Da oggi, martedì 9 settembre, François Bayrou non è più il primo ministro francese. Ieri, il verdetto espresso dall’Assemblea nazionale è stato schiacciante: 364 voti contro e 194 voti a favore del governo insediatosi il 13 dicembre 2024. Il piano di risparmi da 44 miliardi pensato da Bayrou per far fronte a un deficit (5,8%) e a un debito pubblico (113,9%) in costante crescita non ha convinto il Parlamento, mentre in tutto il paese si sta organizzando un’enorme protesta che sembra raccogliere l’eredità del movimento dei gilet gialli: Bloquons tout.

La mobilitazione prevista per domani, mercoledì 10 settembre, rischia di paralizzare trasporti, servizi pubblici, scuole, ospedali e strade di tutto il paese. Con un presidente, Emmanuel Macron, alle prese con un vero e proprio rompicapo politico, dopo quindici mesi di instabilità senza precedenti per l’Élysée.

Come si è arrivati alla caduta del Governo Bayrou

Per capire come si è arrivati alle dimissioni di quest’oggi, bisogna partire dalle elezioni europee del giugno 2024, il cui risultato ha spinto Macron a sciogliere l’Assemblea nazionale e a indire delle elezioni legislative anticipate. Nel giro di un mese il panorama politico è stato riorganizzato in tre blocchi principali: il Nouveau Front Populaire di sinistra che ha ottenuto 182 seggi, la coalizione Ensemble di Macron che si è classificata seconda con 168 seggi e il Rassemblement National del tandem Le Pen-Bardella che ne ha ottenuti 143. Nessuna delle tre coalizioni ha ottenuto i 289 seggi necessari per avere la maggioranza assoluta.

Nonostante la vittoria in termini di seggi, il Nouveau Front Populaire non è riuscito a formare il governo. Bayrou − nominato primo ministro da Macron lo scorso dicembre dopo i tre mesi del suo predecessore Michel Barnier − ha governato in un contesto di estrema fragilità come dimostrano l’ampio spettro dei voti di sfiducia ricevuti sia a destra (151) che a sinistra (192) nella consultazione di ieri.

A condurre il Governo Bayrou al capolinea sono stati i numeri che hanno fatto parlare della Francia come del nuovo “grande malato” dell’economia europea. Secondo Eurostat, nel primo trimestre del 2025, il debito pubblico francese ha raggiunto il 114,1% del PIL, superato solamente da Grecia (152,5%) e Italia (137,9%). La percentuale del debito è raddoppiata rispetto ai primi anni 2000, soprattutto a causa dei deficit fiscali persistenti. Nel 2024, il dato sul deficit fiscale ha raggiunto il 5,8% superando ampiamente il limite di sforamento del 3% fissato dall’Unione Europea. Infine, le previsioni sul PIL ipotizzano una media annuale del +0,6%, dopo l’1,1% registrato nel 2024.

Per porre un argine alla progressione del deficit fiscale, il Governo Bayrou ha proposto un taglio della spesa pubblica di 44 miliardi di euro scontrandosi con la netta opposizione dell’Assemblea nazionale e con un’opinione pubblica che ieri, da Nantes a Pau, da Nîmes a Strasburgo, da Le Mans a Besançon, è scesa in piazza per festeggiare la fine del governo del centrista insediato nove mesi fa a Matignon dal presidente Macron.

La situazione economica della Francia e cosa succede adesso

Anche se molti auspicano l’addio anticipato di Macron all’Élysée, l’ipotesi più verosimile sembra essere la nomina di un nuovo primo ministro da parte del presidente. Nei corridoi del potere d’Oltralpe, l’identikit che inizia a configurarsi è quello di un politico esperto, capace di un compromesso sull’asse che va dai socialisti ai repubblicani, qualcuno che abbia esercitato ruoli di responsabilità ad alto livello, ma soprattutto non associato ai precedenti governi Macron. Con una scelta da prendere ai margini del campo presidenziale, i nomi più papabili sembrano essere quelli di Raphaël Glucksmann, Bernard Cazeneuve, Jean-Yves Le Drian e Yaël Braun-Pivet, attuale presidente dell’Assemblea nazionale.

Ma la caduta di Bayrou resta una sconfitta per Macron che, in queste ore, deve fare i conti con due tipi di pressioni: quelle provenienti da sinistra (con il Nouveau Front Populaire che vorrebbe imporre un proprio premier in virtù della maggioranza ottenuta alle elezioni del 2024) e quelle provenienti da destra (con il Rassemblement National di Marine Le Pen che chiede a gran voce lo scioglimento delle camere e una nuova chiamata alle urne).

La più evidente conseguenza finanziaria della caduta del Governo Bayrou è stato l’aumento esponenziale dei rendimenti degli OAT – i titoli di stato francesi –, le cui scadenze decennali sono passate dallo 0,5% al 3,49%. Venerdì 12 settembre l’agenzia di rating Fitch dovrebbe esprimere la valutazione di credito sulla Francia: l’AA- potrebbe essere rivisto alla luce di questa fase di instabilità politico-economica. La prossima settimana sarà la volta di Dbrs, ma non è da escludere che le agenzie di rating rimandino la valutazione per capire che cosa accadrà nei prossimi giorni.

Al di là delle decisioni prese nelle stanze della politica e della finanza, c’è un’ulteriore variabile da tenere in considerazione: il potere della piazza. Dal movimento dei gilet gialli a quello più recente dei trattori, le mobilitazioni dal basso hanno da sempre un grande impatto sull’opinione pubblica francese. Uno dei cardini della protesta del movimento Bloquons tout è la destituzione di Emmanuel Macron. L’homepage della piattaforma web di questo movimento privo di gerarchie, Les Essentiels, scandisce il countdown verso l’appuntamento di domani. “Qui il popolo prende la parola. Senza intermediario. Senza filtro. Senza partito”, si legge sul sito. E ancora, la frase “ogni firma conta come una voce” che evoca l’“1 vale 1” che, nello scorso decennio, ha scandito l’ascesa dalla piazza alla politica del Movimento 5 Stelle.

Collettore delle istanze sovraniste e delle rivendicazioni sociali provenienti da sinistra, Bloquons tout potrebbe svuotare ulteriormente il bacino dell’elettorato centrista. Un problema in più per Macron che, in queste ore, è alla ricerca del suo settimo primo ministro in otto anni e mezzo di mandato presidenziale.

 

In copertina: François Bayrou, foto di Ugo Bronzewski via Flickr