Questo articolo fa parte del canale tematico The Social and Governance Observer, in collaborazione con Trentino Sviluppo. Iscriviti alla newsletter su LinkedIn

L’Italia parla di innovazione, ma forma ancora poco e male. Secondo l’eLearning Maturity Report 2025 del Politecnico di Milano, realizzato dall’Osservatorio HR Innovation Practice insieme a Frog Learning, il livello medio di maturità della formazione digitale nel paese si ferma a 51 su 100.

Tutte le aziende dichiarano che la formazione è “strategica”, ma il 48% resta fermo a corsi obbligatori e piattaforme standard, il 45% opera a livello base e solo il 6% può dirsi avanzato. Appena l’1% ha integrato la formazione digitale nella strategia aziendale. L’immagine è quella di un’Italia che rischia di restare ai margini dell’industria 5.0. L’uso dell’intelligenza artificiale nella formazione è limitato a un terzo delle imprese, spesso in modalità sperimentale, e oltre la metà delle organizzazioni non garantisce standard di accessibilità.

Come osserva Martina Mauri, direttrice dell’osservatorio, “l’intelligenza artificiale può diventare un vero abilitatore di nuovi sistemi di eLearning più evoluti, non solo dal punto di vista tecnologico, ma anche in tutte le altre dimensioni: dall’analisi dei dati all’accessibilità. In Italia, però, il suo potenziale è ancora in gran parte da esplorare”. 

La formazione come leva della sostenibilità

A fronte di una domanda crescente di competenze legate alla transizione ecologica e digitale, l’Italia presenta un deficit strutturale di capitale umano. Secondo il progetto di ricerca Traiettorie – Flussi migratori, competenze e transizione energetica, promosso dalla Fondazione Maire-ETS, nel 2023 i lavoratori stranieri rappresentavano già oltre un quinto degli addetti ai green job in Italia. Tuttavia, gran parte di loro è impiegata in mansioni di base, per la difficoltà di riconoscere le qualifiche acquisite all’estero e la carenza di percorsi di formazione tecnica e linguistica. La ricerca, che ha coinvolto università e organizzazioni internazionali, stima un gap di oltre 800.000 lavoratori nei settori green del nostro paese. Servono percorsi integrati di upskilling, corridoi lavorativi, riconoscimento delle competenze e programmi di tutoraggio.

“Il settore della transizione energetica ha bisogno, e ne avrà sempre di più, di persone formate”, ha dichiarato Fabrizio Di Amato, presidente della fondazione e del gruppo Maire. “Migranti e rifugiati possono rappresentare uno dei bacini di riferimento, specie se inseriti in programmi specifici di formazione e inclusione. Abbiamo lanciato un programma che prevede ogni anno l’ingresso di cento nuovi professionisti, tra cui una quota di migranti e rifugiati.”

La sostenibilità, insomma, non è solo una questione di tecnologia o decarbonizzazione, ma anche di capacità di generare nuove competenze e includere persone oggi escluse dal mercato del lavoro qualificato. 

Leonardo, la fabbrica che insegna

Un modello di apprendimento continuo arriva da Leonardo, gruppo industriale attivo in aerospazio, difesa e sicurezza. L’azienda considera la formazione una vera infrastruttura strategica: nel solo 2024 ha erogato 1,4 milioni di ore di formazione e attivato 1.281 percorsi formativi in collaborazione con il sistema educativo. Pioniera del modello ITS già dal 2011, Leonardo ha costruito un legame stabile con scuole, università e territori, sviluppando percorsi mirati e docenze interne per avvicinare i giovani ai mestieri tecnici.

L’azienda investe anche nel reskilling digitale, introducendo piattaforme personalizzate per la crescita professionale e promuovendo una cultura dell’apprendimento continuo. Il suo impegno si estende alla valorizzazione delle donne STEM, con programmi di mentorship, politiche di inclusione e la certificazione di parità di genere ottenuta nel 2024. Più che una politica HR, è una visione industriale: formare per innovare. La “nuova grammatica dell’innovazione”, come la definisce Leonardo, nasce proprio dal ruolo centrale delle persone nei processi di trasformazione tecnologica. 

E.ON, la transizione passa dalle persone

Nel settore energetico, la trasformazione tecnologica si accompagna a un grande lavoro sulle competenze. “La transizione energetica non si realizza solo con le tecnologie, ma soprattutto con le persone”, commenta Andrea Moratto, chief operations officer di E.ON Italia. Il mercato dei green job continua a crescere, ma la scarsità di tecnici qualificati resta un freno. “In questo scenario, la formazione diventa un elemento chiave per accelerare il processo e valorizzare le competenze necessarie”, aggiunge Moratto.

Per E.ON investire nella crescita delle proprie persone è parte integrante della strategia industriale. Moratto spiega che “per una energy company diventa sempre più cruciale disporre di installatori altamente qualificati”. Non bastano più tecnici capaci di montare singoli dispositivi: servono professionisti in grado di integrare tecnologie diverse, ottimizzarle e gestirle attraverso software avanzati. Da qui un investimento strutturato in percorsi tecnico-professionali guidati da una faculty interna che combina competenze di campo e conoscenza delle tecnologie più recenti.

“Ogni giorno accompagniamo i nostri dipendenti e i partner nel perfezionare le proprie competenze a partire dalla formazione sui rischi delle installazioni e sulla prevenzione”, spiega Morato. I programmi includono integrazione dei sistemi, configurazione dei software e supporto ai clienti: “I nostri installatori diventano veri consulenti, pronti ad aiutare chi utilizza le soluzioni E.ON a sfruttarne appieno il potenziale”. 

Il capitale umano come infrastruttura della transizione 

Che si tratti di ingegneri dell’aerospazio o tecnici dell’agrivoltaico, la vera transizione passa dalle persone. In Italia, meno della metà della popolazione adulta possiede competenze digitali di base, e solo l’8% delle imprese utilizza sistemi di intelligenza artificiale. Lo European Skills Index 2024 pubblicato da Cedefop, il Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale, colloca il paese al penultimo posto in Europa per attivazione e matching delle competenze.  

Numeri che spiegano perché la sostenibilità rischia di fermarsi non per mancanza di risorse, ma per mancanza di conoscenza. Serve un’alleanza stabile tra imprese, università e istituzioni per fare della formazione una vera politica industriale. L’educazione, come la transizione ecologica, è un investimento a lungo termine. Ed è forse la più strategica delle infrastrutture che l’Italia possa costruire per il proprio futuro. 

 

In copertina: immagine Envato