L’Europa punta a tornare protagonista, riconquistando la sua competitività sul palcoscenico internazionale. Tuttavia, nella corsa verso nuovi obiettivi, rischia di perdere di vista un elemento fondamentale del suo repertorio: il sistema di welfare, che, oltre a essere un cardine della giustizia sociale, può diventare un fattore strategico capace di garantire resilienza economica e attrarre nuovi capitali. Ne abbiamo parlato con Francesco Bicciato, direttore generale del Forum per la finanza sostenibile, che rovescia la narrativa del disimpegno finanziario dagli ESG e apre a una visione più integrata. La transizione verso un’economia più verde apre infatti la strada a una profonda riconversione del mercato del lavoro, con la necessità di investire in formazione e riqualificazione per i cosiddetti green job. Senza contare, inoltre, le opportunità legate ai social bond e alle infrastrutture sociali, che possono segnare una nuova frontiera di investimento.


Bicciato, non si fa che parlare di fuga dagli ESG, di frammentazione normativa e segnali di ripiegamento dai grandi fondi. Come ha risposto la vostra base associativa?

Innanzitutto, è significativo il fatto che nel 2024 si sia registrato un aumento dei soci del Forum, una tendenza che si sta consolidando anche nei primi mesi del 2025. Attualmente, la nostra associazione conta oltre 170 membri, con un incremento del 20% rispetto agli anni precedenti. Vale la pena ricordare che l’organizzazione ha alle spalle 25 anni di attività, ma i momenti di maggiore crescita si sono verificati dopo il 2018, in coincidenza con il lancio del Piano europeo per la finanza sostenibile, e poi nel 2019 con l’introduzione del Green Deal. Anche in presenza di congiunture sfavorevoli, come la pandemia, la tendenza complessiva è rimasta positiva. In particolare, negli ultimi due o tre anni, il numero dei soci è aumentato in maniera trasversale in tutte le categorie. Anche il settore dei fondi pensione ha avuto una crescita significativa.

Perché questo interesse? È merito anche di una risposta alla sensibilità delle nuove generazioni di lavoratori?

Negli ultimi anni abbiamo assistito a un’accelerazione, una maggiore consapevolezza da parte di questi investitori istituzionali, confermata anche dalle nostre indagini nel comparto previdenziale sull’importanza di una gestione orientata ai criteri ESG, accompagnata da un’adeguata analisi dei rischi. Le politiche di investimento dei piani previdenziali seguono sempre più spesso i criteri della finanza sostenibile, basata sulla gestione delle esternalità e l’anticipazione dei rischi ESG nell’ottica di proteggere meglio gli investimenti destinati ai lavoratori. Si tratta di un indicatore positivo dal punto di vista del dialogo intergenerazionale. Uno dei temi centrali è quello dell’educazione finanziaria. Ci sono ancora molti passi da compiere, anche alla luce della crisi demografica. In questo contesto, l’educazione previdenziale merita un’attenzione particolare: in una società che invecchia, con la prospettiva di dover garantire una pensione adeguata alle future generazioni, è fondamentale che i più giovani acquisiscano familiarità con questi temi.

Oltre ai fondi pensione, vi è stata una crescita anche tra le altre categorie?

Sì, dagli asset manager alle fondazioni di origine bancaria, alle assicurazioni. Un altro segnale incoraggiante arriva dalla società civile. All’inizio dell’anno, ad esempio, ha aderito Medici senza frontiere, cosa che ci ha fatto molto piacere. È interessante notare come, anche all’interno del mondo non profit, stia emergendo la consapevolezza dell’importanza di utilizzare, accanto alle tradizionali forme di sostegno come le donazioni, anche strumenti finanziari in grado di rafforzare la struttura patrimoniale delle organizzazioni.

Uno dei temi sociali cruciali connessi alla transizione ecologica resta però proprio quello del lavoro.

È vero, il passaggio dalle fonti fossili (carbone, petrolio, gas) alle energie rinnovabili comporterà una necessaria riconversione del modello occupazionale. Il World Economic Forum prevede che entro il 2030, a livello globale, 170 milioni di nuovi posti di lavoro saranno creati, a fronte di una perdita di 92 milioni, con un saldo netto positivo di 78 milioni. Anche fonti come IRENA o Legambiente indicano chiaramente che i cosiddetti green job, i nuovi impieghi generati dalla transizione, supereranno con ogni probabilità i posti persi. Perché ciò si realizzi, serve una politica attiva del lavoro: da un lato, con la riqualificazione dei lavoratori dell’industria fossile; dall’altro, incentivando la formazione sulle produzioni sostenibili all’interno del mercato del lavoro. Questo è un nodo reale, che non va ignorato, ma che può e deve essere affrontato con strumenti adeguati. A questo si collega un altro tema strutturale: la necessità di ridurre le disuguaglianze e preservare il nostro modello di welfare.

Cosa intende?

Si pensi all’importanza di poter contare su un sistema sanitario e educativo efficiento e inclusivo. La vera sfida è come rendere questo welfare sostenibile in senso pieno: sociale, ambientale ed economico. La finanza sostenibile è attenta alle innovazioni anche nel campo sociale, in un’ottica di collaborazione pubblico-privato, che può portare benefici al sistema economico e alla società nel suo complesso. Un sistema di welfare fragile, infatti, è meno equo dal punto di vista sociale, ma rappresenta anche un contesto meno attrattivo per gli investimenti. Gli investitori, soprattutto quelli orientati alla sostenibilità, valutano anche la resilienza dei sistemi in cui operano. E un welfare solido è uno dei presupposti fondamentali per garantire un ambiente favorevole allo sviluppo economico duraturo.

Un ulteriore rischio, in assenza di un welfare efficace, è l’esclusione crescente di fasce di popolazione dall’accesso al credito, ai servizi finanziari, alla sanità, all’istruzione...

Questo non è solo un problema etico, ma anche economico, perché genera tensioni, instabilità e una riduzione complessiva della capacità di crescita. Serve allora un cambio di prospettiva. Gli investimenti in campo sanitario che garantiscono un accesso universalistico non sono “costi”, ma investimenti strategici.  Se il sistema sanitario pubblico va in crisi, molte persone rinunceranno a curarsi o a fare prevenzione. Le conseguenze sono gravissime non solo per la salute, ma per l’intero sistema economico, che si troverà ad affrontare maggiori costi, una forza lavoro più fragile e minori prospettive di crescita. È evidente che, come paese, dobbiamo ottimizzare la spesa pubblica e ridurre gli sprechi. Ma è altrettanto chiaro che dobbiamo difendere il welfare come fattore di competitività, oltre che di giustizia sociale.     

Esistono oggi opportunità di mercato interessanti in ambito sociale?

I social bond, ad esempio, sono in crescita. Settori come il social housing o le infrastrutture sociali − incluse le RSA, le residenze per anziani − possono essere gestiti attraverso modelli misti pubblico-privato, capaci di migliorare l’accessibilità e la qualità dei servizi. La pandemia ci ha mostrato in modo drammatico quanto la carenza di queste strutture possa avere conseguenze devastanti. Oggi, invece, anche da un punto di vista finanziario, investire in questi ambiti rappresenta una strada concreta per diversificare il mercato e generare valore sociale ed economico.

 

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In copertina: Francesco Bicciato © Forum finanza sostenibile, Agenzia Fotogramma