Erano 75 anni che negli Emirati Arabi Uniti non pioveva così. Tra lunedì 15 e martedì 16 aprile sono precipitati dal cielo di Dubai 142 millilitri di pioggia, la quantità che nella città normalmente si misura in un anno e mezzo.  Nella città di Al Ain, la quarta per numero di abitanti, il Centro Nazionale di Meteorologia ha registrato 254,8 mm in meno di 24 ore. Almeno una persona è morta: si tratta di un uomo di 70 anni che secondo la polizia è stato trascinato via mentre era in auto a Ras Al Khaimah, uno dei sette emirati del Paese. In queste ore alcuni media, tra cui anche note testate giornalistiche italiane, hanno citato il cloud seeding come una delle possibili cause dell’alluvione. Ma la comunità scientifica nega ogni correlazione.

Cos’è il cloud seeding

Traducibile in italiano come “inseminazione delle nuvole”, il cloud seeding è una tecnica di stimolazione artificiale delle piogge che consiste nello sparare, tramite aerei o appositi cannoni, particelle di ioduro d’argento per favore la condensazione del vapore nelle nuvole e quindi aumentare le precipitazioni. Nel tentativo di spremere ogni goccia di umidità da un clima (secco) che di solito garantisce solamente dai 140 a 200 millilitri di pioggia all'anno, gli Emirati Arabi Uniti utilizzano il cloud seeding come palliativo alle frequenti siccità.

Il Centro Nazionale di Meteorologia (NCM), che supervisiona l’inseminazione atmosferica a livello nazionale, ha dichiarato alla CNBC che non era stata programmata nessuna missione di cloud seeding durante la settimana. Anche perché, considerate le previsioni meteorologiche, non avrebbe avuto senso favorire ulteriori precipitazioni.

Le cause dell’alluvione di Dubai

Interpellato dall’agenzia di stampa Associated Press, il climatologo Tomer Burg dell’Università dell’Oklahoma ha sottolineato che le previsioni avvisavano dell’arrivo di una forte perturbazione ‒ circa la quantità di pioggia che negli Emirati Arabi Uniti cade durante un intero anno ‒ già nei giorni antecedenti all’alluvione.

“Non vedo nessuna correlazione tra l’alluvione e la tecnica del cloud seeding”, spiega a Materia Rinnovabile Marcello Miglietta, professore di Earth and Geoenvironmental Science dell’università di Bari Aldo Moro. “Si è trattato di un ciclone che ha preso grandi quantità di energia da un mare ormai sempre più caldo.”

Secondo Serene Giacomin, fisica, meteorologa e presidente dell'Italian Climate Network, la modellistica utilizzata per analizzare l'andamento meteorologico prevedeva ingenti quantitativi di pioggia sulla regione senza che l’attività di cloud seeding fosse inserita nel processo di analisi. “Possiamo dire due cose – spiega a Materia Rinnovabilele piogge sarebbero state estreme anche senza cloud seeding, inoltre usarlo in una situazione atmosferica del genere non avrebbe avuto comunque senso”.

Michael Mann, scienziato del clima dell’Università della Pennsylvania, ha dichiarato che incolpare il cloud seeding significa ignorare le previsioni metereologiche e soprattutto distogliere l’attenzione dal fattore che ha contribuito maggiormente all’intensificazione dell’alluvione: il cambiamento climatico. Uno studio della Khalifa University of Science and Technology del 2021 conferma l’ipotesi di Mann e quella di numerose altre scienziate del clima interpellate da altri media: “È stato riscontrato un aumento statisticamente significativo della durata delle tempeste sulla penisola arabica sud-orientale. Tali eventi estremi potrebbero avere un impatto ancora maggiore in un mondo che si riscalda”, si legge nella ricerca.

Il cloud seeding funziona?

La tecnica del cloud seeding fu sperimentata per la prima volta negli anni Quaranta e divenne popolare negli Stati Uniti occidentali a partire dagli anni Sessanta, principalmente per la neve. Nonostante abbia senso dal punto di vista fisico, il metodo non riesce ancora a raccogliere un consenso totale da parte della comunità scientifica.

Secondo un’analisi del dipartimento delle risorse idriche dello Utah, è stato calcolato che nel 2018 il cloud seeding abbia contribuito ad aumentare la fornitura d’acqua dello Stato del 12%. Queste stime, però, sono state fornite direttamente dalle aziende e necessiterebbero ulteriori verifiche. Un recente studio dell’Idaho Experiment project ha rilevato un chiaro pattern di precipitazioni riconducibile alla inseminazione delle nuvole. Ma per quantificarne l’efficacia ci vorranno studi più approfonditi.

“Anche in Italia si sono fatti diversi esperimenti a riguardo, soprattutto in Puglia, ma non hanno dato grandi risultati”, aggiunge Marcello Miglietta. “Sono operazioni circoscritte localmente e non cambiano di certo eventi atmosferici di grande portata.” Soluzioni di geoingegneria climatica come il cloud seeding sono considerate tecniche parecchio controverse all’interno della comunità scientifica. Ma almeno per ora, al contrario di quello che si legge in alcuni giornali, non innescano alluvioni.

 

Immagine: Envato