su questo versante esiste un’esperienza di ricerca maggiore, soprattutto con riferimento alla grande impresa. La sfida di questo progetto di ricerca sarà quindi quella di contestualizzare gli indicatori in relazione alle piccole e medie imprese del territorio trentino con l’obiettivo di superare le limitazioni delle metriche e misurazioni generiche e standard. Molte di quelle finora sviluppate non riescono infatti a cogliere le specificità delle imprese e/o del territorio e del contesto in cui operano. In particolare, le PMI sono da sempre in prima linea, sebbene in via informale, nella tutela e valorizzazione della dimensione sociale: questo deriva in particolare dalla natura familiare di molte di esse. Sia nell’ambito della pubblica amministrazione che sul versante delle imprese, è quindi necessario uno sforzo ad hoc, rivolto non solo all’applicazione di metriche e standard di misurazione esistenti, ma anche alla costruzione di criteri sostanziali e innovativi, che siano in grado di catturare le specificità dell’essere territoriale trentino.

Come l’obbligatorietà introdotta dalla normativa, piuttosto che la volontarietà, della rendicontazione influisce sulla raccolta dei dati e sul cambiamento culturale?

Attualmente esistono due meccanismi di rendicontazione di sostenibilità: quello volontario e quello obbligatorio, che è stato introdotto per alcune imprese dalla recente CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive - 2022/2464/EU). La transizione dall’uno all’altro è stata oggetto di numerosi studi. L’obbligatorietà porta con sé standardizzazione e comparabilità, e quindi soddisfa le esigenze conoscitive degli investitori, che necessitano di comparare le performance ambientali e sociali di aziende diverse. Allo stesso tempo, però, solleva interrogativi sulla qualità delle informazioni fornite: secondo alcuni studi, le aziende che hanno iniziato la rendicontazione ESG su base volontaria tendono a fornire dati di qualità superiore rispetto a quelle che lo fanno solo per conformità normativa. Questo perché l'approccio volontario spesso riflette un impegno genuino verso la sostenibilità, mentre l'obbligo potrebbe portare a un mero adempimento formale, legato alla compliance.

Come rendere gli aspetti S e G più visibili nel prossimo futuro?

Credo sia necessario un approccio culturale. La pandemia ci ha mostrato che il rapporto tra essere umano e natura è stato messo a nudo nella sua fragilità e reciprocità, e lo stesso uomo si è scoperto non così potente o addirittura onnipotente. Uomo e natura devono imparare a coesistere in modo nuovo, e in questo equilibrio molto precario si sta discutendo oggi sul ruolo dell’impresa. A questo proposito vedo alcune direttrici di analisi. Innanzitutto, possiamo alzare lo sguardo oltre i vincoli normativi e finanziari in modo da riflettere in maniera costruttiva e proficua sul ruolo o “purpose” dell’impresa: siamo davvero convinti che l’obiettivo di un’azienda sia quello di massimizzare profitto per gli azionisti e/o remunerare il più possibile gli investitori, oppure il compito è creare valore, e non solo profitto? Oggi è necessario pensare alle aziende quali luoghi di scambio di valore, in senso ampio. In secondo luogo, possiamo rivedere la “S” di sostenibilità ripartendo dalla centralità delle persone: le imprese hanno bisogno di costruire ambienti sani, con un clima aziendale positivo, basato su collaborazione, reciprocità, fiducia, passione, voglia di fare e di crescere. Tutti elementi legati al benessere e allo sviluppo integrale della persona. Infine, dobbiamo riappropriarci del concetto di responsabilità sociale: questo ci chiama a un senso etico collettivo e all’assunzione di responsabilità, con oneri e onori, quale atto volontario di intraprendere determinate azioni, indipendentemente dai vincoli normativi e finanziari.

 

In copertina: immagine Envato