Complice la carenza di energia idroelettrica di Cina e Stati Uniti, nel 2023 le emissioni di CO₂ prodotte dal settore energetico hanno infranto un nuovo record: 37,4 miliardi di tonnellate. A dirlo è il nuovo report pubblicato a marzo dall’Agenzia internazionale per l’energia (IEA), da cui emergono però anche buone notizie. Oltre a osservare un timido rallentamento rispetto al balzo del 2022 (+1,3%), l’IEA registra infatti un calo record delle emissioni di CO₂ nelle economie cosiddette “avanzate”, nonostante un PIL comunque in crescita.

I benefici della transizione energetica

Nel 2023 le emissioni totali di anidride carbonica legate all’energia sono aumentate dell’1,1%, pari a 410 milioni di tonnellate di CO₂. Come per l’anno precedente, si conferma il ritorno a una tendenza decennale di decoupling, secondo il quale la crescita del PIL (+3% nel 2023) non è correlata a un aumento delle emissioni. Questo trend si era bruscamente interrotto nel 2021, quando la ripresa economica post Covid-19 aveva fatto rimbalzare le emissioni ai livelli prepandemici.

La crescita del PIL osservata nelle economie più sviluppate, quindi, non ha determinato maggiori impatti climatici. Anzi, grazie a una combinazione di fonti rinnovabili, sostituzione del carbone con il gas e significativi miglioramenti nell’efficienza energetica, mai la produzione di CO₂ legata al settore energetico aveva raggiunto livelli così bassi negli ultimi 50 anni. Inoltre è stato il primo anno in cui la metà della produzione di elettricità delle economie avanzate è arrivata da fonti a basso impatto come rinnovabili ed energia nucleare.

“La transizione energetica è stata sottoposta a una serie di stress test negli ultimi cinque anni e ha dimostrato una notevole resilienza”, ha dichiarato il direttore esecutivo dell’IEA Fatih Birol. “La pandemia, la crisi energetica e l’instabilità geopolitica [soprattutto legata alla guerra in Ucraina, n.d.r] avrebbero potuto far deragliare gli sforzi volti a costruire sistemi energetici più puliti e sicuri. Invece abbiamo osservato il contrario in diverse economie.”

La carenza di energia idroelettrica di Cina e Stati Uniti

Se non fosse stato per la produzione di energia idroelettrica insolitamente bassa, lo scorso anno le emissioni globali di CO₂ sarebbero diminuite. La colpa, secondo i calcoli della IEA, è stata soprattutto delle siccità estreme che in Cina e negli Stati Uniti hanno causato un declino significativo del comparto idroelettrico. Per soddisfare la domanda energetica e colmare il gap, i due Paesi si sono affidati in gran parte ai combustibili fossili. In Cina il calo di produzione di energia idroelettrica ha portato a un aumento delle emissioni di 115 milioni di tonnellate (Mt).

Discorso analogo per gli Stati Uniti che hanno registrato un declino produttivo del 6% (15 TWh elettricità). Se non si fosse verificato anche un calo nella produzione di energia eolica, l’ormai ex Inviato per il clima statunitense John Kerry avrebbe festeggiato una riduzione delle emissioni di circa 40 Mt. Nell’arco dello scorso anno Washington è riuscita comunque a diminuirle del 4,1%. 

La domanda energetica della Cina 

Come negli Stati Uniti anche in Europa le emissioni totali sono diminuite (-9% rispetto al 2022). Entrambi hanno contribuito positivamente all’avvicinamento del picco globale di gas a effetto serra, ovvero quel punto della parabola in cui le emissioni di CO₂ iniziano a decrescere. Meno incoraggianti, invece, sono stati i risultati climatici cinesi. I 12,6 miliardi di tonnellate prodotte dalla Cina pesano parecchio sul bilancio totale complessivo (37,4). Nonostante Pechino sia leader globale nell’installazione di pannelli fotovoltaici, energia eolica, e produzione di veicoli elettrici, la domanda energetica è aumentata così tanto da non poter permettere alle fonti rinnovabili di tenere il passo. In particolare sono i settori industriali ad alta impronta carbonica come il manifatturiero e l’edilizia ad aver richiesto più energia.

Il carbone rimane il principale responsabile (circa il 70%) dell’aumento delle emissioni globali derivanti dalla produzione di energia. Cina e India sono i Paesi che hanno guidato la domanda. Il calo di Europa e Stati Uniti ha solo parzialmente compensato l’impatto climatico del combustibile fossile più inquinante.

“Necessitiamo di sforzi maggiori per consentire alle economie emergenti e in via di sviluppo di aumentare gli investimenti per la transizione energetica”, ha aggiunto Fatih Birol. Secondo il direttore esecutivo dell’IEA, anche se la domanda energetica globale è aumentata notevolmente nel 2023, la transizione verso l’energia pulita prosegue a ritmo sostenuto e ha tenuto sotto controllo le emissioni.

 

Immagine: Jason Blackeye, Unsplash

 

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