L’amministrazione di Donald Trump ha recentemente annunciato l’intenzione di procedere all’avvio di nuove concessioni per lo sfruttamento di giacimenti petroliferi offshore nelle acque artiche al largo dell’Alaska. Il Dipartimento degli interni statunitense ha dichiarato che pubblicherà a breve un nuovo piano nazionale quinquennale per lo sfruttamento del petrolio e del gas offshore nelle acque federali, elaborando una proposta di pianificazione energetica per l’Artico.
Il segretario degli interni USA, Doug Burgum, ha ribadito che l’avvio del processo di sviluppo dell’11° Programma nazionale per la piattaforma continentale esterna segna un passo decisivo verso la garanzia del dominio energetico statunitense, sottolineando l’importanza di uno sviluppo energetico offshore, a basso impatto ambientale, per stimolare la creazione di nuovi posti di lavoro, rafforzare la crescita economica e l’indipendenza energetica degli Stati Uniti d’America.
Ma l’interesse dell’amministrazione Trump per le risorse naturali dell’Alaska va ben oltre petrolio e gas. Legname, minerali strategici, uranio e l’espansione dell’export di gas naturale liquefatto (GNL) e prodotti alimentari sono al centro di una nuova corsa all’estrattivismo che è vista come una grande opportunità per stimolare l’economia locale dal governatore Mike Dunleavy e da parte della delegazione del Congresso dell’Alaska, ma che ha suscitato forti critiche da parte dei gruppi ambientalisti.
Minerali strategici per la sovranità USA: ricchezze e rischi
L’Alaska ospita alcune delle più grandi riserve minerarie degli Stati Uniti. La Red Dog Mine, ad esempio, è la più grande produttrice mondiale di zinco e contribuisce al 10% della produzione globale. Nel 2016, è stata la principale fonte di rilascio di sostanze tossiche negli Stati Uniti, con oltre 440.000 tonnellate di rifiuti tossici, tra cui piombo, cadmio e mercurio, smaltiti sul posto.
Un altro progetto controverso è la Pebble Mine, che potrebbe estrarre oltre 40,3 milioni di tonnellate di rame e 2.000 tonnellate d’oro. Situata vicino alla baia di Bristol, minaccia uno degli ecosistemi di salmoni più produttivi al mondo. Inoltre, la comunità Iñupiat di Elim si oppone a un progetto di estrazione di uranio vicino al fiume Tubuktulik, temendo contaminazioni delle acque e danni alla salute.
L’espansione delle attività estrattive minaccia aree ecologicamente sensibili come la National Petroleum Reserve - Alaska (NPRA), che ospita oltre 5 milioni di uccelli acquatici, mezzo milione di caribù e numerosi orsi polari. Il progetto Willow, approvato nel 2023, prevede l’estrazione di 600 milioni di barili di petrolio, con un’emissione stimata di 287 milioni di tonnellate di CO₂ in 30 anni. Tale pianificazione compromette gli sforzi per la transizione energetica e minaccia la biodiversità locale. Il lago Teshekpuk, cruciale per la nidificazione di uccelli migratori e habitat per i caribù, è a rischio a causa delle attività di perforazione e del cambiamento climatico.
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Il Center for Biological Diversity fa causa all’amministrazione Trump
Una coalizione di organizzazioni per la tutela dell’ambiente, tra cui il Center for Biological Diversity, ha intentato una causa contro l’amministrazione Trump per i suoi tentativi di revocare le protezioni nel Mare di Bering settentrionale e in alcune aree degli oceani Atlantico e Pacifico. Natalie Jones, autorevole attivista ambientale del Center for Biological Diversity, ha dichiarato che le trivellazioni nell’Artico vanno descritte, presentate e analizzate come un quasi certo disastro incombente, con elevati rischi per la fauna locale come gli orsi polari e le balene della Groenlandia.
I precedenti di Trump
Già 2020, la Corte d’Appello degli Stati Uniti aveva respinto l’approvazione da parte dell’amministrazione Trump del progetto di trivellazione offshore Liberty nel Mare di Beaufort, menzionando e presentando importanti violazioni delle leggi federali e la mancanza di documentazione relativa agli importanti impatti climatici. Un precedente legale importante per gli ambientalisti che potrebbe influenzare le future decisioni riguardanti le concessioni nell’Artico.
Sempre nel corso dell’anno 2020, l’amministrazione Trump finalizzò e presentò un piano per aprire 607.000 ettari di terreno del Rifugio nazionale per la fauna artica (ANWR) alle trivellazioni petrolifere, una decisione senza precedenti che sollevò molte proteste a causa delle minacce alle terre sacre del popolo Gwich’in e di altre comunità indigene, oltre a esacerbare le crisi climatica e della biodiversità.
Nei primi mesi del suo secondo mandato, Trump ha firmato 141 ordini esecutivi, molti dei quali mirano a smantellare le protezioni ambientali esistenti. Tra le azioni più significative, l’apertura dell’Arctic National Wildlife Refuge (ANWR) e della National Petroleum Reserve–Alaska (NPR-A) all’esplorazione e allo sfruttamento di petrolio e gas. Queste decisioni rappresentano una netta inversione di rotta rispetto alle politiche di conservazione adottate dalle precedenti amministrazioni dei presidenti Obama e Biden.
Nuovi programmi per nuove perforazioni
Nel marzo di quest’anno, l’amministrazione USA ha proposto la riattivazione del programma per permettere nuove perforazioni nei 631.000 ettari della Coastal Plain dell’Arctic National Wildlife Refuge, la più vasta area naturale protetta degli Stati Uniti.
“È ora che gli Stati Uniti valorizzino le risorse abbondanti e in gran parte inutilizzate dell'Alaska come via verso la prosperità per la nazione, compresi gli abitanti dell'Alaska”, ha affermato il segretario Burgum. “Per troppo tempo il governo federale ha creato troppi ostacoli allo sfruttamento del potenziale energetico dello stato. Il Dipartimento degli interni si impegna a riconoscere il ruolo centrale che lo stato dell'Alaska svolge nel soddisfare il fabbisogno energetico della nostra nazione, offrendo al contempo enormi opportunità economiche agli abitanti dell'Alaska.”
La strategia di Trump si basa quindi sulla convinzione che l’Alaska detenga risorse naturali cruciali per la sicurezza nazionale. In particolare, l’attenzione è rivolta ai minerali critici come il rame, il cobalto e le terre rare, essenziali per la produzione di tecnologie avanzate e per ridurre la dipendenza dagli approvvigionamenti esteri provenienti dalla Cina.
Progetti come la costruzione dell’Ambler Road, una strada industriale di 340 km attraverso territori incontaminati, mirano a facilitare l’accesso a queste risorse, nonostante le preoccupazioni ambientali e le opposizioni delle comunità locali. Intanto, il governatore Dunleavy ha stanziato 1 milione di dollari a favore di un gruppo indigeno pro-trivellazioni, suscitando critiche per l’uso di fondi pubblici a sostegno dell’industria estrattiva.
Ma mentre alcuni vedono nello sfruttamento delle risorse un’opportunità economica, altri evidenziano i rischi per l’ambiente e le comunità locali. La revoca delle protezioni per aree come la Tongass National Forest, la più grande foresta del Nord America, apre la strada a disboscamenti su larga scala, mettendo a rischio ecosistemi unici e contribuendo al cambiamento climatico.
L’accelerazione dei processi di autorizzazione per progetti di estrazione e infrastrutture energetiche inoltre solleva interrogativi sulla legalità di tali azioni, con numerose cause legali già avviate da organizzazioni ambientaliste e comunità indigene.
Nonostante alcuni sporadici tentativi di esplorazione, le acque artiche federali al largo dell'Alaska non hanno mai conosciuto una produzione significativa di idrocarburi. A oggi, l’unica eccezione è rappresentata da una piccola porzione del giacimento Northstar, gestito da Hilcorp, la cui attività si svolge però in gran parte all’interno dei confini del territorio statale. Questo dato sottolinea come le promesse energetiche dell’Artico restino, almeno per ora, più una visione sul futuro energetico statunitense che una realtà concreta.
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In copertina: il monte Denali fotografati da Jacob Vizek, Unsplash