“Il paradosso è che un rischio che ci rende tutti uguali riveli, allo stesso tempo, quanto siamo ineguali”, si legge nel libro Pandemocracy: A Philosophy of the Coronavirus (Pandemocrazia: filosofia del coronavirus) del filosofo spagnolo Daniel Innerarity. I fatti parlano chiaro: le pandemie mettono a nudo le disuguaglianze sociali e le amplificano.

È quanto emerge dal rapporto redatto dal Consiglio globale su disuguaglianza, AIDS e pandemie, indetto dal direttore esecutivo dell'UNAIDS Winnie Byanyima e copresieduto da Joseph Stiglitz, economista e premio Nobel, da Monica Geingos, ex first lady della Namibia, e dal sottoscritto. Il Consiglio ha esaminato le prove relative al ciclo disuguaglianza-pandemie e ha elaborato alcune raccomandazioni su come garantire la sicurezza sanitaria in un'era globalizzata.

La prima conclusione fondamentale è che elevati livelli di disuguaglianza, sia all'interno dei singoli paesi che tra un paese e l'altro, contribuiscono a rendere il mondo più vulnerabile alle pandemie. Queste ultime diventano così più letali, causano maggiori sconvolgimenti economici e si protraggono più a lungo. A loro volta, le pandemie aumentano la disuguaglianza, alimentando un circolo vizioso. All'interno dei singoli paesi, le disuguaglianze di reddito e altre condizioni sociali sono correlate all'incidenza dell'HIV e dell'AIDS e alla mortalità da Covid-19.

In Brasile, ad esempio, secondo uno studio, la mortalità da Covid-19 era da 2,6 a 4,7 volte superiore tra le persone senza istruzione scolastica rispetto a quelle con un diploma universitario, e il divario tra i due gruppi era maggiore nelle regioni ricche rispetto a quelle povere. Anche in Svezia, paese generalmente considerato egualitario, le persone con un livello di istruzione inferiore e le famiglie con un reddito più basso erano esposte a un rischio maggiore di ricovero ospedaliero o di morte per Covid-19.

L'architettura finanziaria globale aggrava le disuguaglianze tra i paesi. Si è assistito a un calo degli aiuti pubblici allo sviluppo (APS), a un pesante debito pubblico e all'imposizione di politiche di austerità da parte delle istituzioni finanziarie internazionali. Tutto ciò ha limitato lo spazio fiscale dei paesi nello sviluppo di politiche sociali in grado di proteggerli dalle pandemie e consentire loro di reagire quando queste si verificano.

Oggi, 3,3 miliardi di persone vivono in paesi che spendono più per il rimborso del debito pubblico che per l'assistenza sanitaria. La recente chiusura dell'USAID (l'Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale), insieme ai tagli al PEPFAR (il Piano di emergenza del presidente per la lotta contro l'AIDS), rappresenta una sfida notevole per i paesi che cercano di finanziare l'assistenza sanitaria e i sistemi di sanità pubblica. Quando una pandemia colpisce, i paesi a basso reddito hanno meno soldi a disposizione, non solo per i vaccini e le cure mediche, ma anche per sostenere le famiglie. Durante la pandemia di Covid-19, i paesi a basso reddito hanno speso circa il 2% del proprio PIL in misure non sanitarie, rispetto all'8% – da un PIL molto più elevato – dei paesi ad alto reddito.

Questi dati sono legati a una seconda conclusione fondamentale. Una revisione delle prove scientifiche condotta dall'UCL Institute of Health Equity per conto del Consiglio ha dimostrato che intervenire sui determinanti sociali della salute è essenziale sia per la preparazione alle pandemie che per la capacità di risposta quando queste si verificano. A tal punto che dovremmo parlare di “determinanti sociali delle pandemie”.

Le disuguaglianze nelle condizioni in cui le persone nascono, crescono, vivono, lavorano e invecchiano, così come le disuguaglianze in termini di potere, denaro e risorse, creano disparità sanitarie sia in condizioni normali che durante le pandemie. A loro volta, le pandemie influenzano negativamente tali determinanti sociali. Questa maggiore vulnerabilità deriva dalle disuguaglianze socioeconomiche in termini di reddito, istruzione, etnia, genere, orientamento sessuale e altri indicatori di stratificazione sociale. Tale vulnerabilità si manifesta prima che entri in gioco il sistema sanitario e non può essere completamente mitigata dall'assistenza medica o dall'accesso a tecnologie mediche.

L'incapacità di rispondere efficacemente alle pandemie in corso, come l'AIDS e la tubercolosi, non fa che alimentare il ciclo pandemia-disuguaglianza. Ma i fatti dimostrano che questo ciclo può essere spezzato. Come?

In primo luogo, eliminando le barriere finanziarie nell'architettura globale per consentire a tutti i paesi di disporre dello spazio fiscale necessario per rispondere alle pandemie. Si possono fare passi avanti attraverso la riduzione del debito durante le pandemie e l'abbandono delle politiche di austerità imposte dalle istituzioni finanziarie internazionali.

In secondo luogo, occorre riconoscere l'importanza di investire nell'affrontare i determinanti sociali delle pandemie, compresa la protezione sociale. Questo investimento è cruciale sia durante una pandemia che per mitigarne gli effetti in caso di eventualità futura. Una lezione fondamentale appresa dal Covid-19 è che una preparazione alle pandemie che ignori i determinanti sociali della salute è inadeguata. In Bolivia, il programma Renta Dignidad ha contribuito alla sicurezza alimentare durante il Covid-19, in particolare tra le famiglie a basso reddito. In Brasile, le località con una maggiore copertura del programma anti-povertà Bolsa Família hanno registrato una riduzione del 5% dell'incidenza dell'AIDS, una diminuzione del 14% dei ricoveri ospedalieri correlati all'AIDS e un calo del 12% della mortalità tra il 2004 e il 2018.

Terzo, rafforzando la produzione locale e regionale insieme a una nuova governance della ricerca e dello sviluppo in grado di garantire la condivisione della tecnologia e delle informazioni come beni pubblici necessari per fermare le pandemie. Le disparità nella disponibilità dei vaccini tra i paesi ad alto reddito e quelli a basso e medio reddito dovranno appartenere al passato.

E quarto, rafforzando la fiducia, l'equità e l'efficacia delle risposte alle pandemie attraverso investimenti in iniziative multi-settoriali e infrastrutture gestite dalla comunità, in collaborazione con i governi.

In conclusione, la risposta alla riflessione contenuta nel libro di Innerarity è che occorre orientarsi verso una società che dia priorità alla salute e al benessere in proporzione alle esigenze di ciascuno. Affrontare le condizioni sociali che rendono alcune popolazioni più vulnerabili e costruire un mondo basato sulla fiducia, la cooperazione e l'impegno per una maggiore equità sanitaria non solo ci preparerà meglio alla prossima pandemia, ma creerà anche un mondo più equo e più sano.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato su latinoamerica21.com

 

In copertina: foto di Shot Ed, Unsplash