In un momento storico in cui non solo i consumatori ma anche le legislazioni diventano sempre più sensibili al greenwashing, il tribunale regionale di Francoforte sul Meno ha condannato Apple per pubblicità ingannevole. La sentenza si riferisce all’Apple Watch, uno dei prodotti di punta della multinazionale tech.
Al momento del suo rilascio, nel 2023, l’azienda lo aveva infatti definito il primo prodotto carbon neutral, in linea con l’obiettivo di rendere tutta la produzione di Apple a zero emissioni di CO₂ entro il 2030. I dubbi sulla effettiva neutralità carbonica dello smartwatch erano emersi già allora, ma la sentenza del 26 agosto – non ancora definitiva – mette un punto alla questione.
Perché Apple è stata condannata
Due anni fa, Apple aveva dichiarato carbon neutral il proprio smartwatch perché aveva avviato un progetto forestale in Paraguay (Sud America) per compensare le emissioni per produrlo. Tuttavia, i terreni su cui crescono le piante di eucalipto che dovrebbero assorbire la CO₂ sono in affitto fino al 2029, e i contratti di locazione per gli anni successivi non sono garantiti.
A portare l’azienda in tribunale è stata l’organizzazione non-profit tedesca Deutsche Umwelthilfe (DUH), che si occupa di interventi legali per far rispettare le normative ambientali. In particolare, con questo processo la DUH voleva dimostrare che il claim della neutralità carbonica era ingannevole per i consumatori perché il progetto di compensazione non era efficace sul lungo termine.
“I contratti di locazione per il 75% dell'area del progetto sono garantiti solo fino al 2029”, ha chiarito l’avvocato Remo Klinger, che ha rappresentato l’organizzazione ambientalista nel processo. “L'azienda tecnologica non è stata in grado di dimostrare in tribunale che tutti i contratti di locazione sono stati prorogati. Di conseguenza, la continuazione del progetto non è garantita e l'affermazione pubblicitaria di Apple è semplicemente fuorviante.”
Apple, dunque, non potrà più pubblicizzare lo smartwatch come un prodotto a zero emissioni di CO₂ in Germania. La sentenza tedesca è la prima nel paese a vietare a un’azienda di usare l’etichetta “carbon neutral” basandosi solo sulle compensazioni. Ma il caso potrebbe diventare un precedente importante in Europa: apre infatti la strada a verifiche più attente delle affermazioni delle aziende. Il risultato, poi, arriva mentre la Commissione europea sta lavorando alla Green Claims Directive, normativa nata proprio per contrastare il greenwashing.
Le criticità del progetto in Paraguay
La durata limitata dei contratti di locazione non è l’unico motivo per cui i programmi in Paraguay sono problematici. La Deutsche Umwelthilfe sottolinea anche che le piantagioni di eucalipto non sono le più adatte per un progetto di compensazione del carbonio: si tratta infatti di monocolture, che per essere mantenute necessitano di uso regolare di pesticidi, con impatti negativi sulla sopravvivenza degli insetti impollinatori.
Inoltre, spiega la DUH, l’eucalipto è un albero a crescita rapida che consuma grandi quantità di acqua ed è altamente infiammabile in periodi caratterizzati da scarsità di precipitazioni. Un fattore che mette ulteriormente in discussione il potenziale di stoccaggio a lungo termine, a causa dell’aumento della siccità in tutto il mondo dovuto ai cambiamenti climatici.
“Il presunto stoccaggio di CO₂ nelle piantagioni commerciali di eucalipto è limitato a pochi anni, le garanzie contrattuali per il futuro sono insufficienti e l'integrità ecologica delle aree di monocoltura non è garantita”, riassume il direttore federale della DUH, Jürgen Resch. Pertanto, il progetto di compensazione di Apple risulta poco efficace sul lungo termine.
Durante il processo, Apple ha tentato di difendersi ricordando l’esistenza di un meccanismo di garanzia gestito dall’organizzazione Verra, che avrebbe coperto l’incertezza delle proroghe dei contratti di locazione. Il tribunale, però, non lo ha ritenuto sufficiente per compensare la mancata continuazione del progetto oltre il 2029.
In copertina: immagine Envato