C’è chi, purtroppo, fa greenwashing e chi invece si dedica al greenwatching. A quest’ultima pratica – una vera e propria arte che consiste nell’individuare o prefigurare le nuove tendenze green per approfondirle e raccontarle al grande pubblico – si è votato da ormai 27 anni CinemAmbiente. Il primo e più importante festival italiano di film a tematica ambientale torna dunque a Torino, dal 4 al 9 giugno 2024, con una locandina che richiama il cielo di Magritte e un motto che tiene insieme i principi e l’esperienza di un quarto di secolo abbondante di storia: The Art of Greenwatching.
Se il format e i numeri sono più o meno gli stessi di sempre, questa 27ª è tuttavia un’edizione particolare: presentata con grande commozione e un groppo in gola collettivo, è la prima senza il fondatore e storico direttore Gaetano Capizzi, scomparso prematuramente lo scorso ottobre. È infatti dedicata alla sua memoria, e l’imprinting è del resto ben evidente nel programma, curato con la consueta passione e competenza da Lia Furxhi, da anni braccio destro di Capizzi, che ne ha raccolto il testimone come nuova direttrice artistica.
Le quattro sezioni del festival raccolgono 76 pellicole provenienti da 27 Paesi che rappresentano quattro continenti. Come sempre un viaggio immersivo da un capo all’altro del pianeta per testimoniare le emergenze della crisi ambientale e climatica, dare voce alle battaglie dell’attivismo, denunciare i costi occulti dell’economia dell’estrattivismo, ma anche per portare speranza e far conoscere le soluzioni emergenti, dalla Carbon Tax all’agricoltura rigenerativa fino alle nature-based solutions.
Insomma, una panoramica a tutto tondo su un tema pervasivo e centrale come quello dell’ambiente, che non può non intrecciare quelli dell’economia, della società e della scienza. Proprio come piace a noi di Materia Rinnovabile, che infatti, per il terzo anno, siamo media partner della manifestazione.
L’ambiente è cinefilo
Organizzato nell’alveo del Museo del Cinema di Torino, CinemAmbiente è per vocazione un festival legato alla tradizione cinefila della sua città. Nato da un’intuizione di Gaetano Capizzi nel 1998, quando la categoria del “cinema ambientale” neanche esisteva, ha contribuito in maniera consistente (e non solo a livello italiano) a creare un vero e proprio genere. L’apertura e la chiusura della 27ª edizione sono dunque un vero e proprio omaggio alla “cinefilia ambientale” del festival, con la proiezione di una rarità storica riemersa dalla Cineteca di Praga e la nuova produzione di un regista premio Oscar.
Si parte, martedì 4 giugno, con la proiezione musicata dal vivo di Amazonas, maior rio do mundo, film muto del 1918 diretto da Silvino Santos, pioniere del cinema brasiliano. La pellicola ha una storia degna di Indiana Jones: trafugata dal socio del regista, fu portata clandestinamente in Europa, dove dal 1931 se ne persero le tracce fino all’anno scorso, quando ne è stata rinvenuta una copia sepolta in un archivio della Cineteca di Praga. Si tratta del primo lungometraggio girato in Amazzonia, uno straordinario documento etnografico e naturalistico che, la sera del 4 giugno, verrà introdotto da Giorgio Vacchiano.
La chiusura del festival, domenica 9 giugno, è affidata invece a una grande produzione contemporanea: Voyage au Pôle Sud, il nuovo documentario del regista premio Oscar Luc Jacquet, che a oltre trent’anni dal celeberrimo La marcia dei pinguini è tornato in Antartide per raccontare, con immagini mozzafiato, la selvaggia e ineffabile bellezza di una terra ai confini del mondo, oggi esposta a cambiamenti che rischiano di essere irreparabili.
Ai protettori della Terra
Il programma di film e cortometraggi è come sempre ricchissimo e ci si dovrebbe almeno sdoppiare per poter seguire tutto. Le 76 pellicole sono divise in quattro sezioni: il Concorso documentari, il Concorso cortometraggi e le due sezioni non competitive Made in Italy e Panorama, a cui si aggiungono alcune proiezioni speciali.
Per il concorso principale sono in gara anche quest’anno 8 lungometraggi internazionali, che spaziano dagli effetti della crisi climatica a quelli dell’inquinamento, dalla deforestazione al land grabbing alla caccia di frodo, fino agli impatti, visibili a decenni di distanza, dei famigerati esperimenti nucleari nel mezzo del Pacifico.
Filo rosso che lega molte delle pellicole, non solo nella sezione principale, è quello dell’attivismo: che sia organizzato o spontaneo, individuale o collettivo, intimo o politico, si fa sempre più pressante il bisogno di prendersi cura del pianeta, o almeno di un pezzetto della Terra su cui viviamo tutti. I “protettori della Terra”, come li chiamano gli organizzatori di CinemAmbiente, sono diventati ormai i protagonisti di un vero e proprio sottogenere del cinema ambientale. Come i tanti video-maker improvvisati che con le loro immagini da smartphone hanno costruito la straordinaria pellicola-testimonianza The Here Now Project di Jon Siskel e Greg Jacobs: un diario visuale del cambiamento climatico che, dall’Europa al Sud America, dalle strade di Brooklyn alle foreste della Siberia, ne mostra senza filtri gli effetti più devastanti.
O ancora, i giovani e giovanissimi finlandesi, raccontati in Once Upon a Time in a Forest di Virpi Suutari, che come in una moderna fiaba hanno deciso di vivere nella foresta per proteggerla dai colossi dell’industria del legname. Una vicenda per molti versi gemella a quella degli attivisti tedeschi protagonisti di Lonely Oaks 1250 di Fabiana Fragale, Kilian Kuhlendahl e Jens Mühlhoff, che invece difendono (a volte a costo della propria vita) la foresta di Hambach, nella Germania occidentale, dall’espansione di una miniera di lignite.
Ma sono protettori della Terra anche i ranger sudafricani che rischiano di farsi ammazzare per combattere la caccia di frodo e il commercio illegale di corni di rinoceronte: una storia di eroi moderni raccontata in Rhino Man di John Jurko II, Matt Lindenberg e Daniel Roberts. E lo è sicuramente anche il fisico esperto in scienza dei materiali Jiří Svoboda, che in The World According to My Dad ci porta in un viaggio insieme alla figlia, la regista Marta Kovářová, per capire se l’idea di una Carbon Tax globale con proventi divisi tra tutta la popolazione mondiale potrebbe essere la soluzione per un mondo più sostenibile e più equo.
Di protettori invece avrebbe bisogno la regione del Gran Chaco in Paraguay, minacciata da un’incessante deforestazione raccontata in Los últimos, affascinante pellicola on the road di Sebastián Peña Escobar. Così come la contea keniota di Laikipia, ritratta in The Battle for Laikipia di Daphne Matziaraki e Peter Murimi, dove land grabbing e cambiamento climatico rendono la vita difficile alla popolazione. E sicuramente qualcuno avrebbe dovuto proteggere il piccolo atollo di Bikini, nel mezzo del Pacifico, quando negli anni Quaranta i test nucleari americani ne cambiarono il destino, con effetti ancora visibili dopo quattro generazioni, come racconta l’impressionante Nuked del canadese Andrew Nisker.
Industria alimentare, Sicilia e solution movies
La sezione cortometraggi è come sempre un viaggio caleidoscopico, che va dall’India all’Ucraina, dal Galles a Taiwan, da una piccola isola del Giappone a un sito industriale in Egitto, parlando di centrali a carbone e compagnie petrolifere, di inquinamento e turismo di massa, di pipistrelli e orsi e persino di intelligenza artificiale.
Particolarmente interessante è poi quest’anno la sezione Made in Italy, per la quale è stato istituito un premio speciale dedicato alla memoria di Gaetano Capizzi, che tanto ha fatto per stimolare la produzione di cinema ambientale in Italia. Fra le pellicole nostrane si segnala innanzitutto Il ricercatore. Perché ho perso il lavoro per 5 tonnellate di CO₂ di Paolo Casalis, la curiosa storia vera di Gianluca Grimalda, ricercatore universitario in Germania, primo lavoratore al mondo licenziato per essersi rifiutato di prendere l’aereo per motivi ambientali.
Ci sono poi due filoni tematici. Il primo riguarda i film sull’industria agroalimentare. Come ad esempio Until the End of the World di Francesco De Augustinis, sull’allevamento intensivo di pesci, e La fabbrica della carne di Teresa Paoli, che invece, partendo dagli allevamenti intensivi italiani, arriva a Singapore per mostrarci la produzione di carne in vitro. E poi il tanto discusso e già campione di incassi Food for Profit di Giulia Innocenzi e Pablo D’Ambrosi.
Il secondo filone ruota attorno alla Sicilia, con storie che raccontano l’inquinamento visibile (Toxicity di François-Xavier Destors e Alfonso Pinto) e quello invisibile, nascosto sul fondo del mare (Abyss Clean Up di Igor D’India), e il mondo arcaico e poetico dell’entroterra (La ricomparsa delle lucciole di Cristiano Giamporcaro e Quello che resta di Gianfranco Piazza).
Alle soluzioni per la crisi ambientale sono infine dedicati molti dei film della sezione non competitiva Panorama, in un sotto-filone che potremmo battezzare dei solution-movies. Si parla ad esempio di agricoltura rigenerativa in Common Ground di Josh e Rebecca Tickell, seguito del successo internazionale Kiss the Ground. In Blue Carbon, Nicolas Brown racconta invece le potenzialità di alghe e mangrovie nella lotta al cambiamento climatico, mentre in Green City Life i due giovani registi Manon Turina e François Marques immaginano una città del futuro, più vivibile, più resiliente e più sostenibile.